Rifiuti radioattivi, in Italia presente sotto controllo ma futuro in alto mare
Non sappiamo ancora dove stoccheremo il 99% del combustibile irraggiato delle quattro centrali nucleari nazionali dismesse
[4 Dicembre 2020]
La “fortuna” per l’Italia è che, al momento, il 99% del combustibile irraggiato delle quattro centrali nucleari nazionali dismesse da almeno un trentennio non si trova più in Italia. Anche se vi farà ritorno quando sarà pronto il deposito unico nazionale (sic!), è stato inviato in Francia e in Gran Bretagna, dove è stato sottoposto a riprocessamento. Grazie a questa situazione la quantità di rifiuti radioattivi presenti nel nostro Paese nel 2019 è sostanzialmente stabile, “con una crescita fisiologica delle quantità che è attenuata nei volumi – spiega l’Isin nell’inventario annuale appena pubblicato – grazie all’attività di trattamento sia dei nuovi rifiuti radioattivi che di quelli stoccati in passato”. Qui è possibile leggersi praticamente tutta la storia “nucleare” italiana dagli anni Sessanta ad oggi, una storia fatta di innovazione, di errori strategici e soprattutto di un lunghissimo addio pieno di insidie.
Ma da dove vengono allora questi rifiuti ancora presenti sparsi per lo Stivale? In buona parte sono di origine medico/sanitaria. E alcuni di questi “hanno perso rilevanza radiologica, rientrando nel regime ordinario dei rifiuti speciali”. L’incremento dei rifiuti radioattivi al 31 dicembre 2019, che pertanto tiene conto di tutte queste variabili, è stato pari a 608 m3. Nel 2018 erano 30.906 m3 mentre nel 2019 sono 31.027,30 m3.
Per quanto riguarda il 2019, nel dettaglio, sono aumentati i rifiuti radioattivi stoccati in Emilia Romagna (da 3000 m3 nel 2018 a 3272 nel 2019, + 272 m3), Basilicata (da 3215 m3 a 3362 m3 , +147 m3), Piemonte (da 5506 m3 a 5605 m3 , +99 m3), Lombardia (da 6060 m3 a 6147 m3 , +87 m3) e Campania (da 2965 m3 a 2968, +3 m3). In calo, al contrario, i rifiuti radioattivi detenuti in Puglia (da 849 m3 a 390), perché spostati in depositi in altre regioni, e Lazio (da 9311 m3 a 9284).
La gran parte dei rifiuti radioattivi presenti in Italia sono a vita molto breve (1405,74 m3, con una diminuzione pari a 250.53 m3 rispetto al 2018), ovvero che hanno una radioattività molto bassa e quindi dopo un rapido decadimento possono essere derubricati a rifiuti speciali “ordinari”; ad attività molto bassa (14.072,40 m3, con un aumento di 752,12 m3), a bassa attività (12.521,19 m3 , -289,38 m3 rispetto al 2018) e a media attività (3.027,96 m3, in calo di 90,8 m3)
Rispetto al report precedente, il reattore Ispra- 1, ospitato nel Centro comune di ricerche (Ccr) di Ispra (VA), compare nell’elenco degli impianti gestiti dalla Sogin: sulla base dell’accordo tra Governo italiano ed Euratom, infatti, la gestione è stata trasferita nel 2019 ai fini della relativa disattivazione.
Tra le diverse informazioni contenute nel rapporto Isin, inoltre, quelle relative a materiali e rifiuti radioattivi derivanti da attività di bonifica e stoccati in depositi locali. Si tratta di contaminazioni derivanti da eventi incidentali di fusione di sorgenti radioattive verificatesi presso installazioni industriali. L’Inventario ne riporta l’elenco aggiornato a seguito delle ricognizioni effettuate in collaborazione con il Snpa e con le prefetture interessate, con l’indicazione della tipologia di rifiuto prodotto, l’isotopo rilevato, la stima dell’attività, della massa e del volume. Le installazioni industriali monitorate sono attualmente 19, di cui 15 in Lombardia, 2 in Veneto e 2 in Toscana.