L'opposizione siriana: l'intervento straniero ha peggiorato la situazione
Siria: Kerry certifica il fallimento della politica mediorientale dell’Occidente
Hezbollah e Iran fuori dalla lista nera dei terroristi. Il vero nemico è lo Stato Islamico
[16 Marzo 2015]
Il segretario di Stato Usa John Kerry ha alla fine ammesso quel che nel nostro piccolo noi di greenreport.it dicevamo da tempo: gli Usa saranno costretti a negoziare con il regime nazional-socialista del presidente siriano Bashir al Assad che volevano abbattere, che poi è la ragione che ha dato il via alla guerra civile siriana che è degenerata in un conflitto settario che ha fornito il terreno adatto per la nascita della Stato Islamico/Daesh.
Kerry ha detto che i colloqui con il governo siriano – che così viene di fatto riconosciuto come legittimo – avverranno nell’ambito dei negoziati di Ginevra 2 che non sono riusciti a mettere fine ai combattimenti che hanno provocato 220.000 vittime e costretto la metà della popolazione siriana a scappare da dove viveva, mentre ci sono 4 milioni di profughi siriani nei Paesi vicini. Ed anche molti dei profughi che arrivano sulle nostre coste sono il frutto di un disastro politico/militare che la destra italiana che quei profughi vorrebbe ributtare in mare non ha mai criticato e che il governo PD-NCD ha appoggiato.
Kerry ha naturalmente accusato Assad di essere la causa del fallimento dei negoziati di Ginevra nei quali avrebbe dovuto semplicemente accettare di farsi da parte, ma ora il regime siriano ed i suoi alleati sono indispensabili se l’Occidente vuole davvero disfarsi dei tagliagole dello Stato Islamico, visto che in Siria bisogna «Tutti sono d’accordo che non c’è una soluzione militare – ha ammesso Kerry — La sola soluzione è politica».
Ma l’apertura al regime siriano ha fatto passare in secondo piano un fatto forse ancor più clamoroso: nel rapporto annuale consegnato dal direttore della Director of National Intelligence, Jamees Clapoer al Senato Usa, l’Iran e il partito/milizia sciita Hezbollah del Libano non figurano più nella lista nera del terrorismo. Secondo l’agenzia iraniana Fars News, «Nella versione non classificata del Worldwide Threat Assessment of the US Intelligence Communities del 26 febbraio 2015 sono stati messi in evidenza gli sforzi compiuti dall’Iran per combattere gli estremisti compresi quelli del gruppo radicale l’Isis» e un nuovo studio pubblicato Washington Institute fa notare che «Se gli avversari libanesi di Hezbollah fossero stati in grado di indebolirlo, lo avrebbe fatto molto tempo fa». Ma ora Hezbollah partecipa al governo libanese e, cosa ancora più importante ha molti uomini in Siria che combattono a fianco dei “volontari” iraniani contro lo Stato Islamico/Daesh. Se a questo si aggiunge che il Washington Institute è convinto che una guerra di Israele contro Hezbollah «Si tradurrebbe in un conflitto molto peggiore rispetto a quello combattuto nel 2006» e che le milizie sciite libanesi hanno maturato esperienza nella guerra in Siria, anche Benny Gantz, ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, sostiene che «Hezbollah è più forte di qualunque esercito arabo».
Lo studio rileva che «Il Libano mantiene la sua coesione interna, nonostante le differenze derivanti dalla guerra in Siria. Inoltre, aggiunge che l’esercito libanese, che ha il sostegno della maggioranza del popolo libanese, oggi lotta contro i gruppi estremisti, al confine con la Siria e riceve armi dagli USA. Allo stato attuale, sono le minacce ai confini settentrionali e orientali a interessare i libanesi. Per queste ragioni, il conflitto del popolo libanese non è interno, ma con i gruppi terroristici takfiri provenienti dall’estero».
Insomma gli ex nemici e terroristi di qualche mese fa sono diventati preziosi alleati per permettere all’Occidente di sconfiggere le milizie dello Stato Islamico che combattono con armi fornite loro quando erano amici dell’Occidente e con quelle sottratte all’esercito siriano che gli Usa ed i loro alleati volevano scnfitto, per non parlare dei proventi di quel petrolio che le cancellerie occidentali volevano togliere dalle mani del dittatore Assad e che hanno consegnato in quelle del califfato nero del terrore.
In un’intervista all’agenzia ufficiale Xinhua, Mahmud Muri, un politico siriano, fa efficacemente il punto della situazione: «La crisi in Siria è entrata nel suo quinto anno a causa degli interventi arabi ed occidentali nella crisi. Dei Paesi hanno sostenuto l’insurrezione con le armi ed hanno finanziato i ribelli e le organizzazioni terroriste, è per questo che la crisi in Siria non è ancora finita: questo è il risultato dell’aiuto straniero ai gruppi terroristici in Siria».
La pensa così anche
Safwan Akkasheh, uno dei leader dell’opposizione “laica” Siriana: «Uno dei fattori più importanti dietro l’attuale conflitto in sIria è l’intervento straniero. Tutti i Paesi che si sono inseriti nella crisi lo hanno fatto per i loro interessi e per egoismo ed il loro interessi sono generalmente contrari a quelli del popolo siriano. Questi interventi non si limitano ai Paesi occidentali… E’ certo che alcuni Paesi occidentali intervengono apertamente, Ma ci sono altri Paesi della regione e vicini che sono implicati nella crisi in Siria». I riferimenti a Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Iran e Giordania sono chiarissimi.
Maher Murhej, a capo del Partito della Gioventù, dice che la presenza di estremisti su entrambi i fronti e la decisione del governo siriano di non trattare con l’opposizione moderata hanno contribuito a questa guerra spietata, ma «La ragione principale del conflitto è stata certamente l’intervento straniero. Dei Paesi stranieri hanno nutrito l’insurrezione armata e forniscono uomini armati ed armi. Fino ad ora, non c’è una reale volontà internazionale de mettere fine alla crisi con una soluzione politica, perché certi Paesi lottano ancora per ottenere un’influenza più grande sulla Siria nel periodo che seguirà la crisi. La presenza e la minaccia crescente dello Stato Islamico ha naturalmente terrorizzato tutti i Paesi. Questo mostro ha persuaso numerosi uomini occidentali a raggiungere i sui ranghi e questi militanti potrebbero ritornare nei loro Paesi radicalizzati».
Murhej la pensa come Kerry: «Le potenze Occidentali e le parti coinvolte nella crisi in Siria devono rivedere le loro politiche. Se non riescono a prendere delle misure ferme nella lotta allo Stato Islamico in Siria, la regione farà anche fronte a delle minacce più radicali di quelle poste perfino da Al Qaeda. Il Daesh è più pericoloso di Al Qaeda e la comunità internazionale deve prenderne coscienza. E’ per questo che dico che quest’anno sarà cruciale per la crisi in Siria. I Paesi occidentali e della regione dovrebbero veramente modificare le loro posizioni riguardo alla Siria, per prevenire la minaccia costante del terrorismo, che altrimenti potrebbe propagarsi ai loro stessi Paesi».
Ma nei giorni degli attentati anti-cristiani dei talebani sunniti in Pakistan e mentre continuano le persecuzioni dello Stato Islamico di cristiani e di altre minoranze etniche e religiose nei territori occupati dalle milizie sunnite del Daesh in Siria ed Iraq, a quanto pare se ne è accorto anche Kerry e gli tocca scegliere alleati scomodi in sostituzione di quelli che aveva sconsideratamente appoggiato. Nuovi alleati sciiti di Hezbollah,, che in Libano governa con sunniti e cristiani, e con le forze sciite/alauite che à combattono in Siria insieme a molti cristiani: il regime di Assad e l’Iran, tutti mondati dalle accuse di terrorismo.