Quando l’appaltatore è il responsabile della corretta gestione dei rifiuti?
[22 Aprile 2014]
Il legale rappresentante di una società appaltatrice è stato recentemente ritenuto dalla Corte di Cassazione colpevole del reato di associazione per delinquere (art. 461 c.p.) e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260, D.L.vo n. 152/2006), in concorso con il committente dei lavori, per attività di illecito smaltimento di rifiuti speciali (nella specie, ingenti quantità di materiale abrasivo di scarto, c.d. grit esausto, prodotto da lavori di verniciatura di carene di navi).
Con la sentenza n. 13025/2014 della S.C. la responsabilità dell’appaltatore, in particolare, è stata accertata in quanto tale soggetto è risultato acquirente ed utilizzatore del suddetto materiale. Questa circostanza, secondo i giudici, rende l’appaltatore responsabile della corretta gestione dei rifiuti prodotti, con particolare riferimento al loro smaltimento. I giudici hanno infatti desunto, dalla totale mancanza di verifiche da parte dell’appaltatore e dalla clausola contrattuale che gli affidava in toto la gestione del materiale (prevedendo invece che lo smaltimento dei rifiuti ed i relativi costi fossero a carico committente), l’esistenza di una vera e propria associazione per delinquere.
Nella motivazione della sentenza si legge infatti che “Trova applicazione il disposto dell’art. 188, comma 1, del D.L.vo n. 152 del 2006, secondi cui il produttore iniziale dei rifiuti … che consegni tali rifiuti ad un altro soggetto che ne effettui, anche in parte, il trattamento … conserva la responsabilità per l’intera catena di trattamento, restando inteso che essa sussiste anche nel caso in cui i rifiuti siano trasferiti per il trattamento preliminare ad uno dei soggetti consegnatari”.
Ciò significa che, pur in assenza di uno “specifico” obbligo documentale, la responsabilità del produttore iniziale del rifiuto non si arresta al momento del primo conferimento dello stesso.
Il richiamato art. 188 è stato peraltro interamente riscritto dal D.L.vo n. 205/2010, ma la nuova versione della norma entrerà in vigore solo all’indomani della piena operabilità del regime del SISTRI[1] (Sistema di controllo della Tracciabilità dei Rifiuti). Prima di tale data, pertanto, secondo il dettato normativo occorrerà fare riferimento alla versione anteriore all’entrata in vigore del D.L.vo n. 205/2010, che prevede che la responsabilità del produttore, configurabile per tutte le fasi della gestione dei rifiuti, sia tuttavia esclusa dal momento in cui i medesimi vengono presi in carico dal primo impianto autorizzato a recuperarli o a smaltirli, con contestuale sottoscrizione da parte del gestore della copia del formulario d’identificazione dei rifiuti ex art. 193, D.L.vo n. 152/2006.
Per contro, la versione “modificata” dell’art. 188 prevede una sorta di doppio regime di responsabilità, che per il produttore iniziale risulta estesa all’”intera catena di trattamento”, qualora egli non sia iscritto al SISTRI, mentre è limitata alla “rispettiva sfera di competenza”, nel caso in cui il produttore abbia aderito al SISTRI ed adempiuto agli obblighi da esso derivanti.
La S.C., dal canto suo, assume nella sentenza in commento che la versione dell’art. 188 ad oggi vigente sia quella modificata dal D.L.vo n. 205/2010, della quale richiama espressamente il principio di conservazione della responsabilità in capo al produttore iniziale di rifiuti “per l’intera catena di trattamento”, e ciò anche per il caso in cui i rifiuti siano prodotti dall’appaltatore in esecuzione di un contratto di appalto. Questo nonostante il caos normativo (e non solo) che circonda l’istituto del SISTRI, ad oggi non ancora pienamente in vigore.
Ma i giudici, nella sentenza in esame, si spingono oltre, affermando che «… come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il recupero o lo smaltimento ha il dovere di accertare che questi ultimi siano debitamente autorizzati allo svolgimento delle operazioni, con la conseguenza che l’inosservanza di tale regola di cautela imprenditoriale è idonea a configurare la responsabilità per il reato di illecita gestione dei rifiuti in concorso con coloro che li hanno ricevuti in assenza del prescritto titolo abilitativo».