Inquinamento acustico, la libertà degli orari dei locali pubblici e l’intervento dei Comuni
[31 Maggio 2017]
I comuni possono limitare gli orari di apertura dell’attività commerciale per tutelare l’ambiente e la salute, nonostante la liberalizzazione degli orari. Lo afferma il Tribunale amministrativo regionale (Tar) – con sentenza 30 maggio 2017, n. 239 – in riferimento alla questione riguardante un stabilimento balneare con area adibita a discoteca e il Comune di Tortoreto.
La vicenda ha inizio con l’adozione del regolamento comunale per le attività rumorose a carattere temporaneo, mobili ovvero stagionali (stabilimenti balneari). Un regolamento che secondo il titolare dello stabilimento balneare sarebbe in contrasto con le finalità di favorire la libertà d’iniziativa economica, l’afflusso turistico e l’occupazione di lavorati. Perché impone limiti di chiusura molto restrittivi. Perché è stato adottato nel corso della stagione turistica, quando la programmazione degli intrattenimenti è già stata predisposta. Perché è stato adottato senza la partecipare al procedimento degli operatori interessati.
Un regolamento che secondo il titolare sarebbe anche inutile dal punto di vista della tutela della pubblica quiete dalle emissioni sonore perché la materia è ampiamente tutelata dalla normativa nazionale. Per cui la regolamentazione comunale si porrebbe quale “inutile dannosa duplicazione della disciplina statale”.
Peccato, però, che il regolamento comunale sia emanato e adottato proprio in attuazione della legge statale a tutela dell’inquinamento acustico, con l’esercizio, da parte del Comune, del potere regolamentare conferito proprio dalla legge.
Il regolamento, dunque, non è volto ad una pianificazione degli orari degli esercizi in cui si svolge attività di intrattenimento danzante, ma è diretto alla tutela della salute, dell’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo dall’inquinamento acustico, finalità perseguite proprio dalla legge.
C’è anche da dire che nel nuovo quadro normativo (art. 31, comma 2, del D.L. 06/12/2011, n. 201) la fissazione degli orari di apertura e chiusura degli esercizi pubblici è una libera scelta degli imprenditori. Di conseguenza, i comuni non possono più perseguire finalità di programmazione generale utilizzando la leva degli orari, ma devono individuare altri strumenti di regolazione, tutti strettamente proporzionati al fine perseguito. Questo non vuol dire, però, che la liberalizzazione degli orari non trovi dei limiti.
L’art. 31, comma 2, del D.L. 06/12/2011, n. 201, consente l’apposizione di limiti o vincoli di qualsiasi natura diretti alla “tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”, prevedendo altresì l’obbligo delle Regioni e degli enti locali di adeguare i propri ordinamenti a tali prescrizioni entro il 30 settembre 2012, “potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”.
Quindi se è vero che i Comuni non possono più perseguire finalità di programmazione generale utilizzando la leva degli orari, è altrettanto vero che, i Comuni possano proporsi obiettivi come la protezione dell’ambiente, della salute e del riposo dei vicini nelle ore notturne, pregiudicato dalle diffusioni acustiche degli stabilimenti balneari, derivante non soltanto dagli strumenti elettroacustici, ma anche dal rumore antropico degli avventori del locale adibito a discoteca.