Ma i negoziati per arrivare a un trattato globale stanno rischiando di naufragare

Da cosa dipende l’inquinamento da microplastiche, e come combatterlo

Njem: «L’aumento esponenziale della produzione è la causa principale del peggioramento dei danni da plastica»

[8 Marzo 2024]

Per la prima volta, uno studio italiano pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine (Njem) e rilanciato da Nature, mostra che la presenza di microplastiche nelle placche aterosclerotiche è associata a un raddoppio dei rischi di infarto e ictus.

La ricerca non è ancora individuato un rapporto diretto di causa-effetto ma una correlazione: ovvero, la presenza di microplastiche è accompagnata da un aggravamento del rischio. Non è ancora provato che le microplastiche ne siano la causa, ma gli indizi raccolti sono tanto forti quanto preoccupanti.

Ormai le micro e nanoplastiche, ovvero particelle plastiche con un diametro rispettivamente inferiore a 5 millimetri o a 1 micron (0,001 millimetri), sono infatti onnipresenti nell’ambiente naturale tanto quanto nel corpo umano, essendo state rilevate in placenta, latte materno, fegato, polmoni, cuore, etc.

Si stima che ogni essere umano ingerisca involontariamente circa 5 gr di plastica alla settimana. Finora non c’era prova che questo causasse problemi alla salute, ma adesso il sospetto si sta trasformando in certezza e incrementa l’urgenza di ridurre questo tipo d’inquinamento così pervasivo.

Non si tratta di una missione semplice. Le microplastiche si classificano principalmente primarie (rilasciate direttamente nell’ambiente sotto forma di piccole particelle, rappresentano il 15-31% di quelle disperse in mare) e secondarie (prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi come buste di plastica, bottiglie o reti da pescato, sono il 68-81% di quelle presenti in mare).

Secondo i dati messi in fila dall’Europarlamento il 35% delle microplastiche primarie deriva dal lavaggio di capi sintetici, il 28% dall’abrasione degli pneumatici durante la guida, mentre il 2% è composto dalle microplastiche aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo, che l’Italia per prima ha iniziato a bandire sin dal 2019.

L’origine del problema ovviamente non sta nelle plastiche in sé, ma nella loro dispersione in ambiente; occorre dunque sviluppare migliori sistemi di raccolta e gestione dei rifiuti plastici (l’Italia, guardando ai soli rifiuti plastici da imballaggio, ne avvia a riciclo il 56,15%). È comunque evidente che il continuo aumento nella produzione di plastiche, per i più svariati usi, stia rendendo vani gli sforzi contro l’inquinamento da microplastiche.

«L’aumento esponenziale della produzione è la causa principale del peggioramento dei danni da plastica – si legge nell’editoriale del Njem che accompagna lo studio – In tutto il mondo, la produzione annuale è cresciuta da meno di 2 milioni di tonnellate nel 1950 a circa 400 milioni di tonnellate a oggi. Si prevede che questa produzione raddoppierà entro il 2040 e triplicherà entro il 2060».

Partendo da questa consapevolezza, lo scorso settembre il Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep) ha pubblicato la “bozza zero” del trattato globale contro l’inquinamento da plastica.

L’obiettivo, sottoscritto nel marzo del 2022 da 175 Paesi del mondo, è quello di concretizzare un trattato giuridicamente vincolante contro l’inquinamento da plastica entro la fine del 2024.

La buona notizia è che, sempre secondo l’Unep, l’inquinamento da plastica può essere ridotto dell’80% entro il 2040 usando le tecnologie esistenti riducendo del 55% la produzione di plastica vergine e puntando sull’economia circolare; si potrebbero così risparmiare 4,52 trilioni di dollari a livello globale e creare 700mila nuovi posti di lavoro.

La cattiva notizia è invece che le trattative internazionali stanno rischiando di naufragare. La terza sessione dell’Intergovernmental negotiating committee to develop an international legally binding instrument on plastic pollution, including in the marine environment, si è conclusa lo scorso novembre in Kenya con un nulla di fatto.

Le trattative riprenderanno dunque ad aprile in Canada, per poi proseguire a fine anno in Corea del sud. L’auspicio è che questo nuovo studio italiano, mostrando per la prima volta gravi danni alla salute correlati alla presenza di microplastiche nel corpo umano, possa portare nuova ambizione ai tavoli negoziali.