Un’isola di rifiuti di plastica alla deriva tra la Corsica e l’Isola d’Elba
Ifremer: è dell’ordine di qualche decina di chilometri ed è composta da di rifiuti portati dalle correnti
[22 Maggio 2019]
Secondo quanto scrive France Bleu RCFM, «Il Mediterraneo conta una nuova isola. Non è il frutto di un viaggio condotto da esploratori. No, ahimè no. È solo il risultato dell’inciviltà delle persone. Tonnellate e tonnellate di rifiuti di plastica stanno andando alla deriva nel Mediterraneo. Portati dalle correnti, formano un’isola lunga diversi chilometri tra l’Elba e la Corsica».
François Galgani, responsabile dell’Institut français de recherche pour l’exploitation de la mer (Ifremer) di Bastia conferma e spiega: «Sfortunatamente il fenomeno non è nuovo. E’ una situazione che è cronica, vale a dire che la disposizione delle correnti fa sì che regolarmente ci siano delle concentrazioni molto alte in questa zona. Le correnti nel nord-ovest del Mediterraneo sono organizzate in maniera tale che l’acqua risale lungo la costa italiana e quando arriva sulla piattaforma continentale dell’isola di Elba, dell’arcipelago toscano, infatti non può passare e si accumula nel canale della Corsica ed è per questo che abbiamo densità più elevate. quando si hanno condizioni meteorologiche avverse, ad esempio il vento da nord-est in estate, abbiamo arrivi massicci sulla litorale della Corsica».
Così come viene descritta l’isola di plastica, sembrerebbe trattarsi di qualcosa di diverso dal vortice/zuppa di micro-plastiche – il più grande e denso del Mediterraneo – la cui esistenza è stata confermata nel 2016 dallo studio “The Mediterranean Plastic Soup: synthetic polymers in Mediterranean” pubblicato su Nature/ScientificReports da un team di ricercatori dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Lerici (Ismar-Cnr), in collaborazione con le Università di Ancona, del Salento e Algalita Foundation (California). Infatti Galgani precisa che «E’ dell’ordine di qualche decina di chilometri. A differenza delle isole di plastica nel Pacifico o nell’Atlantico, che sono delle correnti permanenti che provocano sempre degli accumuli negli stessi luoghi, nel Mediterraneo queste sono zone di accumulo dell’ordine di qualche giorno o qualche settimana, al massimo di due o tre mesi, ma mai permanenti».
Intervistato da Patrick Rossi e Pierre-Louis Sardi di France Bleu RCFM, lo scienziato francese evidenzia un altro problema: «Per pulire, bisogna che ci sia un certo valore per quello che andiamo a recuperare. Se stai cercando reti da pesca sul fondo, si tratta di oggetti che sono molto costosi, possono essere riparati, riutilizzati e quindi riciclati. Si può ripulire anche le spiagge perché danno un valore patrimoniale al sito e quindi vengono più turisti. Per contro, in mare, il problema è che i rifiuti galleggianti non possono essere riciclati. Sono molto degradati, ci sono materiali molto eterogenei. Ci sono diversi tipi di plastica e quindi costa molto molto molto caro riciclarli, quindi non lo si farà».
E, sempre su France Bleu RCFM, Océane Couturier, dell’associazione Mer et Vivre, conclude: «Ci sono dei posti dove abbiamo una vera zuppa di plastica. Alla fine, il problema è che questa plastica si accumula nei tessuti dei pesci, diffonde i suoi prodotti tossici e noi dopo mangeremo questi pesci».