Perché Kobane non è caduta
[28 Gennaio 2015]
Oggi, un anno fa, Kobane si è dichiarata cantone autonomo. Oggi, dopo 135 giorni di resistenza senza paura, la gente di Kobane ha liberato la città dal cosiddetto Stato islamico. Dal settembre 2014, YPG e YPJ hanno condotto una – non ci sono altre parole per descriverla se non epica e incredibile – resistenza contro l’ultima ondata di attacchi da parte dell’ISIS. Le donne e gli uomini, che hanno sostenuto il peso della più gloriosa resistenza del nostro tempo, hanno issate le bandiere sulle ultime colline che erano stati occupate dall’ISIS e subito hanno iniziato le loro danze in linea, accompagnati da vecchie canzoni rivoluzionarie curde e slogan. Da allora, la nostra gente di tutto il mondo si è precipitata in strada per festeggiare. Dopo le innumerevoli tragedie, le stragi ed i traumi che questa regione ha dovuto subire di recente, i dolori che hanno preceduto questo momento rendono la vittoria ancora più dolce. Un occhio versa lacrime per i morti, mentre l’altro grida di una gioia più che meritata.
Ma torniamo ndietro di un anno. Fu in questo periodo, nel gennaio 2014, quando i maggiori protagonisti internazionali si riunirono nella cosiddetta conferenza di Ginevra-II per discutere di una risoluzione per la guerra in Siria. I kurdi, che avevano combattuto sia il regime così come estremisti come il Fronte al-Nusra o l’ISIS da quando hanno preso il controllo su Rojava nel 2012, non vennero invitati. Inoltre, al fine di tranquillizzare lo Stato turco, la comunità internazionale adottò un atteggiamento esplicitamente ostile verso Rojava, perché i principali protagonisti della regione sono ideologicamente affiliati al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), acerrimo nemico dello Stato turco, che viene etichettato come “terrorista” dagli Usa, dall’Ue e dalla Turchia. In realtà, la comunità internazionale aveva emarginato il Rojava molto prima che emarginasse i jihadisti in Siria. Funzionari statali turchi avevano ripetutamente sottolineato che non avrebbero “tollerato i terroristi dal confine siriano-turco”, riferendosi ai kurdi nel Rojava, non agli islamisti radicali.
Eppure, senza contare sull’approvazione di nessuno e nonostante tutta questa ostilità, la gente del Rojava dichiarato tre cantoni autonomi nello stesso periodo della conferenza di Ginevra-II: Kobanî, Afrin, e Cizîre. Il messaggio era: “Noi costruiremo la nostra autonomia e non abbiamo bisogno dell’approvazione di nessuno”.
Per gli ultimi tre anni, i kurdi, che hanno preso una “terza via” e hanno rifiutato di schierarsi sia con l’opposizione che con Assad, cercando di mettere in guardia il mondo sull’ISIS, ma sono stati completamente ignorati. Al co-presidente del PYD nel Rojava, Salih Muslim, è stato negato per quattro volte il visto per gli Stati Uniti. Nel 2013, quasi un anno prima che il mondo persino conoscesse il gruppo jihadista, suo figlio era morto combattendo contro l’ISIS.
L’ultima ondata di attacchi contro Kobanî è solo uno dei tanti che l’ha preceduta. Tutti gli avvertimenti del kurdi sono state scartati come teorie del complotto, semplicemente perché ascoltarli significherebbe riconoscere che il blocco anti-Assad in Siria ha assassini jihadisti indirettamente o direttamente supportati e sponsorizzati.
Oggi, il vice presidente Usa Joe Biden e altri affermano esattamente ciò che i kurdi hanno detto per anni: Stati come l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia sostengono gli jihadisti. Letteralmente in una notte, dopo che migliaia di persone erano già state uccise, l’ISIS è diventato un “problema”, nello stesso momento in cui ISIS entrava in Iraq – lo Stato fallito nel quale gli Stati Uniti hanno riversato miliardi di dollari dopo averlo invaso e dove molte forze mantengono interessi strategici, economici e politici. Poi gli stessi Stati che in passato avevano sostenuto i jihadisti sono diventati improvvisamente parte della Coalizione contro di loro, tra i quali il Qatar e l’Arabia Saudita. Dopo che la gente a Kobanî aveva già resistito per più di un mese da sola, la Coalizione ha visto la possibilità di dimostrare che la sua strategia contro l’ISIS funzionava. Improvvisamente ha sostenuto le stesse persone che in precedenza aveva emarginato. Ma anche oggi, se tutti si appropriano della resistenza di Kobanî per la loro agenda, le stesse forze che hanno realizzato questa resistenza sono etichettate come “terroriste”, mentre non ci sono conseguenze per gli Stati che hanno esplicitamente contribuito alla crescita dell’ISIS.
Se vivessimo in un mondo in cui le forze dominanti che si presentano come i difensori dei diritti umani, la libertà e la democrazia fossero davvero genuinamente interessate ai principi che sostengono, tutto questo inferno sulla terra sarebbe stato evitato. Ma, lasciando da parte il fatto che il commercio di armi e la destabilizzazione della regione sono redditizi per molti attori globali, un’altra brutta verità è che coloro, che volevano rovesciare Assad hanno beneficiato per un lungo periodo della presenza jihadista in Siria. Questo è andato molto a vantaggio del regime Assad-che continuava a sostenere che in Siria non esiste nessuna opposizione genuina. Ed oggi, la realtà orribile è che Assad sembra il male minore, tanto che anche la Coalizione sembra essersi ammorbidita con lui. Che tragedia kafkiana per il popolo della Siria!
Tenendo in considerazione tutto questo, dobbiamo avvero congratularci con i principali istigatori della guerra e del conflitto in Medio Oriente per aver liberato Kobane? Con coloro che hanno finanziato – o hanno almeno chiuso un occhio – i jihadisti assassini? Con coloro che hanno iniziato guerre ingiuste ed hanno distrutto la regione con le loro politiche? Coloro che hanno tranquillizzato lo Stato turco, che ha sostenuto stupratori estremisti e assassini? Cosa c’è realmente dietro la resistenza di Kobanî? Cosa simboleggia Kobane in un’epoca di rivoluzioni fallite e di guerre infinite?
Le persone, che stanno combattendo nel Kobanî hanno un’ideologia, una visione del mondo, una visione che li ha tenuti in piedi.. Possiamo dire che gli attacchi aerei della Coalizione non hanno aiutato affatto? Naturalmente non possiamo. Ma chiediamoci perché la Coalizione è passata da “Kobane sta per cadere e la nostra priorità non è quella di salvarla” a fare ogni sforzo per proteggerla. Se non fosse stato per la resistenza del popolo sul terreno, che si è mobilitato insieme con i kalashnikov solo per difendere la sua città, la possibilità per la coalizione di “salvare” Kobane per i propri interessi non sarebbe emersa. Dopo tutto, un anno e mezzo prima che gli attacchi aerei Usa bombardassero le posizioni dell’ISIS intorno Kobane, donne anziane di 60 anni avevano istituito un loro battaglione autonomo “di madri” per l’autodifesa sul terreno. Senza la determinazione e la disponibilità al sacrificio di queste persone, nessuno attacco aereo avrebbe salvato la città.
E’ importante capire che la rivoluzione Rojava è stata la lotta di un popolo, dalle origini fino ad oggi. A differenza di altre rivolte in tempi recenti, fortunatamente non stata cooptato da nessuno a causa di condizioni geopolitiche ed è sopravvissuta affidandosi alle proprie forze, contro ogni previsione. La coraggiosa presa di posizione di Kobane contro gli uomini che vogliono riportare il colore nero in Medio Oriente, ha trovato risonanza nelle persone che lottano in tutto il mondo. Ora molti lodano ed alcuni strumentalizzano Kobane, anche la destra e gli islamofobi, perché tutti vogliono un pezzo della torta della vittoria. Ma gli stessi poteri che ora si appropriano di Kobane per i propri interessi, etichettano la politica di questi coraggiosi combattenti come terrorista. La resistenza di Kobanî si basa su una tradizione radicata e non viene dal nulla. I combattenti sottolineano che è la filosofia del PKK che motiva la loro lotta. Quando hanno liberato Kobane, i combattenti immediatamente cantato “Biji Serok Apo” – lunga vita ad Apo (Abdullah Öcalan, il leader ideologico del PKK imprigionato).
In altre parole, i più forti nemici dall’ISIS vengono etichettati a livello internazionale come terroristi, proprio come gli jihadisti fascisti stupratori e assassini. Allo stesso modo, tutti cercano di strumentalizzare ) per i propri interessi la sofferenza del popolo Yazida del Monte Sinjar (Shengal), ma per le migliaia di profughi Yazidi nello stato Rojava la comunità internazionale sta facendo nulla, mentre sono stati le YPG/YPJ ed il PKK che li hanno salvati ad agosto e da allora se ne sono presi cura, nonostante l’embargo sul Rojava e la guerra nel Kobanî. Fatti scomodi per coloro che si presentano come i soccorritori!
Il Rojava è un’alternativa per la regione, lacerata dall’odio etnico e religioso, dalle guerre ingiuste e dallo sfruttamento economico. Non ha lo scopo di costruire un nuovo Stato, ma di creare un sistema alternativo al capitalismo globale, al paradigma dello stato-nazione-maschilista, sostenendo l’autonomia regionale, attraverso la liberazione delle donne e in collaborazione con tutti i popoli della regione, definito come il “confederalismo democratico” di Öcalan.
Il rifiuto di accettare i parametri del sistema globale è quello che ha mobilitato la popolazione in questa regione devastata, tra guerra e embargo, e questo è proprio il motivo per cui Kobane non cadrà mai. Nel bel mezzo della guerra, i cantoni del Rojava sono riusciti a creare un movimento di incredibile potenziamento delle donne, un sistema di autogoverno che opera attraverso i consigli locali, dalla base verso l’alto, ed una società in cui tutte le componenti etniche e religiose lavorano nella regione mano nella mano per creare un futuro più luminoso. Questo è in radicale contrasto con la politica monopolista di “una religione, una lingua, una nazione, uno stato, una bandiera”, con le dittature, le monarchie, le tirannie settarie e la violenza patriarcale nella regione. E l’anticipazione di una vita così libera è il motore principale della resistenza di Kobanî. Il sistema dominante ci fa credere che i principi e gli ideali sono morti, ed è per questo che una mobilitazione collettiva e una resistenza fino al sacrificio come quello a Kobane sembrano così incredibili alla maggior parte delle persone. Ma il fatto che la seconda città più grande dell’Iraq, Mosul, sia caduta nelle mani dell’ISIS in pochi giorni, anche se gli Usa avevano investito miliardi di dollari per addestrare l’esercito iracheno, mentre la piccola città di Kobane, dove le donne anziane hanno creato i loro battaglioni autonomi, sia diventata una fortezza di resistenza per le persone in tutto il mondo, ci dimostra che la possibilità di un futuro diverso è ben vivo!
Non si può separare la mobilitazione politica del popolo del Rojava dalle sue vittorie contro l’ISIS. Ecco perché il minimo che possiamo fare per onorare i combattenti di Kobane è quello di rispettare e sostenere i loro obiettivi politici! Il riconoscimento dei Cantoni Rojava è atteso da tempo. Ma anche se il mondo non riconoscerlo, il Rojava pretenderà ancora di esistere, perché ha dimostrato che non ha bisogno dell’approvazione di nessuno per esistere. Ed è esattamente per questa resistenza e questa che sarà autosufficiente, è questo rifiuto di adeguarsi ad uno stato simile alla sindrome di Stoccolma nel quale si trova il Medio Oriente – tanto che si è costretti ad essere felici per una “democrazia” che si presenta come pangrattato – che ha permesso a Kobane di non cadere.
La vittoria e la dignità di Kobanî dovrebbe dare speranza a tutti i popoli del Medio Oriente e non solo. Circondate dalla bandiera nera dell’ISIS, dal sanguinario regime di Assad, dal vizioso Stato turco, da un embargo soffocante, dai freddi calcoli di politica estera delle potenze mondiali egemoniche, dalle tensioni etniche e dalle guerre settarie, le persone sorridenti di Kobane restano ferme nei loro principi rivoluzionari di liberazione ed aiutano il sole della Mesopotamia a sorgere contro tutto questo buio.
La vittoria appartiene a coloro che gli hanno sacrificato la vita. Onoriamo il coraggio di questi esseri umani altruisti e le vittime della guerra esposte alle politiche ed agli interessi degli Stati e delle strutture che hanno fatto in modo che questo inferno cominciasse.
Possiamo guardare avanti, a più momenti rivoluzionari di gioia come oggi e non dimenticare mai coloro, che hanno dedicato la loro vita a questo!
Biji Kobanî!
di Dilar Dirik, editorialista di Kurdish Question