L’Emilia dice stop agli idrocarburi: le trivelle dietro il terremoto del 2012?
Pubblicati i risultati del Rapporto redatto dalla Commissione Ichese
[15 Aprile 2014]
Non solo il fracking, ma anche le più tradizionali trivellazioni petrolifere possono contribuire a causare un terremoto, e dopo le ultime rivelazioni della rivista scientifica Science, oggi la Regione Emilia-Romagna ha deciso «la sospensione di qualsiasi nuova attività di ricerca e coltivazione» di idrocarburi, una scelta finora circoscritta ai territori colpiti dal sisma del maggio 2012 e compresi nel cratere.
La scelta è avvenuta contestualmente all’illustrazione in diretta streaming dall’assemblea legislativa dei risultati raccolti nel Rapporto redatto dalla Commissione Ichese (International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia Region), incaricata proprio di valutare le possibili relazioni tra attività di esplorazione per idrocarburi e aumento dell’attività sismica nell’area colpita dal terremoto dell’Emilia-Romagna del mese di maggio 2012.
La Commissione Ichese, come ha ricordato oggi l’assessore alla Difesa del suolo, Paola Gazzolo, ha considerato un’area di interesse di circa 4000 km2, che include tutta la zona colpita dalla sequenza sismica iniziata il 20 maggio 2012, dove sono presenti tre concessioni di sfruttamento per idrocarburi, Mirandola (con incluso il campo di Cavone), Spilamberto e Recovato, nonché il campo geotermico di Casaglia (Ferrara) e il giacimento di stoccaggio di gas naturale di Minerbio situato al margine sud-est dell’area.
Le testuali parole riportate nel rapporto conclusivo Ichese su Cavone sono le seguenti: «L’attività sismica immediatamente precedente il 20 maggio e l’evento del 20 maggio sono statisticamente correlati con l’aumento dell’attività di estrazione e re-iniezione di Cavone. Quindi non può essere escluso che le azioni combinate di estrazione e iniezione di fluidi in una regione tettonicamente attiva possano aver contribuito, aggiungendo un piccolissimo carico, alla attivazione di un sistema di faglie che aveva già accumulato un sensibile carico tettonico e che stava per raggiungere le condizioni necessarie a produrre
un terremoto […] non è possibile escludere, ma neanche provare, che le azioni inerenti lo sfruttamento del sottosuolo in atto in prossimità dell’area colpita dalla sequenza sismica del 2012, possano aver contribuito ad “innescare” l’attività sismica registrata in Emilia nel 2012».
Una valutazione prudente, ma che in nome di un principio di precauzione ancora maggiore ha oggi indotto la Regione a una scelta saggia.
L. A.