Onu: insostenibili e continue violazioni dei diritti umani
Libia: «Una catastrofe per colpa nostra». La profezia di Gheddafi e il monito di Prodi
Le milizie dell'Isis all’attacco in uno Stato fantasma con 400.000 profughi interni
[16 Febbraio 2015]
Mentre l’Europa si ritrova nuovamente con una sua capitale, Copenaghen, insanguinata dalla jihad di seconda generazione di un islamista della porta accanto, mentre l’Egitto sembra stia bombardando la Libia per vendicare i 21 cristiani copti sgozzati dagli assassini dello Stato Islamico/Daesh, il nostro governo si è finalmente accordo che la Libia è uno Stato fantasma.
In un contesto tanto precario qualche nostro ministro propone avventati interventi, subito invitato alla prudenza da un democristiano di lungo corso come Pierferdinando Casini; viene alla mente una profetica intervista del marzo 2011 di Muammar Gheddafi al Corriere della Sera: «Ci sarà una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo. La Sesta Flotta americana sarà attaccata, si compiranno atti di pirateria qui, a 50 chilometri dalle vostre frontiere. Si tornerà ai tempi di Barbarossa, dei pirati, degli Ottomani che imponevano riscatti sulle navi. Sarà una crisi mondiale, una catastrofe che dal Pakistan si estenderà fino al Nord Africa».
Gheddafi giurò che non lo avrebbe consentito, ma i bombardieri della Nato e i finanziamenti e le armi occidentali e delle monarchie assolute sunnite del Golfo dati a quelle stesse milizie islamiche e a quegli stessi reduci dalla jihad in Afghanistan e in Iraq che oggi ci fanno tanta paura, impedirono alla dittatura di Gheddafi di reprimere la rivolta e consegnarono la Libia a un’improbabile democrazia, che l’ha trasformata in uno Stato fantasma nel quale dilaga in franchising lo Stato Islamico/Daesh che ora minaccia il ministro Gentiloni. Gheddafi, poco prima di essere brutalmente giustiziato da un esaltato giovanotto che forse oggi è a capo di qualche banda di assassini, disse quello che oggi afferma il nostro governo: «Voglio farle capire che la situazione è grave per tutto l’Occidente e tutto il Mediterraneo. Come possono, i dirigenti europei, non capirlo? Il rischio che il terrorismo si estenda su scala planetaria è evidente». Lo zittirono i bombardieri inviati anche da un entusiasta ministro della guerra Ignazio La Russa, e poi Sarkozy e Cameron si andarono a prendere il merito della “liberazione” tra ali festanti di estremisti salafiti che stavano già pianificando la disintegrazione della Libia. E fa veramente impressione pensare che gli stessi che sventolavano bandiere francesi, britanniche e statunitensi oggi sfilano dietro i neri vessilli dello Stato Islamico/Daesh. L’esportazione della democrazia sembra non aver funzionato nemmeno questa volta.
Come non dar ragione a Romano Prodi, che in un’intervista a Giampiero Calapà sul Fatto Quotidiano spiega: «Dopo Gheddafi bisognava mettere tutti attorno a un tavolo, invece ognuno ha pensato di poter giocare il proprio ruolo. C’erano interessi economici. Ora occorre far sì che tutti gli interlocutori si confrontino e impegnare in un lavoro comune Egitto e Algeria. Non c’è altra via che non produca una situazione ancora più catastrofica di quella attuale». Prodi, che di quell’area se ne intende visto che è stato inviato speciale Onu per il Sahel, sottolinea cose che da mesi, forse anni, scriviamo anche su grenreport.it, e definisce l’avanzata del Daesh in Libia «Una catastrofe per colpa nostra, dell’Occidente. Non era difficile prevedere che si sarebbe arrivati a questo punto, davvero non lo era neppure nel 2011».
L’Italia, mentre i profughi che cercano di scappare dall’inferno libico muoiono assiderati nei gommoni attaccati con il mastice nel mare in tempesta, sembra essersi finalmente accorta di quello che sta succedendo nella nostra ex colonia, una caos sanguinoso diventato ormai così “normale” da non essere praticamente citato dalla stampa internazionale, che ormai mette le esplosioni di oleodotti o gli scontri tra milizie e lealisti tra le notizie minori. Prodi non ha ricette salvifiche ma sa bene quello che si sarebbe dovuto fare dopo il crollo del regime, favorito dai bombardieri Nato: «Bisognava mettere tutti attorno a un tavolo, invece ognuno ha pensato di poter giocare il proprio ruolo […] Si è preferito credere che un primo ministro (il primo nel 2011 fu Mahmud Jibril al-Warfali, ndr) e un parlamento legittimi potessero risolvere le cose da soli, facendo finta di non vedere che la situazione era compromessa in partenza, che alcune fazioni armate avrebbero finito per esser lasciate a loro stesse. Ma il primo ministro non ha mai avuto un potere reale sul territorio […] Si tratta di un errore nostro. Delle potenze occidentali. La guerra in Libia del 2011 fu voluta dai francesi per scopi che non lo so… certamente accanto al desiderio di ristabilire i diritti umani c’erano anche interessi economici, diciamo così».
E l’Italia che ora pensa ad una nuova guerra libica – che piace tanto a Berlusconi, forse roso dal rimorso – per Prodi «ha addirittura pagato per fare una guerra contro i propri interessi», facendosi trascinare in un conflitto voluto fortemente da Sarkozy, che aveva qualche scheletro da far sparire dall’armadio petrolifero libico. Prodi ricorda a chi non ha memoria che «il presidente del Consiglio in carica era Silvio Berlusconi. Adesso la Libia è caduta nell’anarchia e nel caos più assoluti. La situazione è davvero di una gravità eccezionale, non possiamo fare finta che le nostre azioni non abbiano inciso nel produrre tutto questo», e che «la Libia è dietro l’angolo. È un Paese ridotto a essere senza alcuna disciplina, senza controllo, senza alcuna forma di statualità, dove i commercianti di uomini imperversano buttando a mare i disperati che sognano una vita migliore in Europa».
E che la situazione in Libia sia ormai un disastro fuori controllo lo dice anche l’Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights (Unhchr), da dove giudicano positivo che le fazioni libiche l’11 febbraio si siano incontrate a Ghadamès per capire come fermare l’avanzata dello Stato Islamico, che minaccia jihadisti, milizie tribali e lealisti, e cercare una soluzione politica «per evitare un’ulteriore erosione della situazione della sicurezza e politica e mettere fine alla divisione istituzionale che minaccia la stabilità del Paese.
Secondo un rapporto Unhchr nel 2014 la situazione dei diritti umani in LIbia è ancora peggiorata, e la violenza endemica si è estesa alle due principali città del Paese, Tripoli e Bengasi, colpendo i civili e alcuni gruppi in particolare, come i migranti, le minoranze etniche e i cristiani copti d’Egitto che sono «sempre più presi di mira dalle violenze»,
All’inizio del 2014 i rifugiati interni erano circa 60.000, mentre a metà novembre erano schizzati a 400.000, aggiungendosi ai migranti dell’Africa e della Siria che cercano di fuggire dall’inferno libico nel quale li hanno portati le rotte gestite dai trafficanti di carne umana. E di fronte a questa tragedia la propaganda xenofoba di un Salvini qualsiasi è veramente misera cosa.
Ma il nostro governo e la nostra stampa sembrano risvegliarsi da un colpevole torpore e scoprono quel che era noto da mesi: lo Stato Islamico ha assorbito gruppi qaedisti e salafiti e punta alla creazione di un califfato in quello che era lo scatolone di sabbia di Mussolini, e questo nonostante che l’Onu avesse già avvertito che nel corso del 2014, dei civili sono stati vittime di tiri di artiglieria e di attacchi aerei», spesso ad opera di aerei senza insegne ma che tutti immaginano come egiziani e sauditi, mentre il Qatar appoggerebbe le milizie salafite. In, Libia secondo il rapporto Unhchr, «gli omicidi e le esecuzioni sommarie, compresi gli assassinii mirati, sono moneta corrente. Dei video che mostrano un certo numero di decapitazioni a Bengasi e a Derna hanno fatto la loro comparsa a novembre».
Le milizie islamiste o lealiste hanno attaccato e danneggiato scuole, ospedali, aeroporti, infrastrutture pubbliche, oleodotti, gasdotti e porti, e molte scuole ed edifici pubblici sono stati trasformati in caserme. A soffrire più di tutti sono i bambini, e alcuni di loro cercano la salvezza sui barconi verso Lampedusa sui quali spesso trovano la morte; chi resta in Libia vive un presente terribile, senza scuola, mentre aumenta il numero di minori feriti e mutilati negli attacchi contro case, scuole e ospedali.
A differenza del populismo irresponsabile di un Salvini che pur di dare addosso ai migranti si immagina terroristi che sfidano il mare forza 10 per infiltrarsi in Italia su malmessi barconi, facendo finta di non vedere il risultato della guerra del tradimento berlusconiano al suo amico Gheddafi (è la stessa Lega che non aveva niente da dire sul baciamano al dittatore e sulla tenda beduina con amazzoni e hostess convertite all’Islam nel centro di Roma), Prodi sa che «i terroristi sono organizzati, altro che barconi» e che non servono proclami bellicosi ma che «occorre senza dubbio uno sforzo per produrre un minimo risultato nel tentativo di fare sedere tutti gli interlocutori al tavolo e impegnare in un lavoro comune Egitto e Algeria. Non c’è altra via che non produca una situazione ancora più catastrofica di quella attuale».