Ecco i paesi del mondo dove i lavoratori vivono peggio
«I governi agiscono a favore delle grandi imprese, non degli oppressi che sostengono i loro diritti»
[17 Giugno 2014]
Intimidazioni, prigione, morte: sono queste le minacce che ogni giorno i sindacalisti e i semplici lavoratori devono affrontare in molti Paesi del mondo, dove sono privati dei diritti di base come le assenze per malattia, l’equa retribuzione e condizioni di lavoro umane. A dirlo è l’ITUC Global Rights Index 2014 – The world’s worst countries for workers, presentato dall’International Trade Union Confederation (Ituc) che ha valutato i diritti dei lavoratori classificandoli dal livello 1 (le migliori protezioni) a 5 (le peggiori protezioni) fino a 5+, la frontiera dove i diritti dei lavoratori non esistono.
Ne è venuta fuori la classifica della vergogna che, letta con attenzione, ci rivela quanto siano legate le ingiustizie del mondo (anche quelle che sbarcano sulle nostre coste da relitti pieni di disperati) alle ingiustizie contro i lavoratori. Va detto che dalla classifica mancano paesi che potrebbero figurare in gran parte agli ultimi posti della graduatoria: in Asia, Afghanistan; Armenia; Azerbaigian; Bhutan; Corea del Nord; Kirghizistan; Mongolia; Tagikistan; Tukmenistan; Uzbekistan, Timor Leste; Vietnam; in Africa, Capo Verde; Comore; Eritrea; Gabon; Guinea; Guinea Bissau; Guinea Equatoriale; Liberia; Niger; Repubblica Araba Sahrawi (Occupata dal Marocco); Sao Tome e Principe; Seychelles; in America, Cuba; Groenlandia, Honduras; Guyana; Suriname e tutti i piccoli Stati insulari delle Antille; in Oceania Papua Nuova Guinea e praticamente tutti i piccoli Stati insulari del Pacifico; in Europa, l’Austria.
Ecco l’ ITUC Global Rights Index 2014, partendo dalle ultime posizioni:
Punteggio 5 + – Nessuna garanzia dei diritti dovuta alla mancanza dello Stato di diritto in 8 Paesi: Libia, Repubblica Centrafricana, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Ucraina.
Tra questi Paesi quello messo peggio è la Repubblica Centrafricana dilaniata dalla guerra. Il Paese è nel caos dal colpo di stato dei ribelli della Colazione armata Séléka del marzo 2013, ormai gli attacchi agli operatori umanitari non si contano più e il principale sindacato del Paese è stato sciolto addirittura nel 1981 dal regime dittatoriale di Dacko. Il lavoro minorile è comune ed il ministero del lavoro non ha mai definito o fatto osservare standard per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
L’altro inferno dei lavoratori è diventata la Siria. Anche quila guerra civile e quattro anni di violenza del regime e delle milizie islamiche hanno devastato l’economia. Teoricamente, nella siria del nazional-socialismo baathista ci sarebbe è un salario minimo obbligatorio per legge, ma i salari medi sono in continuo calo e lavoratori ogni giorno affrontano la morte a causa dei bombardamenti o degli attacchi armati delle milizie ribelli e dell’esercito regolare. La corruzione è dilagante e la metà dei 5 milioni di lavoratori siriani è disoccupata. Un rapporto Onu ha avvertito che l’economia del Paese è sulla strada della rovina. Molte aziende hanno chiuso e gli operai sono fuggiti nei Paesi vicini o in Europa alla ricerca di una possibilità di sopravvivere.
Punteggio 5 – Nessuna garanzia dei diritti: 24 paesi Algeria; Arabia Saudita; Bangladesh; Bielorussia; Cambogia; Cina; Colombia; Costa d’Avorio; Egitto; Emirati Arbi Uniti; Figi; Grecia; Guatemala; India; Laos; Malaysia; Nigeria; Filippine; Qatar; Corea del sud; Swaziland; Turchia; Zambia; Zimbabwe.
In questo gruppo ci sono 4 dei Paesi nei quali i lavoratori sono trattati peggio, a cominciare dalla Cambogia, dove i lavoratori che chiedono migliori condizioni di vita vengono licenziati senza giusta causa e subiscono intimidazioni, arresti e violrenze. A gennaio la polizia cambogiana ha sparato contro i lavoratori tessili che manifestavano nella capitale Phom Penh per un salario minimo più alto. Sono morti 3 operai e molti sono stati feriti. In altre manifestazioni diversi manifestanti sono stati arrestati ed altri sono stati picchiati brutalmente dalla polizia. Per le terribili condizioni di lavoro si segnala la morte di 500 operai nelle fabbriche di abbigliamento solo quest’anno, e più di 4.000 nei 4 anni precedenti.
Tra i Paesi che non amano i lavoratori c’è anche la Cina “comunista”. A Repubblica Popolare è nota per i suoi bassi salari e per le leggi sul lavoro che proibiscono i sindacati indipendenti e limitano il diritto di sciopero. Nell’ultimo anno ci sono stati scioperi in fabbriche IBM, Pepsico, Nike, Adidas e nei supermercati Walmart, ma alcuni esperti dicono che i leader comunisti stanno solo aizzando gli scioperi nella speranza di riequilibrare un rallentamento dell’economia. Le condizioni di lavoro sono ancora terribili in molti settori, con una media di 200 operai al giorno morti sul lavoro. Fino a 6 milioni di lavoratori cinesi soffrono di malattie respiratorie, spesso causati dall’esposizione alla polvere, che si accumula nei polmoni.
L’unico Paese europeo a figurare tra i “cattivi” insieme all’Ucraina è l’ultima dittatura del continente: la Bielorussia che ora fa parte dell’Unione economica eurasiatica, il nuovo blocco voluto dalla Russia, che comprende anche il Kazakistan, voluto da Vladmir Putin come contrappeso all’Ue ed agli Usa. Un’unione che teoricamente prevede uguale educazione e opportunità di lavoro per chi ne fa parte, ma non menziona i diritti sindacali o i salari dei lavoratori. Dal 1994, anno in cui prese il potere, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha spazzato via i sindacati indipendenti. I salari del paese restano tra i più bassi in Europa, mentre il costo della vita continua a salire.
A sorpresa (ma non per chi conosce la sua storia fatta di golpe fascisti e regimi autoritari), tra i peggiori Paesi per i lavoratori si piazza la tecnologica Corea del sud. Un gigante come Samsung è stato accusato di utilizzare fino a 10.000 lavoratori illegali e di aver ostacolato in tutti i modi la formazione di sindacati nelle sue fabbriche. Fino a 1.400 lavoratori hanno sfidato questa politica aziendale repressiva e nel 2013 hanno costituito quello che è considerato il primo sindacato sudcoreano della multinazionale, ma poi sono stati costretti a smantellarlo dalla dirigenza Samsung. Nell’ottobre 2013 un lavoratore del Samsung service center, Choi Jong-Beom, si era suicidato come estrema protesta contro i bassi salari e le dure condizioni di lavoro nell’azienda, sostenendo che era stato costretto saltare i pasti per tenere il ritmo di produttività imposto, con una giornata di lavoro che iniziativa alle 7,00 e non finiva fino alle 21,00, senza giorni di riposo.
I Paesi con punteggio 4, quelli con violazioni sistematiche dei diritti dei lavoratori sono 30: i Argentina; Bahrain; Botswana; El Salvador; Giordania; Haiti; Honduras; Hong Kong; Indonesia; Iran; Iraq; Kenya; Kuwait; Libano; Mali; Marocco; Mauritania; Mauritius; Messico; Myanmar; Nepal; Oman; Pakistan; Panama; Peru; Repubblica democratica del Congo; Sierra Leone; Thailandia; Usa; Yemen.
I Paesi al ranking 3, con violazioni regolari dei diritti, sono 33: Australia; Bahamas; Benin; Bolivia; Brasile; Bulgaria; Burundi; Canada; Ciad; Cile; Congo; Costa Rica; Ecuador; Etiopia; Georgia; Ghana; Gibuti; Gran Bretagna; Israele; Lesotho; Madagascar; Mozambico; Namibia; Paraguay; Polonia; Portogallo; Romania; Singapore; Sri Lanka; Taiwan; Tanzania; Uganda; Venezuela.
Sono 26 gli Stati al livello 2, con ripetute violazioni dei diritti: Albania; Angola; Belize; Bosnia Herzegovina; Burkina Faso; Camerun; Croazia; Giappone; Ungheria; Irlanda; Jamaica; Lettonia; Macedonia; Malawi; Moldova; Nuova Zelanda; Repubblica Ceca; Repubblica Dominicana; Russia; Rwanda; Senegal; Serbia; Spagna; Svizzera; Trinidad and Tobago; Tunisia.
I Paesi più virtuosi, con violazioni dei diritti lievi e irregolari sono 18, e quasi tutti europei: Barbados; Belgio; Danimarca; Estonia; Finlandia; Francia; Germania; Islanda; Italia; Lituania; Montenegro; Norvegia; Olanda; Slovacchia; Sudafrica; Svezia; Togo; Uruguay.
L’Ituc denuncia: «Le imprese, usando il loro potere sui governi, stanno tentando un attacco globale coordinato ai diritti dei lavoratori, compreso il diritto di sciopero». Nel 2013, 1.951 sindacalisti hanno subito violenze 629 sono stati illegalmente detenuti. Leader sindacali sono stati assassinati in 10 Paesi, tra i quali Cambogia, Bangladesh, Filippine, Messico, Honduras, Guatemala, Colombia, Mauritania, Egitto e Benin. Il Paese più pericoloso per i sindacalisti è la Colombia, dove nel 2013 ne sono stati assassinati 26, otto in più che nel 2012.
Sharan Burrow, segretaria generale dell’Ituc, rimarca: «I governi agiscono a favore delle grandi imprese, non delle persone oppresse che sostengono i diritti dei lavoratori». Eppure dall’ ITUC Global Poll 2014 emerge che il 75% dei cittadini sondati in 14 Paesi sostiene il diritto di sciopero; il 77% è a favore di leggi che tutelano la salute e la sicurezza dei lavoratori; il 94% vuole leggi che stabiliscono e proteggono un salario minimo decente; per l’89% i lavoratori hanno diritto alla contrattazione collettiva; l’86% pensa che le leggi debbano tutelare il diritto dei lavoratori ad aderire ad un sindacato. Ma, dice la Burrow, «nonostante il forte sostegno pubblico per il diritto di sciopero, 37 Paesi negli ultimi 12 mesi hanno inflitto multe o addirittura la reclusione per scioperi legittimi e pacifici».