Perché è il “comunista“ Thomas Sankara l’eroe della gioventù africana
I giovani del Sahel e dell’Africa sub-sahariana si ispirano a Tom Sank, e non ai jihadisti
[3 Febbraio 2016]
L’articolo “Thomas Sankara, héros plébiscité par la jeunesse africaine” che Abdourahman Waber ha scritto per Le Monde fa giustizia di molte teorie sulla “fascinazione” che il jihadismo avrebbe sulla gioventù saheliana e africana in generale. E Waberi è uno che di queste cose se ne intende: è nato nel 1965 a Gibuti, quando il più piccolo Paese del Corno d’Africa era ancora una colonia francese, vive tra Parigi e gli Usa, dove insegna alla George Washington University ed è autore di libri come Aux Etats-Unis d’Afrique e La Divine Chanson. Secondo questo intellettuale africano, «Il capitano dal berretto rosso appartiene a quelle figure profetiche che incarnano le più nobili aspirazioni di un popolo», aspirazioni di libertà, emancipazione femminile, autodeterminazione, autogoverno che sono il contrario dell’ideologia islamo-fascistae del jihadismo e che probabilmente spiegano anche i recenti attentati nel Burkina Faso ritornato alla democrazia.
Waberi scrive: «In Africa è usanza dire che gli antenati non muoiono mai, si mescolano e restano nella natura. Se si crede al poeta Birago Diop, il loro respiro è ovunque, anima l’aria e l’acqua, la pietra e la foresta. C’è una categoria di antenati più immortale degli altri: le figure profetiche, capaci di incarnare le profonde ispirazioni di uguaglianza, di liberazione e di giustizia del loro popolo. Thomas Sankara è uno di loro».
Anche se l’ex presidente del Burkina Faso è quasi ignorato dalla politica italiana (anche di sinistra) che invece ha tributato onori e finanziamenti al suo assassino Blaise Compaoré, Sankara è, dopo Nelson Mandela, l’eroe più noto e amato tra i giovani africani ed anche i grafici, i videomakers, i fumettisti e i musicisti gli hanno dedicato molte opere. Da Fela à Alpha Blondy, passando per Smockey e Cheikh Lô, tutte le grandi voci del continente africano (ma anche Fiorella Mannoia in Italia) hanno celebrato “Tom Sank” e tra qualche settimana uscirà “Sankara: a revolutionary life and legacy in West Africa” una nuova biografia dedicata all’uomo che trasformo l’Alto Volta in Burkina Faso, “la terra degli uomini integri” in more e in bambara.
Eppure, anche Waberi dice che le ragioni della persistenza del mito di questo giovane uomo, un cristiano che governò brevemente un Paese a maggioranza musulmano e animista, propugnando un comunismo di nuovo tipo, sono difficili da spiegare. Resta il suo progetto politico ancora abbozzato, ma che rompeva con il “socialismo africanista” complice del neocolonialismo, e con il tribalismo e la divisione etnica e religiosa, restano le sue scelte che resero autosufficiente un Paese poverissimo, i suoi interventi spiazzanti, sinceri, radicali nei consessi internazionali, che probabilmente gli sono costati la vita.
Il bilancio dei 4 anni di presidenza di Sankara è stato incisivo, coerente, ma appena abbozzato, eppure, «In quattro soli anni, in un contesto difficile, Sankara ha saputo meglio ispirare di altri in 40 anni».
Il Paese degli uomini integri, nato nel 1983 grazie ad un gruppo di giovani golpisti che avevano abbattuto l’ultima dittatura filo-francese che si era succeduta in Alto Volta, dimostrò subito di essere e di voler diventare qualcosa di davvero diverso, di voler fare una rivoluzione che avrebbe potuto essere l’esempio per un’Africa progressista. Il golpe e l’assassinio che misero fine al governo e alla vita di Sankara posero fine a tutto questo e dettero il via ad una nuova politica neocolonialista, basata sul controllo e l’accesso alle risorse, che hanno portato prima ad un succedersi di dittature e golpe e poi alla rivolta reazionaria jihadista, che mira a quelle stesse risorse per costruire un califfato islamico africano.
Sankara e il sankarismo era l’alternativa uccisa nella culla perché facevano molto più paura ai mandanti di Compaorè di qualsiasi ribellione etnica e religiosa. Waberi scrive: «Visionario, il regime di Sankara si schierò con i più deboli, predicò le virtù dell’economia locale, respinse i prestiti della Banca mondiale e mise in moto l’autosufficienza alimentare e la produzione tessile. Più autonomia per le donne, le classi lavoratrici e iI contadini che vivevano sotto il giogo dei capi villaggio. Abolizione del lavoro obbligatorio che colpiva iI piccolo agricoltori, promozione dell’uguaglianza dei sessi, divieto dell’escissione e della poligamia».
E non è tutto, Tom Sank avviò la costruzione di case popolari, istituì un programma di vaccinazioni di massa, rinnovò il trasporto ferroviario e fece della lotta all’analfabetismo il centro della sua politica. Ma soprattutto condusse una aggressiva campagna contro la corruzione, dando lui stesso l’esempio, assegnandosi lo stipendio di un lavoratore qualunque e guidando una vecchia utilitaria.
Sembra il programma alternativo, in tutto, alla predicazione jihadista, ed è questo che vorrebbero i giovani africani, che evidentemente, come invece vorrebbero farci credere in molti, non vogliono affatto arruolarsi nell’esercito nero della reazione islamista, ma vorrebbero un’africa progressista, libera, autonoma e solidale.
Il mito di Sankara è anche quello di un seduttore che ha usato anche le maniere forti, che vietò i sindacati e i partiti del precedente regime e che eliminò alcuni “parassiti”, “controrivoluzionari” e “militari corrotti”, ma la rivoluzione, come direbbe qualcuno, non è un pranzo di gala, soprattutto quando è armata e Waberi spiega: «Se il suo regime fu lontano dall’essere perfetto, la posterità riconosce la rivoluzione del Burkina Faso per quello che è: un’esperienza uguale a nessun’altra». Ed è a questa eccezionale esperienza socialista che si rivolgono i giovani, gli artisti, gli attivisti africani quando ritraggono o cantano Sankara insieme a Che Guevara e Nelson Mandela, quando pensano ad un continente finalmente libero da guerre, dittatori, regimi corrotti che svendono le immense risorse dell’Africa. E’ a questo che pensano quando vedono l’alternativa soffocata al jihadismo nero, alla fame in un continente ricco, alla povertà mentre l’africa viene spogliata delle sue risorse. E’ a questo sogno che pensano molti dei giovani che muoiono o sopravvivono nel mare in tempesta delle migrazioni. E’ questo il sogno che ci accusano di aver ucciso.
Abdourahman Waber conclude: «La grande forza de Thomas Sankara è quella di aver dato voce e corpo alla forza morale di un popolo, alla sua capacità di indignazione ed al suo desiderio di essere libero. Aggiungiamo che i suoi predecessori avevano l’abitudine di di svendere i bisogni e i sogni di quelli che una volta si chiamavano i Voltaici. Anche morto, assassinato dai suoi camerati d’armi, il fantasma di Thomas Sankara disturba. O meglio, minaccia le poltrone dei leader africani mal eletti, preoccupati dei loro piccoli confini. Sotto le ceneri, sotterraneo e nel silenzio, il fuoco cova. E’ lo stesso fuoco che ha raggiunto, 27 anni dopo, il regime di Blaise Compaoré. Al tempo di Biya, Sassou, Jammeh, Guelleh e di altri Nkurunziza, tutti stretti nel loro mantello di potentato, non stupisce che la stella di Thomas Sankara brilli sempre nel firmamento. La loro mediocrità non fa che sottolineare l’aura solare del capitano dal berretto rosso».