Iran: se gli Usa lasciano l’accordo nucleare se ne pentiranno come mai prima
L’Observer: lo staff di Trump ha assoldato spie israeliane per trovare "materiale sporco" per screditate i negoziatori di Obama
[7 Maggio 2018]
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha minacciato di abbandonare il 12 maggio l’accordo sul nucleare del 2015 tra G5+1 (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia, Usa e Germania) e Iran «A meno che il Congresso e le potenze europee non abbiano aggiustato i suoi disastrosi difetti» o non imporranno nuove sanzioni contro l’Iran. Trum ha anche detto che l’accordo voluto dal suo predecessore Barack Obama ha fatto guadagnare all’Iran 100 miliardi di dollari che ha usato «come fondi per armi, terrore e oppressione« in tutto il Medio Oriente. Si tratta dei beni economici iraniani che erano stati congelati dalle sanzioni e che sono stati restituiti all’Iran in base ai termini dell’accordo nucleare.
Ieri, durante un discorso a Sabzevar, nell’Iran nord-occidentale, il presidente iraniano Hassan Rohani ha avvertito gli Usa «Il popolo iraniano è unito contro l’ostilità di Donald Tramp e del regime sionista (Israele, ndr). Gli iraniani non sono dalla parte della guerra e delle tensioni, ma si difendono fermamente contro qualsiasi minaccia. Se gli Stati Uniti lasciano l’accordo nucleare, presto vedrete che se ne pentiranno come mai prima nella storia. Trump deve sapere che il nostro popolo è unito, il regime sionista deve sapere che il nostro popolo è unito». In previsione della decisione di Trump, Rohani ha detto di aver dato «Gli ordini necessari, in particolare all’Organizzazione per l’energia atomica dell’Iran» e che «L’Iran ha un piano per contrastare ogni decisione che Trump potrebbe prendere e che affronteremo».
Il 3 maggio Ali Akbar Velayati, consigliere per la politica estera della Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, aveva avvertito il G5+1 che se gli Usa decideranno di ritirarsi anche Tehran abbandonerà l’accordo nucleare.
Uno scontro che preoccupa molto europei – Italia compresa – russi e cinesi (che dopo la fine delle sanzioni stanno facendo affari d’oro con Teheran,) e che stanno cercando di impedire quanto promesso da Trump nella campagna elettorale che lo ha portato alla Casa Bianca. Il Joint comprehensive plan of action (Jcpoa) G5+1 – Iran è entrato in vigore nel gennaio 2016 de Trump lo aveva preso subito di mira dicendo che era svantaggioso per gli Usa e vantaggioso solo per l’Iran. Ora, dopo essere diventato presidente, potrebbe passare dalle parole ai fatti.
Secondo Trump e i falchi anti-iraniani e filo-israeliani di cui si è circondato, i principali “difetti” del Jcpoa sarebbero: la mancanza di opportunità di controllo degli impianti nucleari iraniani da parte degli ispettori internazionali; la mancanza di garanzie, che l’Iran non sarà mai in grado di produrre armi nucleari; la scadenza dell’accordo tra 10-15 anni; la mancanza di un divieto per creare missili balistici in grado di trasportare armi nucleari. Inoltre, Trump (insieme ad Arabia saudita e Israele) ha accusato Teheran di attività espansionistica in Medio Oriente.
Ieri il presidente francese Emmanuel Macron ha detto a Der Spiegel che se gli usa si ritirassero dal Jcpoa «Apriremmo il vaso di Pandora, potrebbe esserci una guerra». In ogni caso, ha sottolineato che non crede che Trump voglia la guerra. Gli ha fatto eco l’ambasciatrice francese in Israele, Hélène Le Gal, che dichiarato che un possibile ritiro degli Usa dall’accordo nucleare con l’Iran «potrebbe portare il Medio Oriente sull’orlo di una guerra».
In un comunicato congiunto, Macron, la cancelliera tedesca Angela Merkel e la premier britannica Theresa May hanno «espresso il desiderio unanime che lo Stati Uniti rimangano nell’ambito dell’accordo sul programma nucleare dell’Iran. Allo lo stesso tempo, hanno riaffermato il loro volontà di sviluppare, in un formato più ampio con la partecipazione di tutte le parti, accordi aggiuntivi, informazioni sulla durata delle restrizioni nucleari e altre questioni, principalmente sul programma dei missili balistici dell’Iran e sul suo ruolo nella regione».
Intanto, mentre gli europei – a partire da Francia, Gran Bretagna e Germania – premono su Trump perché non ribalti il tavolo dell’accordo G5+1 – Iran, i due alleati dell’Iran, Russia e Cina, hanno riconfermato il loro sostegno al’accordo nucleare, Con una dichiarazione congiunta pubblicata dopo la seconda riunione del comitato per la revisione della non proliferazione nucleare nel quale (NPT). Russia e Cina hanno ribadito «La necessità della piena attuazione del Piano d’azione congiunta globale, ratificata dalla risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza dell’Onu» e hanno aggiunto che Mosca e Pechino «lavoreranno assieme per proteggere l’accordo». Secondo il ministro russo degli esteri russo Sergei Lavrov, «un suo fallimento avrà conseguenze assai negative” per tutto il mondo». E il direttore generale del Dipartimento per la non proliferazione e il controllo degli armamenti del ministero degli Esteri russo, Vladimir Yermakov, ha aggiunto che «Mosca sosterrà l’accordo sul nucleare iraniano e rafforzerà i suoi legami con l’Iran se il presidente degli Stati Uniti Donald Trump deciderà di ritirarsi dal Jcpoa il prossimo 12 maggio«, ma ha sottolineato che «Un ritiro degli Stati Uniti dall’accordo del 2015 non significa necessariamente la fine dell’accordo. Mosca aumenterà la cooperazione economica con Teheran, sviluppando relazioni bilaterali in tutti i settori: energia, trasporti, alta tecnologia, medicina. Se gli Stati Uniti rompono un accordo internazionale appoggiato dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, saranno gli Stati Uniti a doverne subire le conseguenze. Né l’Iran, né la Cina, né la Russia, né gli Stati europei dovrebbero avere qualcosa da perdere».
E anche il nostro presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, il 4 maggio ha mandato a dire a Trum che l’Italia è schierata «nel modo più assoluto» per il mantenimento dell’accordo nucleare: «Siamo il primo partner commerciale dell’Iran. I rapporti con l’Iran possono e devono migliorare. Eppure, l’obiettivo dell’accordo è stato raggiunto e questo è un motivo sufficiente per ritenersi soddisfatti». E gli europei alleati degli Usa sono stati anche i primi a smentire le accuse del premier israeliano Benjamin Netanyahu all’Iran di aver violato il Jpcoa. Altrettanto ha fatto l’International atomic Energy agency (Iaea) che ha confermato che le “rivelazioni” di Netanyahu erano roba vecchia e risaputa e che non esistono prove che dopo il 2004 la Repubblica islamica abbia tentato di sviluppare il nucleare militare.
L’agenzia ufficiale iraniana Pars Today evidenzia che «Alcuni commentatori indipendenti hanno peraltro fatto notare come il materiale su cui si è basata la “presentazione” di Netanyahu non derivi con ogni probabilità da una fantasiosa missione condotta nel febbraio 2016 dal Mossad in un edificio in territorio iraniano. In realtà, le informazioni sembrano provenire dai sistemi informativi dell’Iaea e corrispondere perciò ai dati forniti dalle autorità nucleari di Teheran a questa stessa agenzia nel quadro delle trattative che avevano portato alla stipula del Jcpoa». Un’operazione mediatica che secondo gli iraniani sarebbe stata pianificata con il governo americano (e con Arabia Saudita e Giordania), «soprattutto alla luce delle resistenze dell’Europa, per non parlare di Russia e Cina, a prendere in considerazione il boicottaggio o la modifica dell’accordo sul nucleare».
Intanto stanno facendo scalpore altre rivelazioni, quelle dell’Observer, il settimanale di The Guardian, secondi le quali il team di Trump avrebbero dato l’incarico a un’agenzia di intelligence privata israeliana «per orchestrare una campagna “sporca” contro le personalità chiave dell’amministrazione Obama che hanno contribuito a negoziare l’accordo nucleare iraniano», con l’obiettivo di screditare in particolare Ben Rhodes, che era uno dei massimi consiglieri per la sicurezza nazionale di Barack Obama, e Colin Kahl, assistente dell’ex vicepresidente Usa Joe Biden.
Alcuni collaboratori di Trump avrebbero contattato le spie israeliane nel maggio 2017, poco dopo il primo viaggio a Tel Aviv del presidente. Secondo i documenti di cui è entrato in possesso l’Observer, le spie israeliane avevano il compito di scavare nella vita personale e nella carriera politica di Rhodes e di Kahl: frugare nei loro rapporti privati, scoprire eventuali contatti con lobbisti amici dell’Iran e verificare possibili vantaggi personali o politici ottenuti grazie all’accordo. L’observer spiega che «Agli investigatori è stato anche detto di contattare eminenti iraniani-americani ed anche giornalisti pro-accordo – di New York Times, Msnbc Television, The Atlantic, Vox e il quotidiano israeliano Haaretz, tra gli altri – che ha avuto frequenti contatti con Rhodes e Kahl, nel tentativo di stabilire se avessero violato un qualsiasi protocollo condividendo informazioni riservate».
Mentre secondo l’Ue e Francia e Gran Bretagna le affermazioni del primo ministro israeliano hanno rafforzato la necessità di mantenere l’accordo con l’Iran, le “rivelazioni” di Netanyahu si stanno rivelando un boomerang anche sotto un altro aspetto: hanno fatto tornare alla luce il programma nucleare “segreto” di Israele, che le bombe atomiche ce l’ha davvero in violazione degli stessi accordi internazionali che accusa gli altri di non rispettare. A denunciarlo questa volta è stata Jill Ellen Stein, la leader del Green Party of the United States e candidata alle presidenziali del 2016, che ha detto che «Al contrario di ciò che cercato di insinuare Netanyahu, Teheran continua a rispettare i suoi impegni presi nell’accordo nucleare con il gruppo di 6 Paesi, il cosiddetto 5+1, mentre proprio Tel Aviv sta sviluppando le sue attività atomiche in maniera clandestina».