Migliora la tutela dei lavoratori e dell’ambiente
La Apple non acquista più materie prime nelle zone di guerra
[14 Febbraio 2014]
La Apple ha presentato il suo Supplier responsibility report 2014 e assicura che il loro «impegno per la responsabilità ambientale si estende in profondità nella nostra catena di rifornimento. Anche quando le normative locali sono meno stringenti di quelle del nostro Supplier Code of Conduct, ci aspettiamo che i nostri fornitori vadano oltre la legge per proteggere le loro comunità locali e ridurre al minimo l’impatto per l’ambiente».
Il gigante dell’elettronica di consumo, reduce da una serie di pessime figure riguardo al trattamento dei lavoratori in Cina ed alla catena di rifornimento di materie prime anche nei Paesi in guerra, ora dice che i suoi fornitori «devono rispettare tutti i nostri standard ambientali, compresa la gestione dei rifiuti pericolosi, la gestione delle acque reflue, la gestione delle acque piovane, la gestione delle emissioni in atmosfera e la gestione della soglia di rumore, dove vengono realizzati i prodotti».
La Apple dice che la ricognizione dei rischi ambientali lungo la catena di rifornimento-produzione avviene utilizzando diversi metodi, comprese verifiche di conformità in loco, indagini ambientali, collaborazioni con Ong e utilizzando risorse come il database sull’inquinamento dell’acqua e dell’aria dell’ Institute of Public and Environmental Affairs (Ipe).
Secondo il Supplier responsibility report la Apple nel 2013 ha completato più di 520 “environmental profile surveys”, concentrandosi sui suoi 200 maggiori fornitori e sottolinea che «i dati delle indagini ci permettono di determinare rischi delle commodity e di realizzare una formazione mirata e strumenti e programmi per ridurre al minimo l’impatto ambientale dei nostri fornitori».
Una volta che Apple ha identificato rischi o problemi, conduce una valutazione ambientale più approfondita: per quanto riguarda la situazione cinese «nel 2013, abbiamo condotto 62 valutazioni, che sono consistite nell’analizzare le questioni storiche, nel prelievo di campioni ambientali di materiali come le acque reflue e i sedimenti, la raccolta di informazioni e nello scoprire le violazioni del codice di condotta di Apple. Affrontiamo tutte le risultanze e le violazioni attraverso il nostro processo di azioni correttive, poi le verifichiamo per avviare un’azione di bonifica da parte di revisori terzi e, se necessario dalle Ong ambientali in Cina».
Per quanto riguarda l’accusa di rifornirsi di materie prime provenienti da zone di guerra la Apple precisa che i revisori indipendenti a gennaio hanno verificato che tutti i suoi fornitori di tantalio, un ottimo un buon conduttore di calore ed elettricità, non operano in aree dove sono in corso conflitti. La Apple ha anche pubblicato un elenco delle fonderie e raffinerie nelle quali si rifornisce di stagno, tantalio, tungsteno e oro, per le quali è stato verificato che non lavorano materie prime provenienti da zone di guerra
Il tantalio si estrae nelle Repubblica democratica del Congo (Rdc) e la sua estrazione e commercio, insieme a quella del coltan e di altri metalli utilizzati nell’industria elettronica, è stata il motivo scatenante di quella che viene chiamata la terza guerra mondiale africana che continua ancora nell’est della Rdc.
In Africa il tantalio si trova anche in Paesi “problematici come Nigeria e Mozambico, ma può essere acquistato (a maggior costo) anche in Paesi “tranquilli” come Australia, Brasile, Canada, Portogallo e Thailandia.
Tornando alla situazione dello sfruttamento dei lavoratori, il Supplier responsibility report 2014 ammette che quelli che superano le a 60 ore di lavoro a settimana sono stati un problema persistente per l’industria elettronica e che «ridurre gli straordinari eccessivi rimane una priorità per Apple. Limitiamo il lavoro a 60 ore, salvo in circostanze insolite. E tutto il lavoro straordinario deve essere assolutamente volontario».
Dopo la catena di suicidi e le vessazioni dei lavoratori nelle fabbriche cinesi la Apple sta cercando di controllare che più di un milione di lavoratori della sua catena di rifornimento non siano sottoposti a carichi di lavoro eccessivi. Una nuova attenzione che, secondo la multinazionale, ha fatto sì che il 95% dei suoi fornitori non abbia fatto lavorare gli operai per più di 60 ore settimanale, nel 2013. La Apple punta a fare in modo che le ore lavorate in media per settimana siano sotto le 50 per tutti i dipendenti, ma nel 2013 la media era ancora di 54 ore settimanali. Ormai, però, si consola l’azienda, oltre il 97% di tutti i lavoratori rispettano lo standard Apple di almeno un giorno di riposo a settimana.