Un’analisi ragionata del focus Ocse, propaganda a parte
Altro che inclusività, in Italia per i giovani adulti il background della famiglia conta eccome
Le differenze che si riscontrano tra teenager appartenenti ad ambienti socio-culturali avvantaggiati e non tende ad aumentare nell’età adulta, penalizzando i low performers
[20 Aprile 2017]
L’Ocse pubblica periodicamente dei focus che mettono in evidenza problemi emersi in varie indagini; si tratta di pubblicazioni interessanti perché, a partire da analisi più ampie e ricche per i diversi approcci, mettono sotto osservazione una questione rilevante e sollecitano riflessioni su temi di carattere generale. In questi ultimi anni l’Ocse ha approfondito, da vari punti di vista, il problema delle popolazioni low skilled attraverso la produzione di indicatori, la definizione di standard e la messa in evidenza di correlazioni tra fenomeni che si manifestano nei diversi contesti*.
È in questa linea di ricerca che si colloca il recente Adult skills in focus n. 5, che studia l’effetto delle diseguaglianze socio-economiche sull’acquisizione e soprattutto sull’aumento delle diversità di abilità/competenze negli adolescenti (teenager) e nei giovani adulti.
Il focus evidenzia bene come le differenze in abilità/competenze che si riscontrano tra ragazzi quindicenni appartenenti ad ambienti socio-culturali avvantaggiati e svantaggiati tende ad aumentare negli anni quando i teenager entrano nella età adulta, e soprattutto mostra come queste differenze restano stabili, nel passaggio tra i 15-e i 27 anni, tra soggetti che hanno competenze elevate, ma aumentano invece in modo notevole tra i giovani che, a quindici anni, si presentano come low performers.
Queste affermazioni si fondano sullo studio dei punteggi medi conseguiti in literacy dai due gruppi di soggetti a 15 e a 27 anni: punteggi che mettono bene in luce come l’incremento di competenze riguardi soprattutto chi proviene da ambienti socio-economici più favoriti.
Appare utile vedere come il dato è stato prodotto e seguire il percorso di ragionamento che merita un’attenzione non propagandistica da parte delle istituzioni. Autorevoli commentatori politici, infatti, fermandosi a un dato parziale e assumendolo come indicatore della capacità inclusiva della scuola italiana, hanno perso un’occasione significativa per affrontare il problema della sempre maggiore divaricazione che, nel nostro paese, si determina tra chi sta dentro e chi resta fuori dai circuiti sociali più protetti, senza trovare strumenti di compensazione in percorsi di istruzione/formazione adeguati.
Lettura dei dati Pisa e Piaac: prospettiva di un’indagine longitudinale
Nel corso degli anni le indagini comparative di Pisa (che iniziano nel 2000) registrano le differenze di competenze/abilità tra i paesi ed entro i singoli paesi; attualmente tuttavia non si hanno studi longitudinali che permettano di studiare, nel tempo, cosa accade ai quindicenni studiati, ma è possibile tuttavia analizzare, nel tempo, come si comportano a distanza di anni le varie coorti di età che sono state oggetto della indagine Piaac (popolazione 16-65 anni).
Il focus, mettendo in fila i risultati di un processo pluriennale di indagini, collega Pisa 2000 a Piaac 2011/12; prende i risultati dei quindicenni del 2000 e li confronta quindi con quelli dei ventisettenni di Piaac (che nel 2000 avevano 15 anni). Le indagini longitudinali sono molto utili per studiare i trend, ma è necessario tener conto dei complessi adjustment necessari a standardizzare i set di dati sui quali si lavora: Pisa lavora su campioni probabilistici di 15enni appartenenti alle popolazioni dei paesi partecipanti alla indagine, Piaac incontra i 27enni in un campione probabilistico di popolazione 16-65 anni (infatti il focus in oggetto compara i 15enni di Pisa con i 26-28enni di Piaac per avere una numerosità di oggetti di osservazione comparabili).
Del resto sarebbe impossibile rintracciare le stesse persone dopo 10-11 anni e, laddove fosse possibile, sarebbe difficile valutare tutte le variabili che, a distanza di anni, caratterizzano singoli soggetti, entro contesti personali e sociali unici. Quindi si è proceduto confrontando due coorti di età, quella dei 15enni di Pisa 2000 e quelle dei 26-28enni di Piaac. La comparazione viene quindi così garantita: vengono esclusi dal dataset di Piaac i migranti (non nativi), arrivati nel paese in cui si è realizzata l’indagine con età superiore a 10 anni; il background familiare viene definito nelle due indagini nello stesso modo, il titolo di studio dei genitori (almeno uno con titolo di istruzione terziaria e nessuno con istruzione terziaria), numero dei libri a casa (più e meno 100 libri a disposizione); le prove non sono dunque le stesse, ma i frame work di riferimento sono comparabili.
La misurazione del gap di abilità/competenze derivante dai background socio-economici
Il riferimento ai risultati conseguiti dai quindicenni è molto importante perché, se è vero che in assoluto non sono predittivi del futuro di questi ragazzi, tuttavia fotografano le abilità/competenze nell’età in cui in genere i giovani, acquisite le basic skills, transitano verso scuole a indirizzo più specializzato e, in genere, hanno ancora tre o quattro anni di studio o forse 10, per chi segue percorsi accademici.
Le disparità di competenze che si registrano a questa età ci dicono molto su cosa si produrrà in seguito. Non si tratta di assumere il risultato dei quindicenni come un punto di arrivo, ma di valutarlo come aspetto di una previsione, che potrebbe essere modificata dalle successive esperienze scolastiche e dai compiti in cui giovani adulti saranno impegnati sul lavoro, nei contesti familiari e sociali, dalle esperienze di vita che ridisegnano competenze e abilità cognitive. La valutazione dell’equità di un sistema di istruzione/formazione deve quindi seguire un processo individuale e sociale di lungo periodo.
Il focus elaborato dall’Ocse produce un indice di diseguaglianze per le competenze relative ai background familiari: una differenza tra avvantaggiati e svantaggiati inferiore al valore di -0.3 è considerata bassa, tra 0.3 e 0.5 è considerata media, più di 0.5 è considerata grande
I quindicenni di Pisa 2000 presentano questa situazione (la seguente lista elenca i paesi secondo un ordine decrescente): Usa, BelgioFl, Rep. Ceca, Turchia, Danimarca, Canada, Polonia evidenziano una differenza grande(+0.5); Spagna e Germania una differenza media( 0.5) ma superiore al valore medio Ocse che è di poco al di sotto dello 0.5; Australia, Italia, Austria, Francia, Irlanda, Finlandia evidenziano un valore di differenza medio (da 0.5 a 0.3); Corea, Grecia, Svezia, Nuova Zelanda, Norvegia una differenza limitata, valore basso (-0.3).
Se si osservano questi giovani nel passaggio all’età adulta (dati Piaac relativi ai 26-28enni) la situazione appare diversa. Infatti le differenze, che esprimono il peso dei background familiari non compensati dai sistemi formativi e dai contesti sociali, tendono ad accrescersi. La media Ocse evidenzia che il valore del diseguaglianze sale a +0.5 (da medio a grande). In Turchia, Danimarca, Polonia, Canada, Australia, Rep.ceca, Irlanda, Stati Uniti, Italia, Francia, BelgioFl, Spagna, Austria, Irlanda, Finlandia (elenco in ordine decrescsente) l’indice di disuguaglianza è alto, al di sopra della media Ocse (+0.5); la Grecia si colloca a livello medio (0.5-0.3); Norvegia, Nuova Zelanda, Korea, Svezia a livello basso (-0.3). Interessante notare che Usa, BelgioFl, Canada e Germania riducono il gap tra giovani svantaggiati e avvantaggiati , la Korea lo mantiene stabile. La figura evidenzia quello che nel focus dell’Ocse viene chiamato funning out effect (sventagliarsi del gap) perché nell’accrescimento di competenze che comunque si realizzano tra i 15 e i 26enni, i più avvantaggiati tendono ad aumentare il loro vantaggio, se mancano seri interventi perquativi.
Stupisce che la reazione dei responsabili delle politiche educative in Italia si sia caratterizzata per la affrettata dichiarazione circa la pretesa inclusività della scuola, e non abbia riflettuto sullo svantaggio di giovani che, troppo numerosi, dopo i 15 anni abbandonano la scuola, accrescendo l’esercito dei Neet, la debolezza complessiva delle competenze della popolazione dei 16-65anni (che “conquista” il punteggio medio più basso tra i paesi che hanno partecipato all’indagine Piaac) e la scarsissima partecipazione ad attività di apprendimento in età adulta dei soggetti low skilled.
*Oecd 2015 Universal basic skills: what countries stand to gain; Oecd 2016Skills Matter: Further Results from the Survey of Adult Skills, Oecd (2016), Low-Performing Students: Why They Fall Behind and How to Help Them Succeed, Pisa)