Inquinamento acustico, per la misurazione del rumore la simulazione non basta
Le verifiche sul livello di rumorosità devono riferirisi al concreto svolgimento dell'attività
[25 Giugno 2013]
La verifica dell’Arpa, fatta sulla base della configurazione dell’impianto sonoro e delle condizioni d’esercizio dichiarate dal cittadino, è insufficiente a comprovare il rispetto il limiti di legge circa il livello di rumorosità, perché la misurazione delle immissioni sonore deve basarsi su dati ricavabili dal concreto svolgimento dell’attività e non su una simulazione.
Lo afferma il Tribunale amministrativo regionale della Puglia (Tar) – con sentenza 5 giugno 2013, n. 1329 – in riferimento all’attività ricreativa di un locale notturno di Lecce.
Il residente nell’abitazione confinante con l’edificio che ospita al piano terra il locale “La Svolta”, ha evidenziato come il locale eserciti attività di intrattenimento con modalità e forme non dissimili da quelle di una discoteca o di un locale notturno con spettacoli dal vivo: dunque, una fonte di squilibrio urbanistico nella zona e di grave inquinamento acustico nel proprio ambiente domestico.
Il Comune di Lecce ha perciò ordinato la sospensione temporanea dell’attività di riproduzione musicale e di intrattenimento dal vivo, fino alla bonifica acustica del sito, ma poi ha disposto la cessazione dell’efficacia del relativo provvedimento. La disposizione di cessazione si è basata sul rapporto di prova dell’Arpa: “Dall’analisi delle misure fonometriche innanzi riportate nei siti di misura risultati accessibili, ed in riferimento alle impostazioni dell’impianto elettroacustico descritte, le immissioni sonore valutate sono da considerarsi nella norma ai sensi di quanto disposto dal Dpcm 14/11/97 art. 4 commi 2a e 2b”. Verifica, però, ritenuta dal Tar inidonea perchè si basa su una simulazione e non sul dato concreto.
Nel nostro ordinamento esistono delle normative che offrono gli strumenti per fronteggiare l’inquinamento acustico. Ciò però non presuppone che qualsiasi rumore provochi un danno alla salute dell’individuo: dal legislatore sono codificati dei valori limite di emissione e immissione in base alle sorgenti sonore e in riferimento alle diverse destinazioni d’uso del territorio. I valori di immissione a loro volta sono distinti in assoluti (ossia determinati con riferimento al livello equivalente di rumore ambientale cioè il livello di pressione sonora prodotto da tutte le sorgenti esistenti e attive in un dato luogo e in un determinato momento) e differenziali (che sono il risultato della differenza fra il rumore ambientale e il livello di pressione sonora che si rileva dopo l’esclusione della specifica sorgente disturbativa).
Oltre alla legge quadro del 1995 (la numero 447) – la legge che ha disciplinando in maniera organica la questione del rumore e che ha previsto i valori limite di emissione e immissione – vi è il dpcm del 1997 (il decreto attuativo della legge quadro). Quest’ultimo ha previsto limiti diversi a seconda della tipologia della sorgente, del periodo della giornata e appunto, della destinazione d’uso della zona (definisce sei classi di destinazione d’uso e per le sei zone definisce diversi valori limite).
Quindi, il comune può esercitare la competenza per mitigare questo tipo di inquinamento, ma prima di provvedere deve accettarsi della situazione – avvalendosi dell’Agenzie Regionali per l’Ambiente, che rappresentano l’organo tecnico deputato a svolgere le verifiche ed i riscontri in materia di inquinamento acustico – e anche delle verifiche effettuate.