Deposito temporaneo di rifiuti: dubbi e lacune sul luogo di produzione
[23 Settembre 2013]
L’istituto del deposito temporaneo di rifiuti, già presente nel nostro ordinamento sotto la vigenza del D.L.vo 22/97 (Decreto Ronchi), è tutt’altro che pacifico. Poiché esso si colloca nel fase che precede la gestione dei rifiuti vera e propria, deve essere effettuato nel rigoroso rispetto delle condizioni di cui all’art. 183, c. 1, lett. bb), D.L.vo 152/06.
Tra queste, innanzitutto, la sua realizzazione nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti.
Apparentemente banale, questa prescrizione solleva in realtà alcuni problemi: nel caso, ad esempio, di un’impresa proprietaria di due siti contigui, può realizzare in deposito temporaneo in uno quando invece i rifiuti sono stati prodotti nell’altro? Come ci si comporta nel caso dei rifiuti da manutenzione (art. 230 e art. 266, c. 4), laddove la legge stessa prevede una fictio iuris (“i rifiuti si considerano prodotti …”)?
Da quando il D.L.vo 205/10 ha abrogato la definizione di luogo di produzione dei rifiuti (“uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali sono originati i rifiuti”), precedentemente contenuta nell’art. 183, c. 1, lett. i), questi dubbi sono ancor più oggetto di discussione.
Come sempre in questi casi, la giurisprudenza interviene in via interpretativa a sopperire un vuoto normativo in attesa che il Legislatore intervenga direttamente.
Secondo quanto stabilito dalla sentenza Cass. III Pen. n. 28204 del 18 luglio 2011, il luogo rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo non è circoscritto al solo luogo di produzione, potendosi eventualmente estendere ad altro sito nella disponibilità dell’impresa, a tal fine è però necessario che vi sia un collegamento funzionale con quello ove la produzione avviene. Nella fattispecie, si trattava di un trasporto di materiale proveniente da demolizione di un fabbricato presso un altro cantiere poco distante per il riutilizzo di quei materiali ai fini di edificazione di un altro fabbricato (i luoghi erano distanti tra loro circa sette km).
Ma come deve essere interpretato il collegamento funzionale? Il produttore ha forse discrezionalità nel giustificare un deposito temporaneo effettuato non dove i rifiuti sono prodotti, in ragione di un presunto collegamento funzionale tra due siti?
Sul punto, la recente pronuncia Cass. III Pen. n. 6295 dell’8 febbraio 2013 stabilisce che il collegamento funzionale tra luogo di produzione del rifiuto e quello del deposito temporaneo deve essere interpretato in modo restrittivo, intendendosi come legame funzionale tra luogo di produzione dei rifiuti e contiguo terreno di deposito degli stessi. Nella fattispecie si trattava di rifiuti da demolizione edilizia, provenienti da due diversi cantieri ubicati in due distinti comuni, e collocati in un terreno ubicato in altro comune ancora, ove aveva sede l’impresa.
Pertanto, anche ad avviso di chi scrive, è consigliabile adottare un’interpretazione restrittiva circa il concetto di luogo di produzione, in quanto più cautelativa per il produttore perché lo mette al riparo da eventuali contestazione degli organi di controllo: si rammenta, infatti, che la violazione dei prerequisiti inerenti la realizzazione del deposito temporaneo configura un’attività di gestione rifiuti non autorizzata, assistita da sanzioni penali (contravvenzioni) anche onerose.