Nell’Ue sono ancora 350 gli impianti attivi, 13 in Italia
Stop alle centrali a carbone: una risoluzione per impegnare il governo a chiuderle
Stella Bianchi (Pd, Globe Italia): «L'energia che producono non ci serve. Il futuro è oggi»
[22 Ottobre 2015]
L’accelerazione dei cambiamenti climatici e il loro già tragico impatto ci impongono un cambio di passo verso fonti energetiche pulite e azioni forti per ridurre drasticamente e con urgenza l’uso dei combustibili fossili, a partire da quelli più inquinanti. Fermare l’uso del carbone non è più rinviabile. Non possiamo continuare a usare il combustibile fossile più pericoloso per clima, salute e ambiente, responsabile di emissioni di CO2 superiori del 30% a quelle del petrolio e del 70% rispetto al gas naturale. Per questo ho presentato una risoluzione per impegnare il governo a predisporre un piano di chiusura delle centrali a carbone ancora presenti nel nostro territorio, ben tredici ancora, a definire e introdurre nuovi standard e limiti alle emissioni di CO2 delle centrali per raggiungere gli obiettivi di contenimento dell’aumento della temperatura media globale entro la soglia dei due gradi, e a promuovere anche in sede europea l’adozione di standard e limiti di emissione delle centrali termoelettriche.
Oltre alle emissioni di biossido di carbonio disperse nell’ambiente, la pericolosità del carbone è aggravata dalla dispersione di mercurio, piombo, arsenico, cadmio e altri metalli pesanti. Nel 2010, anno a cui vanno riferiti tutti gli impatti stimati, si sono registrati in Europa 22.300 decessi a causa del carbone, di questi 521 in Italia. L’incidenza sulla salute pubblica è tanto maggiore quanto più gli impianti si trovano in prossimità di centri abitati o addirittura integrati in essi, come accade in Italia ad esempio con gli impianti di Civitavecchia, di La Spezia, di Genova o di Monfalcone.
In questi anni assistiamo ad una riduzione dell’uso del carbone ma ancora a ritmi troppo lenti. Nel 2007 il carbone copriva la metà del fabbisogno complessivo di energia, mentre alla fine del 2015 la quota toccherà il 36%, in calo ancora rispetto al 39% di un anno fa. Un declino che non può che accentuarsi, come dimostra bene il calo negli Stati Uniti – che insieme alla Cina consumano più carbone del resto del mondo – incentivato dall’impegno del presidente Barack Obama e dal suo “Clean Power Plan”, il programma che prevede la riduzione in casa propria, entro il 2030, delle emissioni di CO2 del 32% rispetto ai valori del 2005 e che si basa proprio sulla definizione e applicazione di limiti alle emissioni di co2 delle centrali.
Fermare l’uso del carbone e lasciare nel sottosuolo le riserve ancora presenti è di fondamentale importanza per raggiungere gli obiettivi ambiziosi e irrinunciabili di contenimento dell’aumento della temperatura media globale entro i due gradi in più rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale, sapendo che abbiamo già provocato un aumento di 0,85 gradi con l’attività umana e soprattutto con l’uso di carbone, petrolio e gas. Insomma, il successo nel vertice Onu di Parigi, nel quale i 196 paesi membri sono chiamati a raggiungere un accordo globale vincolante di riduzione delle emissioni consistente con l’obiettivo dei due gradi, sarà tanto più solido e rassicurante quanto più sarà fondato su uno stop al carbone, pericolo pubblico numero 1 per chi vuole combattere i cambiamenti climatici come più volte ha spiegato tra gli altri Jim Hansen, ex direttore del Goddard Institute for Space Studies della Nasa.
Nell’Unione europea sono ancora attive 350 centrali a carbone. Tra le trenta centrali più inquinanti d’Europa, tutte alimentate a carbone e concentrate soprattutto in Germania, Polonia e Regno Unito, ci sono anche due impianti situati in Italia, Brindisi sud e Torrevaldaliga nei pressi di Civitavecchia. Nel 2014 le centrali italiane hanno contribuito a coprire il 13,5% del fabbisogno di elettricità causando emissioni di CO2 per 39,4 milioni di tonnellate, pari al 40% delle emissioni dell’intero comparto termoelettrico. Davvero ci serve l’energia prodotta dalle centrali a carbone? I dati ci dicono di no. Il nostro Paese ha una sovrabbondanza di centrali termoelettriche con una capacità installata doppia rispetto alla domanda di picco, senza considerare l’apporto delle rinnovabili. Anche fermando le centrali a carbone continueremmo ad avere una sovrapproduzione di energia elettrica da centrali tradizionali che usano combustibili fossili.
In più sappiamo che aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili consente di creare un numero maggiore di posti di lavoro: secondo l’Uk energy research centre (Ukerc) rinnovabili ed efficienza energetica creano un numero di posti di lavoro dieci volte superiore rispetto al termoelettrico, e secondo Legambiente si stima che il settore delle energie rinnovabili potrebbe creare 250 mila posti di lavoro, più altri 600 mila nei settori collegati e nell’indotto entro il 2020.
Sono tutte misure a portata di mano per il nostro Paese, che può diventare capofila virtuoso in Europa dello stop all’uso del carbone rilanciando anche gli investimenti in efficienza energetica, rinnovabili e reti intelligenti. Insomma, il futuro è già oggi.
di Stella Bianchi – deputata Pd, presidente dell’intergruppo parlamentare per il clima Globe Italia