Palestina, una vita in isolamento senza terre fertili né acqua
Una serie di mappe fa emergere le contraddizioni che segnano costantemente la quotidianità dei palestinesi
[15 Gennaio 2021]
“Amo le mappe perché dicono bugie – scriveva la poetessa Wislawa Szymborska – Perché con indulgenza e buon umore / sul tavolo mi dispongono un mondo / che non è di questo mondo”. Con pungente intelligenza Szymborska traduceva in poesia la contraddizione delle mappe, un potente strumento di informazione soggetto alla discrezionalità umana e che, per questo, aveva al suo interno anche un potenziale negativo. Ma se l’incongruenza fra la rappresentazione visiva e la realtà può essere un mezzo per perseguire scopi poco alti, le mappe hanno anche un potenziale di fondamentale importanza: aiutano a dare voce a chi è messo a tacere, a gettare luce “sull’altra prospettiva”, spesso messa all’angolo e silenziata.
“Una vita in isolamento” è questo: è una mappa – anzi, una serie di mappe – una collezione di dati e una storia da raccontare sulla Palestina. Nasce dalla collaborazione di Cospe con Giuristi democratici, Isgi (International legal studies), Operazione Colomba, Comunità Papa Giovanni XXIII e Palestinian youth union, associazioni che, nel corso di tutto il 2019, hanno raccolto e denunciato le violazioni dei diritti fondamentali perpetrati dallo Stato di Israele sulla popolazione palestinese.
Nel territorio palestinese occupato, le politiche e le pratiche di occupazione portate avanti da Israele – riconosciuta formalmente dalle Nazioni Unite come Potenza occupante dal 1967 in accordo al Diritto internazionale – si concretizzano in una rapida e continua espansione di colonie ed avamposti illegali che gradualmente frammentano il territorio palestinese, isolandone le comunità e disgregando la popolazione.
La frammentazione territoriale che vive la Cisgiordania è infatti un fenomeno che ha effetti devastanti sulla vita quotidiana dei palestinesi. La libertà di movimento è stata ridotta dal crescente numero di colonie, checkpoint, zone militari chiuse al transito e dal Muro di separazione, che costringono gli individui a un’esistenza relegata in piccoli spazi, costringendo intere comunità a riorganizzarsi e a fare i conti con il loro isolamento. Tutto questo incide molto sull’economia di una popolazione principalmente rurale, che tra le violazioni denuncia soprattutto il mancato accesso a terre fertili, a fonti di acqua, e lo sfruttamento da parte delle colonie israeliane delle risorse naturali. Di tutto questo ci parlano i protagonisti di “Una vita in isolamento”, documenti concepiti non a caso nell’ambito del progetto “Terra e diritti”.
“Una vita in isolamento”
Da tre prospettive differenti, la prima serie di “Una vita in isolamento” mette in luce queste discriminazioni e fa emergere le contraddizioni che segnano costantemente la quotidianità dei palestinesi.
La prima storymap,“Intrappolati in uno spazio aperto: l’isolamento di NabiSamwil e BeitIksa” racconta dei villaggi palestinesi di BeitIksa e NabiSamwilche si trovano nell’area a Nord Ovest di Gerusalemme. Apparentemente in luoghi sereni ed estremamente piacevoli da vivere, in realtà le due comunità abitano in isolamento. Israele, in quanto Stato occupante di questi territori secondo il Diritto internazionale, è il responsabile dell’isolamento di queste aree ed ha adottato politiche e pratiche che hanno alterato, in maniera negativa e sempre meno reversibile, la vita presente e la prospettiva futura di queste comunità, violandone i loro diritti fondamentali. Oltre a incidere fortemente sull’economia, l’isolamento limita anche la disponibilità, l’accessibilità e l’adeguatezza dei servizi di base come l’istruzione e la sanità, in violazione dei diritti fondamentali all’educazione, alla salute e a uno standard di vita adeguato. La chiusura dei villaggi impedisce agli abitanti di mantenere un legame con l’esterno, andare a trovare parenti e amici di altri villaggi, tenere vive le proprie tradizioni, andare a Gerusalemme al Suq o pregare ad AlAqsa, costruire una nuova famiglia.
“Lost Connection: l’incessante ricerca di serenità della comunità di Tuba” è la seconda storymap della serie. Dal villaggio palestinese di Tuba, la distesa di dune desertiche che lo circonda su due lati sembra quasi non avere fine. Il naturale isolamento del villaggio era, tempo fa, una vera benedizione per la sua comunità di pastori, fino a che l’inizio dell’occupazione militare israeliana ne ha stravolto totalmente l’esistenza. La violenza dei coloni israeliani, infatti, spaventa e ferisce le persone di Tuba e di tutte le comunità della zona, colpisce gli adulti e non risparmia i bambini, mentre l’esercito e la polizia israeliana non intervengono e lasciano impuniti i responsabili, divenendo di fatto essi stessi complici di abusi quali sparatorie, aggressioni, sassaiole contro pastori, bambini e passanti, sgozzamenti di greggi, ed incendi dolosi. I coloni fanno periodicamente incursione nel villaggio, solitamente armati e con i volti coperti come racconta Ahmed: “Nel 2006, fecero irruzione. Sgozzarono le pecore ed uccisero un asino. Poco tempo dopo, tornarono di notte e bruciarono il raccolto di un anno intero.”
“Famiglie spezzate e luoghi paradossali nei territori palestinesi occupati” parla dei “non-luoghi” creati dall’occupazione israeliana. Nel territorio palestinese, l’occupazione militare e civile di Israele si sostanzia di politiche e pratiche di carattere discriminatorio, che nei fatti dividono il popolo palestinese e ne frammentano la terra natia. La conseguenza è evidente: disgregazione del tessuto sociale e rimozione forzosa di diverse comunità, assegnando e dedicando sempre più terra e risorse alle colonie ed agli avamposti illegali israeliani definiti tali dal Diritto Internazionale e da diverse risoluzioni ONU. Nel rapporto, si descrive la creazione di luoghi paradossali ed inabitabili, al limite dell’immaginazione.
Omar Hajajleh, palestinese di Al Walajaparla del suo villaggio come di un carcere a cielo aperto: “Vedi, Al Walaja è una piccola prigione. L’esercito israeliano può decidere di chiudere l’unica strada che conduce al villaggio e gli abitanti possono trovarsi intrappolati ed impossibilitati ad uscire, senza alcun preavviso. Oggi non c’è alcun posto di blocco, ma potrebbe esserci domani, o dopodomani. Non possiamo saperlo.”
Queste voci ed i volti presentati nella serie raccontano di diritti negati, ma anche di storie di resilienza, una resilienza non-violenta con profonde radici nel passato, ereditata da padri e nonni, praticata nel presente, e proiettata nel futuro attraverso le nuove generazioni. I rapporti, corredati da approfondimenti di tipo giuridico sui diritti violati, dati, una ricca bibliografia e sitografia, sono indirizzate alla comunità internazionale, alla Ue e alle istituzioni italiane con l’obiettivo di porre fine finalmente alle violazioni del Diritto internazionale.
I rapporti integrali e le relative story-map (versione virtuale con foto e video) sono state inviate a un’ampia mailing list di associazioni della società civile, istituzioni, rappresentanti politici e accademici ed è a disposizione sul sito palestina.cospe.org.
Altre due serie, composte di altri report e story-map, sono in corso di realizzazione e saranno rese pubbliche nel corso del 2021.
di Cospe per greenreport.it