
Il nemico del giaguaro è cinese. Le zanne della mafia in Bolivia (VIDEO)

Mongabay Latam ed El Deber de Bolivia hanno pubblicato insieme l’inchiesta “Los colmillos de la Mafia – Investigación sobre l’agonía del Jaguar” che pate da un fatto avvenuto nell’agosto 2014, quando il ministero dell’ambiente e dell’acqua della Bolivia denunciò una donna di Warnes de Santa Cruz che aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook delle immagini della morte di un giaguaro, commettendo così un delitto ambientale che violava l’articolo 111 della Ley 1333 e l’articolo 223 dela Constitución Política del Estado. Era solo uno dei primi esempi di come i social network stanno incentivando la mattanza di giaguari in corso nel Paese sudamericano per rifornire il mercato cinese di zanne.
Secondo Rubén Laime, che si occupa di ambiente per il municipio de Riberalta, è proprio attraverso i social network che in Bolivia sta proliferando il traffico di parti di giaguaro e Teresa Pérez, direttrice della Dirección de biodiversidad y areas protegidas del ministero dell’ambiente, sottolinea che l’utilizzo dei social network per la tratta di animali selvatici è punita dalle leggi boliviane.
La strage dei giaguari boliviani è iniziata con dei volantini attaccati sulle facciate delle case e sui pali della luce dei pueblos vicini alle foreste nei quali si diceva che si compravano zanne di a buon prezzo. Poi si è passati ai messaggi trasmessi via radio alle popolazioni amazzoniche e infine ai post sui social network per pubblicizzare la compravendita di zanne di el Tigre, come i sudamericani chiamano il giaguaro.
Un ufficiale della Policía Forestal di Trinidad ha raccontato a Mongabay Latam ed El Deber de Bolivia che è proprio grazie a Facebook che all’inizio del 2017 hanno scoperto un cacciatore di Baures (Beni) che voleva vendere le zanne di un giaguaro che aveva ucciso. I poliziotti lo hanno aspettato nella piazza principale di Trinidad, dove aveva dato appuntamento ai possibili compratori, e lo hanno arrestato sequestrandogli tutta la “merce”: il cranio completo di denti e la pelle del giaguaro. Ora i resti di quel giaguaro vengono utilizzati nelle campagne di educazione nelle scuole per far capire che bisogna difendere la biodiversità della Bolivia,
Ma ormai i bracconieri e i trafficanti sanno che le autorità hanno capito che i social network vengono utilizzati per trafficare animali protetti e hanno iniziato a creare account privati d su WhatsApp o identità false. Le offerte di prodotti proibiti non riguardano solo le zanne di giaguaro ma anche uccelli esotici che vengono ceduti per denaro o in cambio di cellulari di ultima generazione. Ora, però, i social network vengono utilizzati anche dagli ambientalisti come strumento per lottare contro l’uccisione, la tratta e il maltrattamento delle specie protette in Bolivia.
Dietro la mattanza dei giaguari e della fauna protetta della Bolivia ci sono le ecomafie cinesi e le testimonianze che arrivano dalla Sena, una località del dipartimento del Pando, confermano che cittadini cinesi pagano intorno ai 215 dollari per ogni zanna di giaguaro, molto per un povero contadino boliviano, ma niente rispetto a quanto vengono rivendute sul mercato cinese: secondo le autorità boliviane a un prezzo più alto della cocaina. Tra il 2013 e il 2016 le forze dell’ordine boliviane hanno sequestrato 380 zanne che appartenevano a 95 giaguari uccisi.
Naturalmente tutti i cacciatori e boscaioli trovati in possesso di zanne e altre parti di giaguari dicono di averli uccisi per difendersi e a Sena, una comunità remota nel nord della Bolivia popolata da persone di etnia tacana, cavineño, araona, praticamente nessuno conosce le leggi che proteggono i giaguari e tantomeno la Lista Rossa dell’Iucn ed El libro rojo de la fauna silvestre de los vertebrados de Bolivia che li classificano come vulnerabili.
Fino a poco tempo fa i giaguari dell’Amazonía del norte boliviano, venivano cacciati per la loro pelliccia, ma nel 2014 è emerso come un fantasma dalla foresta il nuovo e più pericoloso nemico: il traffico di zanne che coinvolge le popolazioni di Santa Cruz, Beni, La Paz e Pando, che vivono nei dintorni di foreste e Parchi e riserve nazionali. Il traffico è gestito da una rete di trafficanti cinesi in combutta con boliviani che acquistano zanne, artigli e testicoli per poi rivenderli a peso d’oro sul mercato cinese come cura per l’impotenza.
Ma le zanne di giaguaro sono anche utilizzate come monili: in Cina e in altri Paesi asiatici avere una zanna di giaguaro appesa al collo è diventato uno status symbol che dimostra la forza e il potere di chi la indossa. L’inchiesta di Mongabay Latam ed El Deber de Bolivia denuncia che «Tutto questo lo sanno le autorità di governo ed ecologiche del Paese. La presenza in Bolivia di una mafia che sta incentivando la mattanza dei giaguari e un crescente mercato cinese che attizza il traffico di parti di felino non sono già più un segreto per il Viceministerio de medioambiente y agua, per la Dirección general de biodiversidad y areas protegidas, per i poliziotti forestali, per l’Empresa de Correos de Bolivia (Ecobol), per i direttori di tutti i Parchi naturali, né per nessun altro funzionario municipale insediato lungo la rotta del traffico delle zanne che ha il suo epicentro a Trinidad, il capoluogo beniano, e che si estende fino al municipio di Sena, nel Pando». La mattanza dei giaguari è incentivata anche da alcune radio locali e da “piazzisti” che vanno nei villaggi a chiedere se qualcuno ha zanne di tigres e poi offrono denaro a chi alza la mano.
La Pérez ha dichiarato guerra ai trafficanti fin dal 2014, scoprendo il costante coinvolgimento di cittadini cinesi, ma non ha sempre trovato sostegno nella giustizia e accusa apertamente giudici e pubblici ministeri di aver fatto «sparire molte prove che incriminavano gli investigati», compresi il computer e il materiale grafico sequestrato a un trafficante cinese a Rurrenabaque. Nonostante tutto questo, il ministero dell’ambiente boliviano è riuscito a portare a processo 8 cittadini cinesi e 2 boliviani, sorpresi mentre cercavano di inviare per posta parti di giaguari in Cina.
E’ chiaro che il traffico di zanne è cominciato con il massiccio arrivo di lavoratori cinesi in Bolivia, però alla Dirección de Biodiversidad negano che ci sia un legame tra i trafficanti cinesi e le imprese che stanno costruendo strade e ponti tra Trinidad e le poblaciones del Pando. Ma varie testimonianze, raccolte dall’inchiesta di Mongabay Latam ed El Deber de Bolivia tra cacciatori, leader indigeni e campesinos di Santa Cruz, Beni e Pando, confermano che la domanda di zanne è iniziata non appena le compagnie cinesi hanno avviato i lavori per costruire infrastrutture nella regione.
La pensa così anche la biologa Ángela Núñez, che per prima ha lanciato l’allarme sui media stranieri e che è convinta che questo sia dovuto ai crescenti legami commerciali tra Bolivia e Cina che hanno fatto arrivare nel Paese sudamericano i cittadini cinesi che hanno incoraggiato la caccia illegale al giaguaro e che hanno creato reti di traffico criminali, La Núñez ha detto a BBC Mundo di aver cominciato a notare il problema quando lavorava alla Dirección general de biodiversidad y areas protegidas e che quando nel 2015 si è licenziata si è dedicata a cercare di frenare questo traffico illegale. Secondo la Núñez, «Finora sono stati uccisi 140 giaguari come conseguenza della domanda del mercato cinese e il problema è più evidente nel Parque Nacional Madidi».
I suoi timori sono confermati dai fatti: dal 2014 ad oggi le poste boliviane hanno sequestrato 16 pacchetti contenenti 300 pezzi di giaguaro che avevano tutti indirizzi cinesi e 14 erano stati inviati da cittadini cinesi che lavorano in Bolivia. A loro volta i cinesi che lavorano nella costruzione di infrastrutture nelle foreste accusano i boliviani di andare nei loro cantieri ad offrir loro selvaggina e animali protetti.
Laime, che è un noto ambientalista, parla di bracconaggio in generale: suini, cervi, lucertole, scimmie, serpenti e tartarughe vendute al mercato di Riberalta, mentre per quanto riguarda i giaguari dice che prima venivano uccisi solo per scuoiarli e vendere le pellicce, ma da poco tempo ha scoperto attraverso i social network che ora vengono cacciati per estrarre le loro zanne che vengono inviate in Cina. Lame dice di avere le mani legate e di poter fare poco o nulla contro il bracconaggio, dato che i nessun pueblo intorno alla selva ci sono poliziotti forestali operativi e che con l’intendencia e la guardia civil è riuscito a fare ben poco.
La Bolivia, 1.098.581 km2, ha solo 50 poliziotti incaricati di difendere la fauna e la flora selvatiche e sono tutti assegnati alle province e alle città capoluogo, come ha confermato il direttore della Policía Forestal y de Medioambiente di La Paz, Wálter Andrade Sanjinés. La Ley 1333 permette di lottare contro il traffico di animali selvatici, ma senza uomini e mezzi per farla rispettare una legge serve a ben poco.
Il colonnello Andrade ha in custodia 200 zanne in gran parte sequestrate mentre stavano per essere inviate per posta in Cina e i cui mittenti corrispondono a falsi indirizzi di Cochabamba e Santa Cruz. Per indagare sui trafficanti Andrade utilizza informatori ed è così che ha scoperto che a volte i giaguari vengono catturati con delle trappole e uccisi sul posto nella foresta, poi i bracconieri strappano le zanne, gli artigli e i testicoli. Il colonnello sa che i trafficanti di zanne hanno cambiato modus operandi e che ora il commercio illegale non avviene più allo scoperto come solo pochi mesi fa, «Quando senza vergogna si offriva di comprare attraverso messaggi radio. Oggi questo non succede più. Ora lo fanno più in silenzio».
La Pérez dice che, grazie alle informazioni raccolte negli ultimi anni, è pronta a sferrare un colpo preciso alla rete criminale: «La abbiamo identificata. Coinvolge boliviani e cinesi».
Speriamo, per i giaguari e per la biodiversità boliviana, che sia vero.
