Si riaccende la polemica tra Cina e Usa e Pechino rivendica le isole occupate dalla Filippine

Né petrolio né gas, lo scontro sulle isole del Mar Cinese meridionale ha un’altra ragione

Le risorse di greggio e gas ci sono, ma sono costose e difficili da sfruttare

[27 Aprile 2016]

Commentando il rapporto annuale sulla libertà di navigazione pubblicato il 25 aprile dal Dipartimento della difesa statunitense, Oggi la  portavoce del ministero degli esteri cinese, Hua Chunying,  ha esortato gli Usa a «Rispettare la sovranità e la sicurezza degli altri Paesi». Secondo il rapporto Usa, le operazioni militari “freedom of navigation” che nel 2015 hanno interessato le acque rivendicate da 13 Paesi, tra i quali la Cina e l’Indonesia, sono servite a salvaguardare i diritti e la libertà all’utilizzo legittimo del mare e dello spazio aereo garantito ad ogni Stato  in virtù del diritto internazionale.

L’agenzia ufficiale cinese Xinhua scrive che, secondo il rapporto, «Le operazioni americane “freedom of navigation” nel 2015 hanno costituito una sfida alle rivendicazioni cinesi di giurisdizione sullo spazio aereo al di sopra della Zona economica esclusiva (ZEE) e alle restrizioni per gli aerei stranieri che sorvolano la Zona di identificazione e di difesa aerea (ADIZ) nel Mar della Cina orientale», La Hua ha detto: «Abbiamo preso nota del rapporto americano. Il programma “freedom of navigation” del Dipartimento della difesa mira in sostanza a promuovere la proposta unilaterale degli Usa con la forza e il contrasto, brandendo le potenti forze navali ed aeree di quel Paese. Nel 1979, gli Usa hanno istituito il programma “freedom of navigation”  prima della firma della Convention on the Law of the Sea dell’Onu (UNCLOS). Il programma  mira a salvaguardare una libertà e una manovrabilità massima per le forze militari americane per permettere loro di entrare negli oceani di tutto il mondo  e di sfidare il nuovo ordine marittimo in quanto Paese non firmatario della UNCLOS del 1982. Le moss americane riflettono pienamente i tentativi di quel Paese di dominare l’ordine marittimo, così come la sua logica dell’egemonia e dell’eccezionalismo nel suo trattamento delle leggi internazionali, che gli Usa utilizzano al momento opportuno e lasciano da parte in un contesto non favorevole». La Hua ha concluso chiedendo agli Usa di «Operare maggiormente in favore della salvaguardia dell’ordine marittimo internazionale e della pace e della stabilità della regione».

A riaccendere le fiamme di una polemica mai spenta ci sono le rivendicazioni della Cina su diversi arcipelaghi rivendicati anche da altri Paesi alleati degli Usa e oggi Pechino ha nuovamente detto che «Dei documenti storici attestano che le isole Nansha e l’isola Huangyan non sono mai state filippine. I territori delle Filippine sono stati definiti da una serie di trattati, tra i quali il Trattato di Parigi del 1898 e il Trattato di Washington del 1900, conclusi tra gli Stati Uniti e la Spagna, e un trattato firmato nel 1930 dagli Usa e dal Regno Unito. Le isole Nansha e Huangyan non sono menzionate in nessuno di questi trattati. Negli anni ’80, la descrizione dei territori delle Filippine inclusa  nella Costituzione del Paese si è allontanata da questi trattati internazionali». Secondo i cinesi le Filippine si sono interessate delle isole del Mar Cinese meridionale solo negli anni ’40, quamndo quelle isole e quegli atolli erano territori sotto tutela Onu o smplicemente terre non rivendicate. Solo allora Manila ha rivendicato la sovranità  su «Diverse isole e atolli cinesi e ne ha occupato illegalmente  altri, tra i quali l’isola di Mahuan e la barriera corallina di Siling» si legge in una nota ufficiale cinese.

Nel  1978, con il decreto presidenziale 1596, le Filippine hanno dichiarato gli arcipelaghi contesi «zone [non appartenenti] ad alcuno Stato né ad al cuna nazione dal punto di vista giuridico», ma hanno aggiunto che «Tenuto conto della storia, dei bisogni indispensabili e dell’occupazione e del controllo effettivo», quelle stesse isole «Dovrebbero al presente appartenere ed essere sottomesse alla svranità delle Filippine». Ma i cinesi dicono che così Manila ammette che le isole non gli appartenevano prima del 1978 e che le Filippine non avevano mai ivendicato la sovranità di Huangyan  fino al 2012, quando arrestarono dei pescatori cionesi e sequestrarono le loro imbarcazioni. La Cina non ha tutti i torti, ma non dice che per quanto riguarda altre isole e arcipelaghi si è comportata più o meno come fanno i filippini nelle Nansha e ad  Huangyan.

La disputa territoriale sulle isole del Mar Cinese Meridionale rischia di infiammare l’Asia e di coinvolgere gli Usa e secondo diversi analisti nasconde la corsa ad accaparrarsi le riserve di idrocarburi esistenti nell’area. Non la pensa così Jeremy Maxie, senior energy advisor della Longview Global Advisors, che in un articolo scritto per Forbes, “The South China Sea Dispute Isn’t About Oil, At Least Not How You Think”, evidenzia: «Con sempre più frequenza, la disputa in questa regione del pianeta viene presentata come una contesa militarizzata per l’accesso e il controllo su una quantità incalcolabile di greggio e gas che si crede ci siano sotto il fondale marino. La disputa per queste risorse è solo una componente in più».

Secondo l’Energy Information Administration (EIA) Usa, nel Mar Cinese Meridionale ci sarebbero riserve per 11 miliardi di barili di petrolio e 190 miliardi di piedi cubici di gas, ma solo il 50% di queste risorse sarebbe estraibile con le attuali condizioni tecnologiche ed economiche. Il rapporto EIA stia le riserve del Vietnam in 3 miliardi di barili di greggio e in 20 miliardi di piedi cubici di gas, mentre sotto sovranità cinese ci sarebbero 1,3 miliardi di barili di petrolio e 15 miliardi di piedi cubici di gas. Il petrolio nascosti nel mare conteso rivendicato dalla Filippine sarebbe solo 200 milioni di baili e il gas 4 miliardi di piedi cubici. La Malaysia avrebbe riserve offshore per 5 miliardi di barili di greggio e 80 miliardi di piedi cubici di gas, mente l’Indonesia  arriverebbe a 55 miliardi di piedi cubici di gas ma solo a 300 milioni di barili di petrolio.

Maxie spiega che «Per mettere le cose nella giusta prospettiva, il petrolio recuperabile (5 – 6 miliardi di barili) in tutto il Mar Cinese Meridionale coprirebbe meno di due anni della domanda di petrolio di Pechino  e poco più di due anni delle importazioni petrolifere del gigante asiatico. Nel 2015, la domanda di petrolio della Cina è sta in media di 10,32 milioni di barili al giorno, mentre le importazioni petrolifere sono state di 6,74 milioni di barili al giorno. Questo dimostra che le rivendicazioni di Pechino in termini di sicurezza energetica petrolifera sono tenui». Nel 2015 la richiesta di gas della Cina è arrivata a circa 6,78 miliardi di piedi cubici, «Quindi – dice  Maxie . la totalità delle riserve di gas nel Mar Cinese Meridionale (190 miliardi di piedi cubici) è sufficiente a coprire teoricamente 20 anni di domanda di gas da pate della Cina e 91 anni di importazioni. Ma la maggior parte del gas nell’area si trova in giacimenti in acque profonde che sono tecnologicamente molto difficili e costosi da sfruttare». Il gas estratto in quest’aree è rivendicato dalla Cina ma si trova in aree marine vicine al  Vietnam o alle Filippine e in futuro potrebbe essere economicamente sostenibile solo con gasdotti che riforniscano i mercati locali vietnamita o filippino oppure se trasformato in gas naturale liquefatto per l’esportazione. Per Maxie «Tali misure sono politicamente inconcepibili nell’attuale contesto geopolitico.  Queste considerazioni commerciali, tecnologiche e logistiche indicano che la disputa territoriale nel Mar Cinese Meridionale è non è spinta dalle risorse energetiche come principale obiettivo. Al contrario, la lotta per queste risorse è un mezzo per un fine, uno strumento per poter affermare la sovranità territoriale con fini geopolitici e strategici».

Secondo Maxie, un altro segno di questo è che «I reclami più bellicosi della Cina sono diretti verso il Vietnam e le Filippine, e non verso la Malaysia e l’Indonesia, che hanno la maggior parte delle risorse marine di petrolio e gas. Lo sfruttamento delle risorse energetiche marine non è la priorità strategica di Pechino. Mentre le risorse di petrolio e gas offshore sono importanti fonti di approvvigionamento ed indispensabili per il Vietnam e le Filippine, non lo sono altrettanto per Pechino, per la quale il Mar Cinese Meridionale è una via di navigazione vitale. Attualmente, si stima che circa il 50% del traffico mondiale di petroliere passerà attraverso questo mare. Per il 2035, si prevede che il 90% delle esportazioni di combustibili fossili dal Medio Oriente all’Asia orientale passeranno proprio in queste acque».

Ecco perché cinesi e americani sono così nervosi.