Acque reflue urbane, il Portogallo sotto accusa europea
[23 Settembre 2015]
Il Portogallo rischia di essere condannato dalla Corte di Giustizia europea per non aver garantito la raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane di 52 piccoli agglomerati. Lo Stato, secondo l’avvocato generale dell’Ue Pedro Cruz Villalón è venuto meno agli obblighi a esso incombenti in forza della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane (91/271).
La Commissione europea ha sostenuto nel suo ricorso che, per non violare la direttiva europea la sola installazione degli impianti di depurazione non sia sufficiente, ma sia necessario il corretto funzionamento. Gli impianti devono funzionare e operare in modo tale che le acque trattate rispondano ai requisiti previsti (allegato I di detta direttiva). Per stabilire se siano rispettati i requisiti secondo la Commissione occorre che le acque siano sottoposte ai controlli dell’allegato I, punto D. A tal fine – sempre secondo la Commissione – sarebbe necessario un numero minimo annuo di campioni in base alla dimensione dell’impianto di trattamento, esattamente nel primo anno di funzionamento.
La Repubblica portoghese, dal canto suo, ritiene che il momento rilevante ai fini della direttiva sia quello dell’attivazione dell’impianto di depurazione e, più in particolare, il momento in cui, con la messa in funzione dell’impianto, viene superato il primo controllo della qualità degli scarichi.
La direttiva sul trattamento delle acque ha lo scopo di proteggere l’ambiente dalle ripercussioni negative provocate dagli scarichi di acque reflue. L’obiettivo perseguito va al di là della semplice protezione degli ecosistemi acquatici: tende a preservare l’uomo, la fauna, la flora, il suolo, l’acqua, l’aria e il paesaggio da qualsiasi incidenza negativa rilevante connessa alla proliferazione di alghe e di forme superiori di vita vegetale cagionata dagli scarichi di acque reflue urbane.
Dunque la direttiva stabilisce che gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, a un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, secondo una serie di modalità. E prevede un elenco (allegato I) di requisiti relativi alle acque reflue urbane fra cui i metodi di riferimento per il controllo e la valutazione dei risultati (punto D).
C’è da dire però che la disposizione riguardante l’obbligo dello Stato di sottoporre a trattamento le acque prima dello scarico non contiene alcun riferimento al punto D dell’allegato I. L’allegato in questione viene espressamente menzionato solo relativamente ai requisiti che si riferiscono alla qualità degli scarichi contenuti nella sezione B dell’allegato I.
Però i metodi di riferimento per il controllo e la valutazione dei risultati, corrispondono alle procedure da seguire per accertare che gli scarichi soddisfino successivamente i requisiti di qualità prescritti dalla direttiva. Tali metodi devono essere applicati fintanto che siano in funzione gli impianti, vale a dire indefinitamente.
Appare quindi chiaro che la lettera D dell’allegato I si riferisce a un obbligo continuato inteso a garantire che gli scarichi rispondano nel tempo ai requisiti di qualità che devono essere soddisfatti a partire dall’attivazione dell’impianto.
La tesi secondo cui un impianto può iniziare a funzionare solo se i suoi scarichi hanno raggiunto una determinata qualità nel corso di un anno ‑ che è la posizione sostenuta dalla Commissione – all’Avvocato non sembra corretta.
L’esperienza dimostra che non sono rari i casi in cui gli impianti di depurazione iniziano a funzionare in condizioni che non consentono di assicurare i livelli di qualità richiesti dalla direttiva. Ma ciò, secondo l’Avvocato, non può giustificare una prassi in base alla quale si ritiene che gli impianti costruiti entro i termini previsti siano stati attivati solo nel momento in cui viene constatato che i campioni esaminati nell’arco di un anno soddisfano i livelli indicati. Di fronte a tale eventualità, la soluzione che deve imporsi è semmai accertare se l’impianto soddisfi fin dal principio le condizioni necessarie per l’attivazione, vale a dire se in quel momento esso risponda ai requisiti.