Gambia: fine della dittatura di Yahya Jammeh, una buona notizia anche per l’Italia
Il nuovo presidente Adama Barrow «E’ un nuovo Gambia. C’è speranza»
[5 Dicembre 2016]
In Gambia è successo il miracolo che in molti speravano e che la dittatura temeva: il candidato dell’opposizione, Adama Barrow, ha vinto le prime elezioni libere dopo il colpo di stato che nel 1994 portò al potere Yahya Jammeh e instaurò una dittatura sempre più delirante. E’ una buona notizia anche per l’Italia perché molti dei giovani neri richiedenti asilo che attraversano il Mediterraneo per raggiungere le nostre coste provengono dal picciolo Paese africano, paradiso dei turisti e infermo per i suoi cittadini.
Per la dittatura le elezioni si sono trasformate in una disfatta: secondo la Commissione elettorale indipendente, Adama Barrow ha raccolto 263.515 voti e il 45,54%, Yahya Jammeh si è fermato a 212.099 voti 36,6%) e Mama Kandeh, un ex fedelissimo di Jammeh, è arrivato terzo con 102.969 voti (17,8%). La paura e la sfiducia hanno però ha rischiato di far vincere ancora Jammeh: sono andati a votare solo 890.000 gambiani dei circa 2 milioni chiamati alle urne. Il presidente della Commissione elettorale, Alieu Momar Njie, ha annunciato che Yahya Jammeh avrebbe riconosciuto subito la sua sconfitta . Il vincitore, Adama Barrow, ha 51 anni e fa parte della direzione dell’United democratic party (Udp), la principale forza di opposizione, e capeggiava una coalizione di 7 diversi partiti che hanno pagato un durissimo prezzo in questi 22 anni di dittatura. Dopo l’annuncio della sua vittoria le strade della capitale Banjul sono state invase dalla folla che ha festeggiato per tutta la notte tra il 2 e il 3 dicembre. Una festa che hanno poi continuato i bambini al mattino, giocando e cantando. I negozi sono stati riaperti dopo una chiusura di due giorni e i venditori ambulanti hanno ripreso il loro posto al bordo delle strade. I check-points installati per le votazioni sono stati rimossi e addirittura funziona di nuovo Internet. Come spiega Radio France International, «Per 30 ore il Gambia era stato tagliato fuori dal mondo. Le reti sociali sono molto utilizzate, soprattutto per contattare tutti quelli che vivono in esilio». Quello che si respira in questo piccolo e sfortunato Paese è un senso di sollievo, di felicità, come quando ci si sveglia da un incubo che non si pensava potesse finire. Sono le stesse facce, gli stessi sorrisi, gli stessi abbracci e baci di quando italiani, portoghesi, spagnoli si sono liberati dal fascismo
In un’intervista concessa all’Afp, il neo-presidente Barrow ha sottolineato: «Il messaggio per le popolazioni gambiane: è tempo di mettersi al lavoro. E’ un nuovo Gambia, un nuovo atteggiamento, per il cambiamento e lo sviluppo del nostro Paese. C’è speranza». E speranza è la parola che era scomparsa in Gambia, soffocata dalla bizzarra e feroce dittatura di Yahya Jammeh.
Molti esiliati temono che la cricca del dittatore possa tentare un nuovo golpe, ma Barrow si è detto fiducioso che questo non avverrà: «C’è speranza perché ho un team molto buono, che è molto istruito, c’è dunque una speranza per il Gambia. Penso che cambieremo molte cose».
Dopo 4 elezioni truccate Yahya Jammeh non è riuscito a farsi rieleggere per il suo quinto mandato. Eppure tutti i commentatori erano sicuri della vittoria del dittatore e che Barrow avrebbe dovuto contentarsi del ruolo di figurante di una finta opposizione. Barrow, proprietario di un’agenzia immobiliare, era poco conosciuto dalla gente fino a che, a ottobre, un’ampia coalizione dell’opposizione lo ha candidato a presidente dopo che Yahya Jammeh aveva fatto arrestare lo storico leader dell’Udp, Ousainou Darboe, poi condannato a 3 anni di prigione insieme a molti esponenti dell’Udp.
Invece ha vinto questo “sconosciuto”, nato nel 1965 a Mankamang Kunda, un piccolo villaggio vicino a Basse Santu, nell’estremo ovest del Gambia, che è riuscito a proseguire i suoi studi solo grazie a una borsa di studio per una scuola secondaria islamica. Il nuovo presidente del Gambia ha lavorato per diversi anni per la compagnia Alhagie Musa & Sons, prima di diventarne direttore vendite, intanto, nel 1996, si era iscritto all’Udp. All’inizio degli anni 2000 è emigrato a Londra, dove si è diplomato- Poi è ritornato in Gambia nel 2006 ed ha creato la Majum Real Estate, grazie alla quale ha fatto fortuna.
Il compito del nuovo presidente del Gambia sarà molto difficile: nel 2013, un rapporto Onu sullo sviluppo umano diceva che «Il 60% della popolazione del Gambia vive in uno stato di povertà multiforme, un terzo della quale con meno di 1,25 dollari al giorno». Ancora a giugno Amnesty International denunciava lo spazio molto ridotto concesso ad ogni forma di dissenso in Gambia e la crescente repressione della dittatura. A Banjul nessuno pronunciava a voce alta il nome di Yahya Jammeh, la polizia segreta faceva irruzione nelle case e i desaparecidos erano la normalità. E’ per questo che molti gambiani fuggono dal loro minuscolo Paese stretto tra il Senegal e il fiume Gambia.
Per 22 anni Yahya Jammeh, arrivato al potere a soli 29 anni, spodestando il corrotto presidente Dawda Jawara, ha regnato come un capriccioso monarca assoluto, alla testa di un comitato militare provvisorio composto di suoi camerati dei quali, negli anni successivi, si è sbarazzato mettendoli uno dopo l’altro in galera o facendoli assassinare. I più fortunati sono riusciti a fuggire in esilio. Così, il Gambia è diventato proprietà di un dittatore che non accettava né la minima divergenza né consigli e noto per le sue decisioni impulsive e per le sue idee strane. Un Duce che ha avviato una repressione sempre più feroce e sistematica e circondato da complici dei quali non si fidava. Nonostante tutto questo, alla fine degli anni ’90 Jammeh era un beniamino dei Paesi occidentali, fino a che la sua deriva autoritaria non è stata troppo anche per lo stomaco forte delle cancellerie europee e dell’amministrazione statunitense. In Gambia si sono succeduti gli omicidi di giornalisti e oppositori, è stata messa la museruola alla stampa e la libertà di espressione è diventata una chimera. Ogni dibattito pubblico è stato impedito e il regime ha approvato una sequela di leggi repressive e proceduto ad arresti arbitrari e sparizioni degli oppositori e dei loro familiari.
Ma la cupa era di quello che in molti in Gambia chiamano il “faraone” sembra finita e con lei le stranezze di un Ubu africano che nel 2007 annunciò di aver scoperto una cura per l’Aids a base di piante e che espulse dal Paese il coordinatore Onu che aveva osato mettere in dubbio la “scoperta”. Due anni dopo, Jammeh decretò una caccia alle streghe che portò all’arresto di centinaia di gambiane e gambiani accusati di praticare la magia nera. Si dice che un marabout gli abbia predetto un tentativi di colpo di Stato e che il dittatore, dedito all’occultismo, in base a questo abbia giustiziato 9 persone nell’agosto 2012, senza nessun capo d’accusa e mettendo fine a una moratoria ventennale sulla pena di morte. Due dei giustiziati erano senegalesi e questo provocò una crisi col potente vicino.
Negli anni della dittatura gli arresti e le detenzioni arbitrarie di oppositori e imam poco ubbidienti erano la normalità. D’altronde, tutti i gambiani erano tenuti sotto controllo: le carte SIM dovevano essere tutte registrate e il governo ha tentato di vietare Skype e Viber, nessuno discuteva di politica al telefono. Il dittatore non si fidava dei suoi compatrioti e del suo esercito: la sua guardia presidenziale era composta soprattutto di diola, miliziani del Mouvement des forces démocratiques de Casamance (Mfdc), i secessionisti senegalesi il cui leader, Salif Sadio, è ospitato a Banjul.
Il dittatore si faceva chiamare “Sua Eccellenza, Sceicco, Professore, El Hadji, Dr Yahya Abdul-Aziz Jemus Junkung Jammeh”, era amico di Gheddafi e diceva di far parte dell’asse Caracas-Cuba-Teheran, ma poi preferiva andare a cena a Parigi all’Eliseo con il presidente francese Jacques Chirac. Solo recentemente Yahya Jammeh si è ritrovato isolato nella comunità internazionale e ormai il satrapo gambiano poteva contare solo sul sostegno incondizionato di Taiwan, ma il 14 novembre – probabilmente su pressione cinese – ha rotto le relazioni diplomatiche anche con Taipei.
L’antimperialismo intransigente di Yahya Jammeh era solo una sanguinaria facciata, come quando ha abbandonato il Commonwealth, o si è indignato per «La campagna calunniosa contro il Gambia fomentata da certe potenze occidentali colluse con l’Udp, un Partito tribale mandingo». Poi, a metà ottobre, il dittatore è apparso alla TV nazionale minacciando tutti: «Offuscare l’image di questo Paese è un atto di tradimento e tutte le persone impegnate su questa strada la pagheranno molto cara. Se l’immagine del Gambia è più opaca che mai, è quindi a loro che lo dobbiamo».
Questa volta i gambiani non si sono fatti impaurire. Ma è’ su queste macerie sanguinanti, su questa devastazione politica e culturale che dovrà ricostruire Adama Barrow, speriamo insieme al suo piccolo popolo e ai migranti che lo aiuteranno dall’estero o ritornando in patria.