Terre e rocce da scavo: il punto a seguito delle modifiche apportate dal “Decreto del fare” e dalla legge Expo 2015

[4 Luglio 2013]

La materia della gestione delle terre e rocce da scavo si trova ad essere nuovamente oggetto di due recenti interventi normativi che ne vanno ulteriormente a definire ambito e modalità di disciplina ed applicazione. Parliamo del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69 (c.d. Decreto del Fare) e della Legge 26 giugno 2013 n. 71 (di conversione del D.L. 43/2013 relativo a “Disposizioni urgenti di contrasto ad emergenze ambientali e a favore delle zone terremotate del maggio 2012”).

Vediamo comunque in che modo tali provvedimenti hanno inciso sulla normativa di settore e quali sono gli elementi di novità introdotti.

Ambito di applicazione del D.M. 161/2012

Sulla base di quanto è disposto dall’art. 41, comma 2, del D.L. n. 69/2013, l’ambito di applicazione del D.M. 161/2013 (Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione  delle  terre e rocce da scavo) viene ora circoscritto esplicitamente solo alle terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale.

È stato infatti aggiunto all’art. 184bis del D.Lgs. n. 152/06 un nuovo comma 2bis, che così recita:

“2-bis. Il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 10 agosto 2012, n. 161, adottato in attuazione delle previsioni di cui all’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, si applica solo alle terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale. Il decreto di cui al periodo precedente non si applica comunque alle ipotesi disciplinate dall’articolo 109 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.

 

Ricordiamo che – secondo le attuali disposizioni normative – in via generale, i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale (VIA) sono tutti quelli che possono avere impatti significativi e negativi  sull’ambiente  e  sul patrimonio culturale (si veda art. 6, comma 5, D.Lgs. n. 152/06).

La norma di settore richiede – in particolar modo – una valutazione per i progetti di cui agli allegati II e III alla Parte Seconda del D.Lgs. n. 152/06[1] e per i  progetti  di  cui  all’allegato IV[2] sempre alla Parte Seconda decreto cit. relativi ad opere o interventi di nuova realizzazione, che ricadono – anche parzialmente – all’interno di aree naturali  protette o che, comunque, si ritenga che possano produrre impatti significativi e negativi sull’ambiente.

I progetti, invece, per i quali è necessaria l’autorizzazione integrata ambientale (AIA) sono quelli di cui all’allegato VIII alla Parte Seconda del D.Lgs. n. 152/06 (che, sostanzialmente, concernono i grandi impianti industriali).

Dunque, è ormai chiaro che il D.M. 161/2012 trova applicazione solamente per le terre e rocce da scavo (o per meglio direi, per “materiali da scavo” che è concetto più ampio…) che derivano dalle “grandi opere”. E d’altra parte, la complessità delle prescrizioni dettate dal decreto in parola per accedere alla disciplina di deroga – che abbiamo fin dall’inizio sottolineato – rendevano già evidenti le intenzioni del legislatore, anche a dispetto di chi, invece, sosteneva che il provvedimento dovesse applicarsi indiscriminatamente ad ogni attività e progetto.

Orbene, a questo punto quale disciplina si applica ai materiali da scavo che derivano da opere NON soggette a VIA o ad AIA?

Ipotesi A) utilizzo del materiale da scavo nel sito dove è stato scavato

Al di fuori delle fattispecie disciplinate dal D.M. 161/2013, in caso di utilizzo a fini di costruzione del materiale da scavo nello stesso sito in cui è stato scavato, trova applicazione l’esclusione dall’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti disposta dall’art. 185, comma1, lett. c) D.Lgs. n. 152/06, che recita:

“1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:  ….c il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso dell’attività di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà utilizzato a fini di costruzione allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato scavato”.

Ipotesi B) utilizzo del materiale da scavo in siti diversi da quello in cui è stato scavato

Sempre al di fuori delle fattispecie disciplinate dal D.M. 161/2013, in caso di utilizzo del materiale da scavo in siti diversi da quello in cui è stato scavato, si può richiamare quanto stabilito al comma 4 dell’art. 185 D.Lgs. n. 152/06, che dispone:

4. Il suolo escavato non contaminato e altro materiale  allo  stato naturale, utilizzati in siti diversi da  quelli  in  cui  sono  stati escavati,  devono  essere  valutati  ai  sensi,  nell’ordine,  degli articoli 183, comma 1, lettera a), 184-bis e 184-ter.

In pratica, in questo caso è necessario verificare – caso per caso – se vengono soddisfatte tutte le condizioni poste dalla disposizione generale sul sottoprodotto ex art. 184 bis  D.Lgs. n. 152/06, non negandosi una certa difficoltà di applicazione al campo in esame, dato che – a nostro avviso –  per la particolare: natura, attività di produzione del materiale (che non è esattamente uno scarto di una attività produttiva, ma bensì più propriamente un residuo di un’attività di scavo) ed utilizzo finale, necessiterebbe invece di specifiche regole di ordine procedurale[3].

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Anche in merito a tali due ipotesi si deve poi registrare una importate novità introdotta sempre dal D.L. n. 69/2013 (art. 41, comma 3). Infatti è stata modificata la diposizione di cui all’art. 3 del decreto legge 25 gennaio 2012, n. 2, la quale – si ricorda – reca una interpretazione autentica proprio dell’art. 185 D.Lgs. n. 152/06, e che ha stabilito:

Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al “suolo” contenuti all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo”.

Quindi, il “suolo” oggetto delle ipotesi di esclusione dalla disciplina sui rifiuti dettate dall’art. 185 D.Lgs. n. 152/06 comprende anche le matrici “materiali di riporto”.

L’ultimo intervento legislativo ha aggiunto alla disposizione di cui sopra un nuovo periodo, con il quale si è andata ha precisare la natura di tali matrici materiali di riporto ai fini della stessa disposizione;  esse sono “costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte  stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e  stratigrafiche  naturali del terreno in un determinato sito e utilizzati per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri”.

Tuttavia, ai sensi dei nuovi commi 2, 3 e 3bis dell’art. 3 del D.L. n. 2/2012[4], per accedere alle ipotesi di esclusione previste dall’art. 185 D.Lgs. n. 152/06 le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono  rispettare quanto   previsto   dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati.

Le matrici materiali di riporto che sono risultate non conformi ai limiti del test di cessione sono considerate fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi al  test  di cessione  tramite  operazioni di  trattamento  che rimuovono i contaminanti  o  devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche  disponibili e a costi sostenibili che consentono di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute

Gli oneri derivanti da tali attività sono posti tutti a carico dei richiedenti delle verifiche

Le terre e rocce da scavo provenienti dai “piccoli cantieri”

In merito alla questione delle terre e rocce da scavo provenienti dai c.d. “piccoli cantieri”, abbiamo già ricordato in nostri presedenti articoli[5] come l’art. 266, comma 7, D.Lgs. n. 152/2006 (modificato dall’art. 2, comma 45-bis, D.Lgs. n. 4 del 2008) indichi la necessità di un apposito decreto ministeriale che vada a disciplinare la fattispecie specifica in deroga alla disciplina generale di settore: Con successivo decreto, adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive e della salute, è dettata la disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale nel rispetto delle disposizioni comunitarie in materia.”.

Dunque – per espressa disposizione della legge nazionale – l’apposita disciplina in deroga per i “piccoli cantieri” la cui produzione di materiali, ivi incluse le terre e rocce da scavo, non superi i seimila metri cubi di materiale è demandata alla regolamentazione di un apposito decreto che  – ad oggi – ancora deve essere emanato dal Ministro dell’ambiente di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive e della salute, al fine di disciplinare tale normativa di deroga in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

Sì è dato anche conto di come – tuttavia – alcune Regioni (in attesa delle norme nazionali) hanno di recente definito con propri provvedimenti normativi una procedura da utilizzare per le produzioni di terre e rocce da scavo dai “piccoli cantieri” (con conseguenti dubbi sotto il profilo della legittimità di tali atti).

In relazione a tale fattispecie è intervenuto ora il legislatore con un provvedimento che – per l’escamotage trovato –  ci lascia tuttavia perplessi.

Al D.L. 26 aprile 2013 n. 43 (che reca le “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015”), in sede di conversione in legge[6], sono state apportate significative modificazioni. Tra queste si segnala l’art. 8 bis che pone una deroga alla disciplina dell’utilizzazione di terre e rocce da scavo, la quale non è limitata ai casi “eccezionali” disciplinati dal provvedimento in parola, ma trova applicazione su tutto il territorio nazionale. Infatti si prevede che: “… in attesa di una specifica disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure, alla gestione dei materiali da scavo, provenienti dai cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale, continuano ad applicarsi su tutto il territorio nazionale le disposizioni stabilite dall’articolo 186 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in deroga a quanto stabilito dall’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.”; mentre al comma 1 del cit. art. 8bis si premette e precisa che: Al fine di rendere più celere e più agevole la realizzazione degli interventi urgenti previsti dal presente decreto che comportano la necessità di gestire terre e rocce da scavo, adottando nel contempo una disciplina semplificata di tale gestione, proporzionata all’entità degli interventi da eseguire e uniforme per tutto il territorio nazionale, le disposizioni del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161, si applicano solo alle terre e rocce da scavo prodotte nell’esecuzione di opere soggette ad autorizzazione integrata ambientale o a valutazione di impatto ambientale.”.

Di fatto, quindi, la gestione delle terre e rocce da scavo provenienti dai cantieri la cui produzione non supera i seimila metri cubi di materiale e che non riguarda opere soggette ad autorizzazione integrata ambientale o a valutazione di impatto ambientale, in via transitoria (cioè fino a quando non verrà emanato l’apposito decreto ministeriale che deve dettare le regole amministrative semplificate per tali ipotesi) torna ad esse disciplinata ai sensi dell’abrogato art. 186 D.Lgs. n. 152/06.

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Come abbiamo visto, gli ultimi interventi legislativi hanno dunque apportato novità di assoluto rilievo nel campo della gestione delle terre e rocce da scavo.

Tali disposizioni sono di immediata applicazione, tuttavia, si ricorda – per quanto riguarda quelle che fanno riferimento al D.L. n. 69/2013 – che non essendo ancora intervenuta la legge di conversione, bisognerà attendere quest’ultima per vedere se saranno confermate o se interverranno ulteriori modifiche.

  Valentina Vattani, (Diritto all’ambiente http://www.dirittoambiente.net/)


 

[1] L’Allegato II alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/06 elenca i “progetti di competenza statale”, tra i quali vi sono, ad esempio: Elettrodotti aerei ed elettrodotti in cavo interrato (variamente definiti e delimitati), o opere relative a: tronchi ferroviari per il traffico a  grande  distanza  nonché aeroporti con  piste  di  atterraggio  superiori  a  1.500  metri  di lunghezza; autostrade e strade riservate alla circolazione automobilistica o tratti di esse, accessibili solo attraverso svincoli o intersezioni controllate e sulle quali sono vietati tra  l’altro  l’arresto  e  la sosta di autoveicoli;  strade extraurbane a quattro o più corsie o raddrizzamento e/o allargamento di strade esistenti a due corsie al massimo per renderle a quattro o più corsie, sempre che la nuova strada o  il  tratto  di strada raddrizzato e/o allargato abbia una lunghezza ininterrotta  di almeno 10 km; etc..

A sua volta l’Allegato III elenca i “progetti di competenza delle regioni e  delle  province  autonome  di Trento e Bolzano”, tra i quali vi rientrano, ad esempio: gli impianti  di  smaltimento  e  recupero  di  rifiuti  pericolosi e non pericolosi (variamente definiti e delimitati).

[2] L’Allegato IV alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/06 elenca i “progetti sottoposti alla Verifica di assoggettabilità di  competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano.”, tra i quali vi sono, ad esempio: porti e  impianti portuali marittimi, fluviali e lacuali, compresi i porti di pesca, vie navigabili; strade extraurbane secondarie; costruzione di  strade  di  scorrimento in area urbana  o potenziamento di esistenti a quattro o più corsie con lunghezza, in area urbana o extraurbana, superiore a 1500 metri; linee ferroviarie a carattere regionale o locale; sistemi di  trasporto a guida vincolata  (tramvie  e metropolitane),  funicolari  o  linee  simili  di  tipo  particolare, esclusivamente o principalmente adibite al trasporto di passeggeri; etc..

[3] Ed infatti, in una prima versione del D.L. n. 69/2013 – poi non andata in Gazzetta Ufficiale – l’articolo che ora è intervenuto in merito al campo di applicazione del D.M. 161/2012, riportava una regola procedurale per i casi che restavano esclusi dall’applicazione del decreto e che però potevano entrare nell’alveo del sottoprodotto generale. La disposizione in questione (che riportiamo a puro titolo informativo) recitava: Decreto Legge c.d. del Fare – Capo VII Semplificazioni ambientali  art. 35 (Disposizioni urgenti di modifica del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e di altre norme in materia ambientale):

2. All’articolo 184 bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, dopo il comma 2, sono aggiunti i seguenti commi:

“3. Il decreto n. 161 del 10 agosto 2012 adottato dal Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in attuazione delle previsioni di cui all’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, si applica solo alle terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale. Il decreto di cui al periodo precedente non si applica comunque alle ipotesi disciplinate dall’articolo 109 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

4. Le terre e rocce da scavo che non rientrano nel campo di applicazione del decreto ministeriale di cui al comma 3, né dei decreti adottati ai sensi del comma 2, sono sottoprodotti se il produttore delle stesse dimostra che sono soddisfatte le seguenti condizioni:

a) sin dalla fase della loro produzione è certo che esse sono destinate direttamente all’utilizzo in un determinato ciclo produttivo, o nel medesimo sito di provenienza, o in un altro sito, per opere edilizie, di costruzione, rimodellamenti morfologici e altre operazioni di recupero ambientale;

b) le terre e rocce da scavo non contengono fonti di contaminazione, non presentano concentrazioni soglia di contaminazione superiori ai valori limite di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di utilizzo, non determinano rischio di inquinamento delle falde acquifere e di danno alle altre risorse ambientali tutelate ai sensi della Parte VI del decreto legislativo n. 152 del 2006;

c) l’utilizzo in un successivo ciclo di produzione non determina rischi per la salute, né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo di altre materie prime;

d) ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre le terre e rocce da scavo ad alcun trattamento preventivo, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere.

5. Prima della produzione delle terre e rocce da scavo il produttore attesta il rispetto delle condizioni di cui al comma 3 tramite dichiarazione resa alla provincia territorialmente competente, ai sensi e per gli effetti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, precisando le quantità destinate all’utilizzo, il sito o l’impianto di utilizzo i tempi previsti per l’utilizzo e il sito di deposito in attesa dell’utilizzo, che non può comunque superare un anno dalla data di produzione, fermo restando che le attività di scavo e di utilizzo devono essere autorizzate in conformità alla vigente disciplina urbanistica e igienico-sanitaria. Il produttore deve in ogni caso confermare alla provincia competente, con riferimento alla produzione e all’utilizzo fatto, che le terre e rocce da scavo sono state completamente utilizzate secondo le previsioni iniziali.

6. L’utilizzo delle terre e rocce da scavo effettuato nel rispetto dei commi 3 e 4 e 5 resta assoggettato al regime proprio dei beni e dei prodotti. A tal fine il trasporto di questi materiali è accompagnato dal documento di trasporto o da copia del contratto di trasporto redatto in forma scritta ovvero dalla scheda di trasporto di cui agli articoli 6 e 7-bis del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286, e successive modificazioni”.

[4] DECRETO-LEGGE 25 gennaio 2012, n. 2

Art. 3  (Interpretazione autentica dell’articolo 185 del decreto  legislativo n.152 del 2006, disposizioni  in  materia  di  matrici  materiali  di riporto e ulteriori disposizioni in materia di rifiuti)

1. Ferma restando la disciplina in materia di  bonifica  dei  suoli contaminati, i riferimenti al “suolo” contenuti  all’articolo  185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla  parte  IV  del  medesimo  decreto legislativo, costituite da una miscela eterogenea di  materiale  di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di  terreno,  che  compone  un  orizzonte  stratigrafico  specifico rispetto alle caratteristiche geologiche  e  stratigrafiche  naturali del terreno in un determinato sito e utilizzati per la  realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.

2. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 185, comma 1,  lettere b) e c),  del  decreto  legislativo  n.  152  del  2006,  le  matrici materiali di riporto devono essere  sottoposte  a  test  di  cessione effettuato sui materiali  granulari  ai  sensi  dell’articolo  9  del decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1998, n. 88, ai fini  delle  metodiche  da utilizzare  per  escludere  rischi  di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati.

3. Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di  contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi al test  di cessione  tramite  operazioni di trattamento che  rimuovono i contaminanti o devono essere  sottoposte  a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentono di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.

3-bis. Gli oneri derivanti dai commi 2 e 3 sono posti integralmente a carico dei soggetti richiedenti le verifiche ivi previste.

[5] Si veda: “Terre e rocce da scavo: le Regioni possono anticipare in via autonoma il regolamento nazionale per i piccoli cantieri?” di  Maurizio Santoloci e Valentina Vattani – su www.dirittoambiente.net; “Il Ministero dell’Ambiente risponde ad alcuni quesiti sull’applicazione del nuovo D.M. 161/2012: problemi risolti o permangono i dubbi?” di Valentina Vattani – su www.dirittoambiente.net

[6] Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 24 giugno 2013, n. 71 (in G.U. 25/6/2013, n. 147).

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