Cnr, il 44,9% degli adolescenti italiani ha pensato almeno una volta al suicidio

«Relazioni sociali più rarefatte o formali, o percepite di minore intensità qualitativa, sono fattori determinanti»

[7 Dicembre 2023]

Un nuovo studio di natura psicosociale condotto dal Cnr, articolato sulla base di un sondaggio condotto a cavallo tra il 2021 e 2022 intervistando un campione nazionale rappresentativo – 4.288 ragazze e ragazzi frequentanti le scuole pubbliche – documenta che il 44,9% degli adolescenti italiani ha pensato almeno una volta al suicidio.

Il 23,2% lo ha fatto una volta, 21,7% più di una volta: si parla di “pensiero suicida” quello che riguarda pensieri di pianificazione del suicidio, desideri e preoccupazioni riguardo alla morte.

Nello specifico, i pensieri suicidi scaturiscono da una compromissione della salute mentale caratterizzata da ansia, depressione, bassa autostima, felicità e soddisfazione, alta intensità di emozioni primarie negative e un atteggiamento negativo verso il futuro.

A pensare di più al suicidio sono le ragazze (6 su 10 contro 4 ragazzi su 10), chi vive nelle are settentrionali del Paese, chi ha una cittadinanza straniera, chi frequenta gli istituti tecnici, i non credenti e chi ha un background familiare economico basso.

Tali aspetti vengono evidenziati come sintomi della presenza di una stretta e insoddisfacente rete amicale, di relazioni qualitativamente scarse con pari e genitori, di problemi di rendimento scolastico, iperconnessione, insoddisfazione corporea e coinvolgimento come vittime nel bullismo e nel cyberbullismo.

«Il fatto che le ragazze maturino pensieri suicidi più dei loro coetanei è motivato dall’influenza di norme sociali di genere e dalla pressione di modelli estetici che compromettono la soddisfazione corporea, l’autostima e il piano delle emozioni – spiega Antonio Tintori del Cnr-Irpps, responsabile dell’indagine – La maggiore frequenza del pensiero suicida tra gli adolescenti delle regioni settentrionali, gli intervistati stranieri e i non credenti, testimonia invece il ruolo cruciale dell’interazione sociale, che in Italia tende a essere più forte nelle regioni del Centro-Sud rispetto al Nord, mentre il rischio più elevato di comportamenti suicidari negli adolescenti con un background migratorio è spiegato non solo dalle sfide di acculturazione ma anche spesso dalla presenza di condizioni socioeconomiche svantaggiate, che costituiscono parimenti un limite all’integrazione. Analogamente, il ruolo protettivo del credo religioso si connette allo spirito di comunità e alle reti sociali di sostegno caratterizzanti la partecipazione religiosa».

Fattori solitamente ritenuti influenti, come la tolleranza all’uso dell’alcol e delle sostanze psicotrope in generale, di fatto risultano invece solo secondari nella spiegazione del pensiero suicida.

«Relazioni sociali più rarefatte o formali, o percepite di minore intensità qualitativa, sono invece fattori determinanti il pensiero suicida come nel caso degli studenti liceali, che a parte nutrire più alte aspettative di rendimento scolastico stanno iniziando a sperimentare, ormai anche in Italia, modelli relazionali simili a quelli del Nord Europa, con genitori con un elevato status culturale meno presenti e che delegano maggiormente il loro accudimento a professionisti del settore», argomenta Tintori.

Che fare, dunque? «I nostri risultati – conclude il ricercatore del Cnr – mostrano il ruolo centrale e cruciale della scuola nel sostegno del benessere relazionale giovanile. Interventi più esperti dovrebbero essere attivati urgentemente a partire dalle scuole primarie, con il coinvolgimento di insegnanti e genitori, in materia di iperconnessione, devianza e violenza relazionale, educazione emotiva, autostima e decostruzione di simbolismi e condizionamenti sociali che stereotipizzano e gerarchizzano l’ambiente vissuto, a partire dalle asimmetrie di genere, deteriorando sostanzialmente la qualità di vita dei giovani».