Urina, la fonte rinnovabile che non ti aspetti
[13 Marzo 2014]
Se oltre sette miliardi di persone popolano in questo momento il nostro pianeta, significa che, in media, intorno a 10 miliardi di litri di urina umana sono prodotti ogni giorno. E’ l’equivalente di 4.200 piscine olimpioniche, giusto per fare un paragone originale. Nei paesi industrializzati questo flusso di liquidi viene gestito in qualche modo (rete fognaria, depuratori, ecc.), negli altri viene invece disperso più o meno direttamente nell’ambiente.
Nello stesso tempo, circa un settimo della popolazione non ha accesso all’elettricità di base, e preso atto che i combustibili fossili non sono la soluzione sostenibile (ambientalmente, ma inserendo nel computo le varie esternalità negative, anche economicamente). Secondo alcuni ricercatori per i paesi in via di sviluppo, dove il problema dell’energia e quello della gestione delle acque reflue si pongono insieme con drammatica attualità, una risposta potrebbe risiedere nei metodi in fase di sviluppo per generare energia da questa “fonte improbabile”, l’urina.
L’anno scorso, un gruppo di ricercatori del Bristol Robotics Laboratory nel Regno Unito ha dimostrato che si può alimentare un telefono cellulare con urina umana. Il loro dispositivo ha utilizzato ciò che è noto come celle a combustibile microbiche (MFC) per generare abbastanza energia per uno smartphone nel gestire messaggi , navigare in internet e fare telefonate brevi. Ma la cosa più importante è che questi ricercatori sono convinti che in un futuro non troppo lontano si potrebbe finalmente alimentare edifici, e forse anche interi villaggi, off-grid (quindi ideale per comunità isolate e non raggiungibili dalla rete di distribuzione).
Una cella a combustibile microbica è essenzialmente un convertitore di energia che utilizza batteri presenti in natura per decomporre la materia organica, producendo elettroni che vengono convertiti in energia. Si tratta di un sistema di auto-rinnovo, perché più urina i microbi processano, più energia il sistema può generare, e più a lungo.
Secondo Ani Vallabhaneni, cofondatore di SANergy, una start-up che converte i rifiuti umani in energia e fertilizzante nelle baraccopoli del Kenya, mentre i comuni digestori di biogas (che convertono i rifiuti in gas, principalmente metano) hanno un’efficienza energetica pari a circa il 35%, le cellule MFC raggiungono fino a 85% di efficienza.
La ricerca sulle MFC in verità parte però da lontano. La loro prima apparizione risale a oltre un secolo fa, e le ricerche hanno avanzato a singhiozzo da allora. Nel 1960, la Nasa ha iniziato a studiare celle a combustibile microbiche nello spazio per generare energia da lolla di riso. Ma è solo dopo il 2000 che quest’area di ricerca è veramente esplosa – spinta soprattutto da un bisogno crescente di fonti rinnovabili di energia.
Ioannis Ieropoulos è il capo ricercatore del progetto presso il Bristol Robotics Laboratory, e il suo team sta lavorando a questa tecnologia dal 2002, sostenuto dalla Bill & Melinda Gates Foundation. Secondo i loro calcoli, se tale tecnologia fosse realizzata in un villaggio di 2.500 persone e tutta la loro urina fosse costantemente incanalata verso un’apposita “cisterna”, si potrebbe generare una corrente costante di circa 500 watt, pari a circa 12 chilowattora di energia al giorno. Attualmente, questo tipo di sistema dovrebbe costare tra i 5.000 e 10.000 dollari, che a prima vista sembra un investimento improponibile per un piccolo villaggio, ma bisogna considerare che sarebbe ammortizzabile per un tempo incredibilmente lungo perché questi organismi si auto-rinnovano. «Finché si alimentano delle acque reflue, i batteri sono felici», chiosa il ricercatore.
Mentre i pannelli solari di oggi, a parità di costo, potrebbero certamente fornire più potenza per unità, non avrebbero però la stessa durata e – aspetto non secondario – non sarebbero in grado di pulire le acque reflue (che rappresentano anche un problema di igiene urbana). I ricercatori di Bristol mirano a superare questo problema del costo ancora elevato (per un paese in via di sviluppo) . «Dobbiamo essere realistici – dice Ieropoulos – non possiamo promuovere una tecnologia che non è possibile attuare in un paese povero. Non si può pretendere che un ingegnere chimico sia presente in ogni villaggio. Il processo deve essere semplice, robusto , longevo e auto alimentante».