Come noi solo Bulgaria, Grecia e Romania. Danimarca l’esempio da seguire
Non solo Mafia Capitale: è l’Italia il Paese con più corruzione in Europa
Nel giorno dopo della cupola romana Transparency International pubblica il suo nuovo rapporto
[3 Dicembre 2014]
Mentre scoppia il bubbone affaristico-politico-mafioso a Roma, evocativamente battezzato “Mafia Capitale”, il Corruption perceptions index 2014 di Transparency International conferma che nel nostro Paese la corruzione percepita è un gigantesco problema irrisolto: l’Italia, con un punteggio di 43/100, chiude la classifica europea al 69esimo posto su 175 Paesi, lontanissima dalla Danimarca, che guida la classifica mondiale dei Paesi meno corrotti con 92/100. Abbiamo lo stesso punteggio di Bulgaria (considerata uno Stato-mafia), della Grecia, che deve la sua crisi economica anche alla corruzione endemica, e della Romania, non certo un Paese noto per la trasparenza. Siamo addirittura dietro molti Paesi dell’ex Patto di Varsavia e africani. Guardando la cartografia del rapporto di Transparency International, il nostro Paese è collocabile più nell’Europa orientale che in quella Occidentale e sembra scivolare verso la costa africana del Mediterraneo, dove la corruzione è endemica.
Anche se Paesi come Cuba (46/100) fanno meglio di noi, qualcuno si è arrabbiato per le parole del segretario della Fiom Landini, ma il Corruption perceptions index 2014 non solo le conferma: va oltre e dimostra quanto la corruzione sia un pesante fardello per la nostra economia e quanto impedisca gli investimenti stranieri nel nostro Paese.
Transparency International sottolinea che «la corruzione è un male che colpisce tutti i Paesi: incombe alle grandi piazze finanziarie dell’Europa e degli Stati Uniti lavorare fianco a fianco alle economie a crescita rapida per impedire che i corrotti restino impuniti».
La 20esima edizione del Corruption perceptions index evidenzia che la Cina (36/100), la Turchia (45/100) e l’Angola (19/100) sono i Paesi che registrano il più forte aumento di corruzione, scendendo di 4 o 5 punti rispetto al 2013, malgrado (o più probabilmente a causa) di una crescita media del Pil del 4% negli ultimi 4 anni. A chiudere la classifica sono Somalia e Corea del nord (8/100), precedute da Sudan (11); Afghanistan (12); Sud Sudan (15); Iraq (16)
José Ugaz, president di Transparency International sottolinea che «Il Corruption perceptions index 2014 dimostra che gli abusi di potere dei responsabili politici e degli alti funzionari ostacolano la crescita economica e gli sforzi della lotta contro la corruzione. Alcuni eletti corrotti fanno passare in tutta impunità dei capitali di origine fraudolenta in territori che praticano il segreto bancario attraverso l’intermediazione di società offshore. I Paesi classificati meno bene dell’Index devono adottare delle misure anti-corruzione radicali rivolte alla loro popolazione. I Paesi meglio classificati devono fare in modo di non esportare delle pratiche corruttive nei Paesi meno avanzati».
L’Italia è tra i due terzi dei 175 Paesi che ottengono un punteggio inferiore a 50 (settore pubblico percepito come estremamente corrotto), mentre il punteggio 100 equivale a settore pubblico percepito come estremamente integro. Un punteggio al quale si avvicina solo la Danimarca, seguita da Nuova Zelanda (91); Finlandia (89); Svezia (87); Norvegia (86): sembra la lista delle politiche del welfare state socialdemocratico, lasciate pressoché intatte anche quando i governi di questi Paesi sono diventati di centro-destra… così, a naso, la redistribuzione dei redditi e una politica fiscale progressiva con la mancanza di corruzione dovrebbero avere qualcosa a che fare.
Il Paese che registra la peggiore performance rispetto al 2013 è la Turchia, fatta passare fino a pochi mesi fa come il Paese del miracolo economico del moderatismo conservatore islamico, che cala di ben 5 punti. Angola, Cina, Malawi e Rwanda (altri due Paesi africani portati ad esempio come bravi scolari dell’Occidente) segnano tutti un – 4. I miglioramenti più significativi li mostrano la Costa d’Avorio, l’Egitto e Saint Vincent-Grenadines (+5), l’Afghanistan, la Giordania, il Mali e lo Swaziland (+4).
Nonostante la campagna anti-corruzione tra gli amministratori pubblici lanciata dal governo comunista, la Cina è passata dal 40/100 del 2013 al 36/100 del 2014 e Transparency International evidenzia che «Le autorità cinesi hanno riconosciuto la necessità di seguire le tracce degli agenti che dissimulano all’estero dei benefit di origine fraudolenta». Nel gennaio 2014 sono stati resi noti documenti riservati che rivelano l’identità di circa 22.000 clienti di società offshore cinesi e di Hong Kong, tra i quali numerosi dirigenti comunisti. Che la corruzione sia un grave problema per la Cina lo aveva già rivelato un recente rapporto di Transparency International, che assegnavano a 8 grandi compagnie cinsi una nota di trasparenza inferiore a 3/10.
Corruzione e riciclaggio di denaro sporco sono un problema anche per gli altri Paesi emergenti del gruppo Bircs: In Brasile (43/100, lo stesso punteggio dell’Italia) una grande compagnia petrolifera è stata accusata di finanziare con fondi neri i candidati alle elezioni, le tangenti sarebbero passate da conti bancari a Mauritius (54/100) e gli oligarchi russi (la Russia ha un punteggio disastroso: 27/100) fanno la stessa cosa a Cipro (63/100).
Ugaz sottolinea le colpe dei Paesi ricchi: «Nelle economie più prospere, la grande corruzione, oltre a compromettere i diritti umani delle popolazioni sfavorite, compromette la governance e la stabilità. I Paesi a crescita rapida, nei quali i governi rifiutano la trasparenza e tollerano la corruzione, mettono in campo una cultura dell’impunità che apre la strada alla corruzione».
Ma anche i Paesi meglio classificati non sono isole felici, e dovrebbero combattere la corruzione a livello mondiale. Transparency International «esorta i Paesi meglio classificati, dove il settore pubblico è relativamente integro, a smettere di favorire la corruzione al di fuori delle loro frontiere, operando maggiormente per evitare il riciclaggio di denaro e per impedire il ricorso a delle società di comodo per dissimulare certe pratiche».
L’esempio viene ancora una volta dalla Danimarca, un Paese dove lo stato di diritto è saldissimo, la società civile molto presente e l’impiego pubblico rigorosamente regolamentato. Nel 2014 il governo di sinistra danese ha annunciato la creazione di un registro contenente tutte le informazioni sui beneficiari effettivi di ogni impresa registrata nel Paese. Una misura simile è prevista in Ucraina e Gran Bretagna, cosa che dovrebbe complicare il compito dei corrotti che vogliono dissimulare la oro identità dietro le società di comodo.
Il movimento anti-corruzione è attualmente impegnato nella campagna “Unmask the corrupt”, che chiede all’Unione europea agli Usa e agli altri Paesi del G20 di seguire l’esempio della Danimarca ed istituire dei registri pubblici che indichino chiaramente chi controlla ogni società, o chi ne sia il beneficiario effettivo. Fantascienza nel Paese che ha depenalizzato il falso in bilancio, che ha il record mondiale di evasione fiscale e dove la gestione criminale degli affari della Capitale sembra una questione bi-partisan gestita da delinquenti neo-fascisti.
Ma Cobus de Swardt, direttore generale di Transparency International, conclude dicendo qualcosa che il governo Renzi, visto anche quel che viene fuori a Roma, farebbe bene ad ascoltare: «Nessuno salirebbe su un aereo che non registri i suoi passeggeri; invece permettiamo a delle società di comodo di dissimulare delle attività illegali. Con dei registri pubblici che indichino chi possiede realmente le imprese, sarebbe più difficile per i corrotti prendere il largo con i guadagni dei loro abusi di potere». Speriamo di sbagliarci, ma temiamo che questo codicillo Cobus difficilmente troverà spazio nel patto del Nazareno.