Condanna eternit, sentenza storica per il diritto ambientale che costituisce “precedente”
[5 Giugno 2013]
Si è chiuso a Torino, con una sentenza di secondo grado che non è ardito definire storica, il più grande processo mai celebrato in Europa e probabilmente nel mondo per disastro ambientale doloso e omissione dolosa dei sistemi antinfortunistici, contro i capi supremi del colosso Eternit.
Si tratta di un processo le cui carte sono assai note a “Diritto all’ambiente”, dal momento che l’Avv. Valentina Stefutti, coordinatore giuridico della nostra testata giornalistica on line, è stata legale di parte civile, rappresentando in giudizio il WWF Italia, giudizio in cui ha ottenuto un importante risarcimento per l’Associazione, proprio grazie all’avvenuto riconoscimento della gravità dei delitti a matrice ambientale compiuti dai vertici della multinazionale.
La Corte di Appello di Torino, dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato De Cartier, deceduto proprio alla vigilia della lettura del dispositivo di sentenza (non si tratta dunque di una assoluzione, va sottolineato…), e revocate tutte le statuizioni civili a suo carico, in parziale riforma della sentenza di primo grado ha aumentato la pena ad anni diciotto di reclusione – in primo grado la pena comminata era stata di anni sedici – nei confronti dell’imputato Schmidheiny, che è stato riconosciuto responsabile del reato di disastro doloso, sotto il profilo del dolo diretto.
Giova sottolineare che una dichiarazione di non doversi procedere per morte del reo non è (come ad esempio una pronuncia per prescrizione del reato) una sentenza di assoluzione. Tanto è vero che in questi casi se il giudice ritiene che sussistono elementi di totale estraneità dall’imputato rispetto al reato deve far prevalere una formula di vera e propria “assoluzione” (o proscioglimento) nel merito, come ha effettivamente fatto, a riprova di quanto abbiamo appena sottolineato, in relazione alle condotte serbate da De Cartier nello stabilimento di Rubiera e per il periodo precedente al giugno 1966. Questo punto di diritto è importante affinchè non si pensi (come accade ad esempio per soggetti imputati che beneficiano della prescrizione del reato) che vi è stata una sentenza di assoluzione nel merito rispetto ai reati contestati…
Come può già evincersi dalla lettura del dispositivo di sentenza, ed in attesa di conoscere le motivazioni, che consentiranno un’analisi ben più approfondita di questo storico pronunciamento, rispetto alla sentenza di primo grado, Schmidheiny è stato riconosciuto colpevole non solo dei disastri provocati negli e dagli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo, ma anche di quelli di Napoli Bagnoli e Rubiera, esclusi nella pronuncia di primo grado.
La pena comminata, come si accennava, è superiore rispetto a quella inflittagli in primo grado, mentre il periodo delle contestazioni a suo carico è stato ridotto, espungendo sia il periodo anteriore al 1976, in parte per prescrizione e in parte per assoluzione, e quello successivo alla metà degli Anni Ottanta, quando l’Eternit era in amministrazione controllata (Rubiera) e/o fallita (Casale, Cavagnolo e Bagnoli).
Come noto l’amianto è causa di gravissime patologie, come il mesotelioma pleurico e l’asbestosi, che spesso hanno esiti letali. Non si deve peraltro pensare che il problema si stato risolto. Il lungo periodo di latenza della malattia fa sì che il picco di mortalità non si sia ancora verificato, ed è atteso intorno al 2020, nonostante siano ormai passati decenni dalla chiusura degli stabilimenti.
In più, c’è da dire che in Italia l’amianto continua ad essere un’emergenza dimenticata. Da i dati in nostro possesso, risulterebbe infatti nel nostro Paese ci sarebbero ancora 2,5 miliardi di metri quadri di coperture di Eternit pari a 32 milioni di tonnellate di cemento-amianto e molte tonnellate di amianto friabile, per un totale di amianto puro di circa 8 milioni di metri cubi.
Oltre la disastro sanitario, l’inquinamento da amianto ha cagionato una disastro ambientale di proporzioni immani. Basti pensare che l’intervento di bonifica – cui Eternit non ha partecipato in alcun modo – eseguito negli anni 2000-01 sulla sponda destra del Fiume Po a Casale Monferrato sia stato di dimensioni tali da avere riguardato una vera e propria spiaggia contaminata, di 6,5 chilometri quadrati, di profondità da 1 a 5 metri, per un totale di 12.000 metri quadrati di materiale contaminato, che veniva smaltito illegalmente dalla Eternit.
Durante il periodo di massima espansione, negli Anni Settanta, si era formata una spiaggia artificiale di ben sei ettari, dove i bambini, d’estate andavano a giocare ignari, ed in cui la forza del fiume, con le sue ondate di piena, hanno successivamente trasportato i materiali contaminato lontano da Casale, un fattore, questo chiaramente amplificatore del disastro anche sotto il profilo spaziale.
Si tratta di una sentenza che costituisce un precedente importantissimo per numerosissimi casi di disastro ambientale doloso. Si pensi, su tutti, al procedimento relativo all’Ilva di Taranto, ad oggi ancora in fase di indagini, ma in cui le prospettazioni accusatorie sono esattamente le stesse.
Infine, nella nostra quotidianità ordinaria ed anche per fatti certamente meno devastanti ma pur sempre micidiali per la salute pubblica individuale, verosimilmente questa sentenza (soprattutto con riguardo agli aspetti di elemento soggettivo del dolo che supera finalmente il dominio – fino ad oggi dilagante – della mera colpa in questi tipi di reati) potrà aprire scenari giudiziari forse fino ad oggi impensabili. Valutando diversamente anche azioni illegali meno sistematiche e radicate, ma non per questo meno dannose verso i singoli cittadini.
Ad esempio, da oggi un soggetto che getta eternit sbriciolato in un cassonetto per rifiuti urbani nella piena consapevolezza (criminale) che chi aprirà poi il cassonetto stesso per gettare il sacchetto di rifiuti domestici con certezza respirerà la polvere di amianto e nella piena consapevolezza che tale polvere è devastante per chi la inala, tanto è vero che ha gettato quei pezzi frantumati di eternit dentro il cassonetto proprio perché – consapevole della pericolosità di quel rifiuto – ha voluto risparmiare sui costi per lo smaltimento regolare, può essere ancora ritenuto responsabile solo di un banale e risibile illecito di “abbandono” di rifiuti (se poi è un privato = irrilevante sanzione amministrativa…) o si devono iniziare adesso a valutare a suo carico dei reati a danno dei singoli gruppi di cittadini che tale soggetto espone in piena consapevolezza non al rischio ma alla certezza di grave malattia da inalazione di fibre di eternit? Quale elemento soggettivo e quale reato si può oggi – dopo questa storica sentenza – iniziare ad ipotizzare anche in questi casi che solo apparentemente sono minori che ma ogni giorno, tutti i giorni, in migliaia di repliche seriali sul territorio espongono tutti allo stesso rischio mortale da eternit?
La sentenza in questione ha posto il dolo nel contesto di tali tipi di reati che sono in stretta connessione tra delitti contro l’ambiente e delitti contro la salute pubblica. Verso chi sparge sui nostri territori in modo seriale, consapevole, preordinato e dunque criminale eternit frantumato dentro la vivibilità ordinaria e quotidiana di ignari cittadini in mille forme insidiose e silenti, che rappresentano trappole micidiali per tutti, sulla base dei principi generali da trarre da questa sentenza forse possiamo da oggi non parlare più di arcaiche ed inutili sanzioni amministrative o al massimo di “reati minori” di tipo banalmente colposo, ma possiamo azzardare ipotesi di reato dolose.
Maurizio Santoloci, diritto all’ambiente (www.dirittoambiente.net)