Il Senato russo autorizza l’intervento militare in Siria
Usa: 5 milioni di dollari per smantellare i traffici di petrolio e reperti archeologici dello Stato Islamico
[30 Settembre 2015]
«Il presidente siriano Bashir Al Assad ha chiesto ufficialmente alla Russia di fornirgli un aiuto militare per lottare contro lo Stato Islamico», lo ha annunciato oggi il capo dell’amministrazione presidenziale della Federazione Russa, Serguei Ivanov, mentre il Consigli della Federazione (il Senato russo) apporovava – ma sarebbe meglio dire ratificava – l’eventuale utilizzo di forze armate russe all’estero, truppe, carri armati e aerei che in realtà stanno già combattendo in Siria.
Il via libera all’intervento russo in Siria era stato chiesto al Consiglio della Federazione dal presidente russo Vladimir Putin che il 29 settembre, di ritorno dall’Assemblea generale dell’Onu e dall’incontro con il presidente Usa Barack Obama, aveva subito convocato il Consiglio di sicurezza della Federazione della Russia – l’organo consultivo per le decisioni in materia di sicurezza nazionale . per discutere della lotta contro il terrorismo e l’estremismo.
Ivanov ha precisato che ««Quando si parla di utilizzo delle forze armate all’estero, si tratta solo di operazioni effettuate dalle forze aeree. L’uso di truppe per le operazioni militari al suolo è escluso», confermando quanto aveva detto Putin in un’intervista alla CBS: «Pensiamo a diverse varianti (…). La Russia non parteciperà ad operazioni militari al suolo in Siria né in nessun altro Paese. Per adesso, in ogni caso, non abbiamo dei piani di questo genere».
Ma diverse fonti, compresi alcuni alleati di Mosca, dicono che in Siria ci sono già almeno 2.000 soldati russi, che non si limitano a fare da istruttori e consiglieri alle truppe di Assad e ai pasdaran iraniani e ai miliziani libanesi di Hezbollah che combattono contro lo Stato Islamico/Daesh e le milizie “laiche” e integraliste che si battono contro il regime. In Siria sarebbero operative anche le truppe speciali russe, i famigerati e letali Specnaz, che avrebbero già attaccato le milizie cecene che hanno aderito allo Stato Islamico/Daesh e che controllano alcune aree vicino a Damasco, proprio quelle dalle quali dovrebbe partire – o meglio è già partita – l’offensiva russa.
Nel marzo 2014 il Consiglio della Federazione aveva approvato all’unanimità l’iniziativa di Putin per l’uso della forza in Crimea, fino alla normalizzazione politica e sociale dell’Ucraina. La Russia allora sottolineò che la decisione non significava assolutamente che il Cremlino avesse l’intenzione di utilizzare l’esercito russo in Ucraina. Poi è finita con il referendum che ha decretato il ritorno della Crimea in Russia e con centinaia di “volontariri” in divisa russa senza mostrine che combattono nelle repubbliche ribelli filorusse dell’Ucraina orientale contro l’esercito di Kiev. .
Intanto, mentre gli aerei russi decollano all’attacco del Daesh con l’imprimatur di Assad e di Putin, Ivanov ha detto che «I raid della Coalizione guidata dagli Stati Uniti violano il diritto internazionale», perché operano senza permesso sul territorio di uno Stato sovrano, per questo la Russia ha chiesto agli Usa di ritirare gli aerei da combattimento che violano lo spazio aereo siriano.
Invece, secondo Ivanov, «L’utilizzo delle forze armate sul territorio di Paesi terzi è possibile solo con una risoluzione del Consiglio di sicurezza, cioè su richiesta della legittima leadership di quel Paese. Nel caso concreto, la Russia sarà de facto il solo Paese a realizzare uesta operazione su una base legittima, su richiesta delle autorità legittime del Paese», cioè di Bashir al Assad. Ivanov ha aggiunto che per lottare davvero contro il terrorismo «Bisogna unire gli sforzi ma, allo stesso tempo, bisogna rispettare il diritto internazionale».
I russi sembrano convinti di essere in una posizione di forza e, dopo il teso incontro Putin-Obama, incassano anche un cambiamento di linguaggio da parte degli Usa, che orma i parlano di una «transizione ordinata» in Siria e non insistono sulle dimissioni immediate di Bashir al Assad.
In un’intervista alla CNN, il Segretario di Stato Usa, John Kerry, ha detto che l’Amministrazione Obama ha cambiato le sue priorità su questo tema: «Da un po’ di tempo ci dicevamo: “Così non funziona” . E’ indispensabile effettuare una transizione ordinata, controllata, per escludere i rischi di revanscismo, di perdite e di vendetta».
Si tratta di un cambio di posizione e soprattutto dell’ammissione che l’intervento per rovesciare la dittatura di Assad, finanziando (o lasciando che lo facessero Arabia Saudita e Qatar) anche milizie islamiste legate ad Al Qaeda o “moderati” che poi sono passati armi e bagagli con lo Stato Islamico, ma Kerry, facendo suoi i timori di diversi alleati europei, ha sottolineato che se Assad abbandonasse il potere più velocemente del previsto, «Questo potrebbe causare un vuoto, un’implosione» ancora più pericolosa per la Siria, umentando probabilmente il flusso dei profughi di guerra verso i Paesi vicini e verso lEuropa. Viene da dire che gli americani e chi li ha appoggiati nella loro avventura siriana – Italia compresa – ci potevano pensare prima.
Intanto gli Usa, in difficoltà sul campo, dove la Coalizione dei 60 Paesi che capeggiano ha ottenuto davvero miseri risultati, pensano di combattere lo Stato Islamico dove pensano che faccia più male: tagliando le entrate che arrivano al Daesh con la vendita di idrocarburi e di reperti archeologici trafugati dai siti storici che distruggono e saccheggiano in Siria e in Iraq.
Il Dipartimento di Stato Usa ha annunciato una ricompensa da 5 milioni di dollari per chiunque fornisca informazioni che permettano di smantellare lo schema di finanziamento dello Stato Islamico/Daesh. Secondo il Dipartimento di Stato la vendita di petrolio e di antichità frutterebbero al Daesh milioni di dollari che permettono di pagare i miliziani neri che «torturano ed opprimono i civili».
Forse qualche notizia in merito agli statunitensi potrebbero darla i combattenti Kurdi dell’YPG del Rojava che, da quando è iniziata la loro guerra di liberazione, denunciano che il contrabbando di petrolio e reperti archeologici passa in gran parte dalla Turchia, Paese Nato e che fa parte della Coalizione anti-Daesh a guida americana, anche se preferisce attaccare i Kurdi del PKK, sia in Siria che in Iraq.