Gli acchiappa-plastica partono dalla Toscana per studiare i rifiuti del Mediterraneo
[25 Settembre 2013]
Sarà il viaggio sulla nave scuola per eccellenza della Marina militare italiana, l’Amerigo Vespucci, a insegnarci qual è l’impatto i rifiuti plastici provocano galleggiando nel Mediterraneo. Il gruppo di ricerca senese dei Plastic busters, gli acchiappa-plastica di cui già in passato abbiamo parlato su queste pagine, salpata stamattina dal porto di Livorno per veleggiare verso la francese Tolone e così tagliare il Santuario dei cetacei Pelagos, dove c’è la massima densità delle 8 specie di cetacei presenti nel Mediterraneo. Durante il percorso i ricercatori dell’università toscana inizieranno un’anteprima dell’ampio piano di mappatura, analisi e divulgazione scientifica sull’inquinamento marino dovuto alle plastiche.
«La nostra società, in particolar modo negli ultimi 50anni – spiega Maria Cristina Fossi, la coordinatrice del progetto – ha minato l’equilibrio dell’ambiente marino versando in mare migliaia e migliaia di tonnellate di plastica. Plastic Busters si pone così l’obiettivo finale (in una spedizione più ampia che si svolgerà nel 2014) di mappare la presenza di macro e micro plastiche in tutta l’area del Mediterraneo, e valutarne le conseguenze sull’ambiente marino e sulla salute della sua fauna».
Il progetto, nato all’interno del Med Solutions, a sua volta tassello coordinato a Siena del più ampio Sustainable development solutions network ideato in seno all’Onu e coordinato dall’economista Jeffrey Sachs, con la sua metrica valutativa, proseguirà fino ad approdare alla definizione di proposte mitigative dell’inquinamento da plastiche, che verranno a loro volta suggeriti ai policy-makers perché possano trasformarsi in azioni concrete. Veder salpare l’iniziativa a bordo della Vespucci, come ha evidenziato il rettore dell’ateneo senese, Angelo Riccaboni, significa partire «con una bandiera dell’Italia che ha solcato i mari del mondo, portando avanti un’importante iniziativa di diplomazia culturale».
La prossima tappa del progetto, dopo questa prima fotografia (i cui risultati saranno disponibili con tutta probabilità a inizio 2014), vedrà ancora una volta la collaborazione della Marina, che metterà a disposizione nell’ultimo scorcio dell’anno due sue navi idrografiche: la Magnaghi e la Galatea.
Quella dei ricercatori toscani si annuncia già un’impresa titanica. «Il Mare Nostrum – spiega Maria Cristina Fossi – essendo chiuso e densamente popolato, è fortemente interessato dalla contaminazione da plastica: si stima che sia inquinato da 3 miliardi di rifiuti, e che questi siano costituiti tra il 70 e l’80% da plastiche che contaminano la fauna marina e la catena alimentare, fino al pesce che arriva sulle nostre tavole».
Una volta fotografati, questi rifiuti, dovremo dunque trovare che farne. Magari replicando ciò che già avviene nei mari del nord Europa con l’iniziativa Fishing for litters, che coinvolge i pescatori locali nella raccolta del materiale. Come spiega a greenreport la coordinatrice, attualmente la legislazione italiana inquadra questi materiali come rifiuti speciali, per la cui lavorazione e trattamento andranno coinvolte direttamente industrie del settore. «La nostra università ha già preso contatti con il Corepla – sottolinea Fossi – che si ha manifestato interesse per il progetto».
Il problema principale, però, rimane sempre il solito: la sostenibilità economica dell’azione, che ne determina la fattibilità. Le macro e microplastiche sparse per il Mediterraneo non rappresentano al momento un investimento molto redditizio per l’industria del riciclo, e il loro recupero in tal senso rischia di rimanere un’azione poco più che simbolica. Per questo, posto che i rifiuti già presenti in mare dovranno essere comunque minimizzati, per il futuro occorre agire principalmente alla fonte, a terra. In modo che si smetta di gettare la plastica in mare, mica sarà colpa infatti della plastica!
«Ogni cittadino europeo – chiosa la Fossi – produce mediamente 520 kg di rifiuti all’anno, destinati a diventare 580 kg a testa entro il 2020, in assenza di azioni di contrasto. D’altra parte, proprio il 2020 è la data fissata dall’Unione Europea per raggiungere un buono stato di salute del mare nell’ambito della Marine Strategy Framework Directive». È chiaro che il fluire degli eventi, lasciati a se stessi, non potranno permetterci di raggiungere l’obiettivo: il ruolo della politica, come sempre, rimane quello di dettare la rotta verso le priorità.