Resto nel Rojava per difendere Afrin. Lettera da Kobane di un combattente internazionalista
La Turchia bombarda centri abitati e campi profughi, ma i kurdi la fermano sul terreno
[29 Gennaio 2018]
Ieri nel nord della Siria gli aerei turchi hanno bombardato il campo profughi di Rubar, vicino al villaggio di Kubla, nella regione di Shirawi, nel canntone kurdo-siriano di Afrin, facendo altre vittime tra la popolazione civile che era fuggita da un’altra guerra siriana. Infatti, l’invasione aerea e terrestre della Siria non colpisce solo i kurdi e le milizie progressiste, ma anche gli assiro-caldei e gli arabi e le altre componenti della popolazione multietnica di Afrin. Le autorità kurde che amministrano il cantone dicono che «L’aggressione della Turchia contro la popolazione di Afrin è un crimine contro l’umanità, identico a quelli commessi dal Daesh (lo Stato Islamico ormai sconfitto in gran parte proprio grazie ai kurdi del Rojava, ndr). Condurre un’operazione militare contro un’entità dalla quale non si è stati minacciati è un crimine di guerra».
I bombardamenti turchi, dal cielo e da terra, sono iniziati nel pomeriggio del 20 gennaio e la Russia – pur mostrando una certa irritazione . li ha avallati tollerando che 72 aerei da combattimento colpissero il centro di Afrin e i distretti di Cindirêsê, Reco, Shera, Shêrawa e Mabeta e il campo profughi di Rubar, dove vivono circa 20.000 rifugiati interni siriani fuggiti di fronte alla ferocia delle milizie jihadiste armate e finanziate dalla Turchia e all’esercito siriano armato dalla Russia. I militari turchi, i loro alleati jihadisti e quel che rimane della Free Syrian Army (Fsa) non sono però riusciti a entrare ad Afrin, respinti dalle milizie kurde a delle Ypg/Ypj e delle Syrian Democratic Forces (Sdf), così stanno cercando di terrorizzare la popolazione per costringerla a spostarsi nella zona cuscinetto occupata dalle truppe turche e dai loro alleati nel nord della Siria.
Mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan annuncia che i suoi carri armati arriveranno fino ai confini con l’Iraq, salta il gtavolo di trattative di Astana sul futuro della Siria e i kurdi chiedono all’esercito di Assad di intervenire in difesa del territorio siriano invaso dai turchi. In un comunicato le Ypg/Ypj e le Sdf sottolineano che «Dal diritto internazionale questo tipo di operazione viene qualificata come occupazione. Né il v Cantone di Afrin né gli altri Cantoni kurdi della Siria hanno mai attaccato o minacciato di attaccare la Turchia. Al contrario, la Turchia non cessa di minacciare queste regioni contro le quali ha condotto degli attacchi sporadici nel corso degli ultimi anni. L’offensiva che conduce attualmente la Turchia costituisce un “attacco contro uno Stato sovrano”, un’occupazione del suo territorio e un aggressione senza fondamento contro la sua popolazione civile. Ci appelliamo a tutte le forze democratiche perché manifestino la loro solidarietà con i kurdi e le altre componenti della popolazione di Afrin e condannino l’invasione genocida della Turchia. Chiediamo alle Nazioni Unite, alla comunità internazionale e alla coalizione anti-Daesh di prendere delle iniziative urgenti per mettere fine a questa aggressione che minaccia la vita di centinaia di migliaia di persone, Chiediamo al Consiglio di sicurezza dell’Onu di agire raidamente per istituire delle zone di sicurezza nel nord della Siria. Questo apporterà una soluzione alla crisi siriana nel quadro di una protezione internazionale. Chiediamo alla comunità internazionale di rompre il suo silenzio che legittima le gravi violazion i dei diritti umani che risultano da questo attacco»,
Ma la comunità internazionale tace, soprattutto i Paesi Occidentali che ritenevano insostenibile la situazione in Siria quando Assad reprimeva l’opposizione e che ora voltano la faccia dall’altra parte mentre un Paese Nato viola le norme internazionali e invade un altro Paese massacrando civili inermi. L’Unico ad alzare la voce è Erdogan che intima agli Stati Uniti (suoi alleati) di ritirare i loro soldati dalle aree controllate dai kurdi o li travolgerà durante la sua offensiva. E il “vulcanico” Trump questa volta invita alla calma e non si schiera con i kurdi che hanno liberato la capitale dello Stato Islamico Raqqa appoggiati dalla coalizione a guida Usa.
La situazione è molto pericolosa, come spiega una lettera di un combattente internazionalista del Rojava – pubblicata su RojInfo – che è andato ad Afrin per partecipare alla resistenza: Ecco cosa scrive:
Dopo 13 mesi nel Rojava, mentre pensavo di rientrare a marzo o aprile e di non ritornare più al fronte, la situazione mi ha portato a cambiare decisione.
Domani (oggi, ndt) parto per Afri, che come sapete è attaccata dallo Stato turco. L’invasione del cantone di Afrin da parte della Turchia e la resistenza kurda che si dispiega simbolizzano una nuova battaglia contro il fascismo.
Tutti i nostri compagni delle Ypg/Ypj, del Pkk e dei partiti rivoluzionari turchi sono d’accordo nel dire che questo sarà il fronte più difficile che si è mai visto nel Rojava, ma che si tratterà anche del più politico. Una guerra al alta intensità militare e politica, ecco cosa è Afrin.
Combattere il secondo più grande esercito della Nato comporta anche una nuova forma di guerra, una forma di guerriglia semi-rurale e semi-urbana. ben diversa dal conflitto contro il Daesh.
Ma bisognerà affrontare i gruppi islamisti del nord siriano, tipo Al-Nusra/Al-Sham, e la fazione pro turca dell’Fsa che non è nient’altro che una gang armata reazionaria.
Siamo diverse decine di internazionalisti (che comprendono gli occidentali, i kurdi non considerano i loro compagni turchi come internazionalisti) di base e non sorprende che quasi tutti noi siamo “politici” (rivoluzionari).
Questa volta partiremo come membri dei Partiti turchi, principalmente DKP/BÖG e TKPML/TIKKO, e verranno con noi anche il MLSPB, il MKP e il TKPL. Il MLKP (Partito comunista marxista-leninista della Turchia, ndt) non si unirà a noi, in tutti i casi almeno nell’immediato (e non ce ne lamenteremo).
Per il momento l’International Freedom Battalion resta a Rakka, dove lo Stato Islamico continua a condurre attacchi fulminei, nascondendosi tra i civili che tentano di ricostruire la loro città. A sud, verso Deir-Ez-Zor, les Ypg/Ypj/Sdf continuano a strappare dei villaggi allo Stato Islamico.
Il Rojava, e soprattutto i rojavi, sono sotto i colpi di un attacco massiccio e devono battersi su più fronti. L’estrema sinistra europea, nella sua abituale codardia, apporta un sostegno più di forma che di sostanza.
La nostra partenza [verso Afrin] è quindi anche un appello alla solidarietà.
Dai nostri compagni/e di tutto il mondo ci aspettiamo che condividano le notizie sulla situazione in Kurdistan. Che trovino dei fondi per le organizzazioni impegnata nel Rojava.
Senza denaro non potremo combattere efficacemente.
La guerre ci indebolisce tutti, ci svuota s di una qualche sostanza vitale che potrebbe l’innocenza, ma la guerra è anche l’affermazione di un irrimediabile confronto politico, è l’irreversibilità di una situazione che è stata e non sarà più
Questo è il motivo per cui dobbiamo vederci una possibilità: quella di fermare subito il nemico fascista, poi di affrontarlo e di respingerlo in seguito; di uscire dalla confusione per spingere la gente a prendere posizione.
Perché adesso bisogna schierarsi, fare una scelta semplice tra libertà e barbarie, fascismo o rivoluzione.
La neutralità non è permessa e l’indifferenza è un crimine.
Nelle colline e negli uliveti di Afrin delle persone combattono. Sono apoisti (dal nome del leader del Pkk Abdullah “Apo” Öcalan, ndt), comunisti, anarchici, democratici radicali o semplicemente antifascisti. Sono dei nostri. Non li dimenticate mai.