A che punto è la mobilità dolce in Italia
Complessivamente nei 109 Comuni capoluogo ci sono 24 km di piste ciclabili ogni 100 kmq, mentre i veicoli a motore hanno a disposizione 771 km ogni 100 kmq
[24 Dicembre 2021]
Grazie ai dati messi a disposizione dall’Istat per i 109 comuni capoluogo di provincia o città metropolitana, possiamo analizzare l’andamento negli anni 2013-2019 della mobilità dolce (pedonale e ciclabile).
La qualità della vita in molte città risente degli effetti negativi dell’aumento dei livelli di traffico e dei conseguenti problemi in termini di inquinamento ed effetti negativi sull’ambiente e sulla salute delle persone. La risposta tradizionale al problema della congestione del traffico è stata quella di aumentare lo spazio stradale disponibile per le automobili, quando possibile.
A livello europeo al contrario è emersa la teoria della “evaporazione del traffico”, come un concetto che sfida la logica di questo approccio. Questa teoria sostiene la tesi secondo cui la riduzione della capacità stradale per le automobili nei centri urbani congestionati può rappresentare una soluzione di pianificazione sostenibile ed efficiente. Inoltre, una volta liberati dalla dominazione del traffico automobilistico, gli spazi urbani bonificati possono diventare accessibili, vivaci luoghi di vita.
La ridistribuzione dello spazio stradale a favore della mobilità pedonale e ciclabile può rappresentare un’opzione di pianificazione tecnicamente impegnativa e politicamente sensibile nelle aree urbane in cui la congestione stradale è già un problema, ma, una volta realizzata, è generalmente apprezzata da tutti. Negli spazi urbani senza auto pedoni e ciclisti godono di un ambiente più pulito, più silenzioso e sicuro.
Per quanto riguarda le limitazioni alla circolazione stradale nel 2019 in 102 comuni su 109 sono presenti zone a traffico limitato ed in 72 comuni zone con limitazioni della velocità a 30 km/h (anche se non sono disponibili dati sulla loro estensione), Vediamo la situazione nelle città italiane per quanto riguarda le aree pedonali e le piste ciclabili.
Aree pedonali
Complessivamente nei comuni capoluogo delle città metropolitane, al 2019, l’estensione delle zone pedonali era di 8.167.000 metri quadrati (l’equivalente di 8 kmq o 800 ettari), pari a 45,7 mq ogni 100 abitanti, con un incremento assoluto rispetto al 2013 di 1.545.000 mq (+23%) e normalizzato sul numero di abitanti di +8,5 mq ogni 100 abitanti.
L’estensione maggiore – in termini assoluti – si trova naturalmente a Venezia con 1.323.000 mq, seguita da Milano con 768.000, se invece si considera in termini di densità (m2 x 100 abitanti) dopo la città lagunare si colloca Firenze.
Nel tempo (2013-2019) la situazione a Venezia è però rimasta invariata, mentre in altre città sono state estese le zone pedonalizzate. È il caso di Milano, che far il 2013 ed il 2019 ha visto un incremento dell’87% (+357.000 mq). Da segnalare anche la situazione di Palermo, dove sono stati pedonalizzati 341.000 mq, partendo da una situazione irrisoria nel 2013 (52.000 mq). Prendendo in considerazione invece tutti i 109 comuni capoluogo l’incremento assoluto maggiore si è avuto a Lucca (+498.000 mq).
Purtroppo l’Eurostat non pubblica dati sull’estensione delle aree pedonali nelle diverse città europee, tuttavia una pubblicazione (non recentissima) della Commissione Europea – Reclaiming city streets for people – fornisce alcuni numeri che sono davvero eclatanti e mostrano quanto davvero ci sia da fare in Italia.
Ad esempio, nella capitale danese, Copenaghen, nel 1996, una superficie di circa 96.000 metri quadrati era stata liberata dalle auto. Attualmente ha un’estensione di circa 3 chilometri quadrati e mezzo (3.500.000 mq), circa il 45% di tutte le aree pedonali dei comuni capoluogo italiani.
Nel centro della città di Copenaghen, l’80% di tutti i viaggi viene effettuato a piedi e il 14% in bicicletta. Il traffico automobilistico nel centro della città è stato ridotto e la congestione non è più un problema.
Piste ciclabili
Complessivamente nei 109 comuni capoluogo erano presenti (al 2019) 4.732 chilometri di piste ciclabili. In termini di densità significa 24 km di piste ciclabili ogni 100 kmq di superficie territoriale. Per quanto riguarda i veicoli a motore, invece, la densità (dati 2019) è di 771 ogni 100 kmq e di 762 ogni 1000 abitanti. Fra il 2013 ed il 2019 l’estensione complessiva è aumentata di 860 km (22%).
Appare chiaro come la mobilità motorizzata sia assolutamente prevalente su quella “dolce” e come – se vogliamo parlare di mobilità sostenibile – sia indispensabile un cambiamento radicale nelle scelte operate, sia in termini di governo/amministrazione che di comportamenti individuali.
Per quanto riguarda i comuni capoluogo delle città metropolitane, in termini assoluti le reti ciclabili più estese, più di duecento chilometri, sono nell’ordine a Roma, Milano e Torino, mentre normalizzate in termini spaziali (km di piste ciclabili per 100 kmq) Torino si colloca al primo posto, seguita da Milano e Firenze.
Come trend nei sette anni di cui sono disponibili i dati, vediamo che gli incrementi maggiori si sono registrati a Milano (+57 km), Torino (+37) e Venezia (+30), In diminuzione (-10 km) le piste ciclabili della Capitale.
Analizzando i dati delle singole città capoluogo vediamo che le maggiori estensioni di piste ciclabili si trovano nelle città dell’Emilia-Romagna (Reggio Emilia, Modena e Ferrara) e – come abbiamo visto – nelle metropoli (Roma, Milano e Torino); tuttavia questa “classifica” muta sensibilmente considerando invece la densità di piste ciclabili, cioè mettendo in relazione la loro estensione con la superficie del comune. In questo caso troviamo ai primi posti Padova, Brescia, Mantova e Torino.
Per quanto riguarda il trend nei sette anni presi in considerazione, l’incremento maggiore è quello di Milano (+57 km), seguito da Prato (+49 km), Ferrara (+43), Brescia (+40).
Ovviamente questi numeri non ci dicono niente sulla “qualità” delle piste ciclabili esistenti, cioè se sono realizzate in una logica di rete funzionale, ben attrezzate (illuminazione) e manutenute, ovvero se si tratta di “pezzi” di piste ciclabili non interconnesse e senza garantirne il mantenimento in modo adeguato.
di Marco Talluri, https://ambientenonsolo.com