Istat, il 5G è in cima agli investimenti digitali che interessano le aziende italiane
Rischi per la salute? Gli unici effetti accertati dei campi elettromagnetici a radio frequenza sono connessi al riscaldamento del corpo umano esposto: il rispetto dei limiti di esposizione permette di prevenirli totalmente
[17 Agosto 2020]
Nonostante i ritardi accumulatisi nella digitalizzazione delle tessuto imprenditoriale nazionale, una larga fetta della aziende italiane sta iniziando a riconoscere l’importanza di investire in questo campo, partendo dalla basi. L’Istat, all’interno del rapporto Digitalizzazione e tecnologia nelle imprese italiane, documenta infatti come – anche prima della pandemia, che ha dato un’ulteriore e importante spinta alle attività da remoto – una quota significativa di imprese sia intenzionata a mantenere elevati gli investimenti nelle infrastrutture digitali: per oltre il 45% del campione analizzato questo significa internet con fibra ottica, mentre circa un terzo propende per le tecnologie 4G o 5G.
Un dato che, andando oltre la fibrillazione che il 5G induce in molti comitati e territori – e dunque i sindaci con le loro ordinanze di divieto, su cui hanno però già avuto modo di intervenire il Tar di Messina e soprattutto il decreto Semplificazioni –, testimonia l’ampio interesse da parte delle imprese italiane verso una tecnologia con cui avremo sempre più a che fare, e che dunque varrebbe la pena conoscere meglio.
Come già accennato più volte (anche) su queste pagine, il 5G è semplicemente la quinta generazione di tecnologie mobili – o wireless, come quelle impiegate da cellulari, tablet ed altri dispositivi simili – e rappresenta un’evoluzione rispetto alle precedenti generazioni 2G, 3G e 4G, attualmente in uso. Tutte queste tecnologie producono campi elettromagnetici a radiofrequenza che vengono utilizzati per trasmettere informazioni.
Il 5G consentirà dunque di svolgere in modo molto più veloce ed efficiente gli scambi di informazioni tra vari dispositivi mobili (comunicazioni telefoniche, internet) sia la connessioni tra vari oggetti della vita quotidiana: il cosiddetto Internet delle cose, con potenzialità innovative in innumerevoli ambiti che spaziano dal settore dei trasporti (come nel caso della guida assistita) a quello dalla sanità (diagnostica a distanza, robotica ospedaliera, etc).
Il 5G, attualmente e non a caso oggetto di sperimentazione (anche) sul territorio nazionale, costituisce un elemento di preoccupazione per la salute umana? Per rispondere a questa domanda, sulla quale si sono già espressi gli organismi scientifici preposti a livello globale come a quello nazionale, il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) sta chiamando a raccolta gli esperti di settore per occasioni di confronto pubblico sul tema: ne sono un esempio recente l’attività dell’Arpa FVG e quella dell’Arpa Marche.
Nel merito ai rapporti tra 5G e salute, di particolare interesse risultano gli intereventi di Alessandro Vittorio Polichetti, Primo ricercatore presso il Centro nazionale per la protezione dalle radiazioni e fisica computazionale dell’Istituto Superiore di Sanità, che da circa trent’anni svolge attività scientifica nel campo della protezione della salute umana dalle esposizioni alle radiazioni non ionizzanti, ed è uno dei massimi esperti in materia in ambito nazionale.
Come sottolinea il Snpa, Polichetti ha spiegato che «gli unici effetti accertati sulla salute umana dei campi elettromagnetici a radio frequenza, compresi quelli alle frequenze che saranno utilizzate per il 5G, sono connessi al riscaldamento del corpo umano esposto. Tuttavia, i livelli di riferimento adottati a livello internazionale garantiscono ampiamente che la soglia degli effetti termici non venga superata. Per i sistemi fissi per le telecomunicazioni e radiotelevisivi, in Italia i limiti di esposizione sono ancora più restrittivi rispetto a quelli internazionali, inoltre l’Italia ha anche adottato delle misure di cautela (precauzione) nei confronti di eventuali effetti a lungo termine, fissando nei luoghi adibiti a permanenze prolungate della popolazione i valori di attenzione, che sono ancora molto più bassi».
«La tecnologia 5G – argomenta Polichetti – impiega campi elettromagnetici a radiofrequenza (RF), i cui unici effetti sulla salute accertati scientificamente sono gli effetti a breve termine, connessi al riscaldamento dei tessuti biologici (effetti termici). Tali effetti a breve termine sono a soglia, per cui è stato possibile definire, da parte di organismi scientifici internazionali, limiti di esposizione il cui rispetto permette di prevenire totalmente tali effetti. La normativa italiana è più restrittiva degli standard internazionali».
Per quanto riguarda invece possibili effetti a lungo termine, questi «non sono stati accertati nonostante le migliaia di studi sperimentali ed epidemiologici condotti sull’argomento. Nel 2011 i campi elettromagnetici a RF sono stati classificati dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come “possibilmente cancerogeni per gli esseri umani” (Gruppo 2B) per via di evidenze epidemiologiche che la IARC ha definito come “limitate”, cioè non sufficienti a dimostrare una relazione causa-effetto tra esposizione e patologie tumorali. I risultati di alcuni studi epidemiologici infatti mostrano associazioni tra esposizione e patologie tumorali che potrebbero essere dovute ad un reale effetto dei campi, ma potrebbero anche avere altre spiegazioni, in particolare possibili distorsioni (“bias”) dovuti ad errori nel ricordo dei soggetti intervistati (studi sul rischio di tumori intracranici negli utilizzatori di telefoni cellulari). Come spiegato dalla stessa IARC, la classificazione di un agente come “possibilmente cancerogeno”, e non come “probabilmente cancerogeno” (Gruppo 2A) né come “cancerogeno” (Gruppo 1), implica che vi è un’evidenza tutt’altro che conclusiva che l’esposizione possa causare il cancro negli esseri umani o negli animali. A seguito della classificazione IARC, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (di cui la stessa IARC fa parte) non ha suggerito di modificare i limiti di esposizione internazionali».
Del resto «per nessun ipotetico fattore di rischio (compresi i campi elettromagnetici emessi dalle antenne 5G) è possibile dimostrare una totale assenza di effetti nocivi per la salute, questo perché quanto più piccolo è un rischio tanto più difficile è evidenziarlo, ed è per questo motivo che il sistema di classificazione IARC non prevede un Gruppo degli agenti “non cancerogeni per gli esseri umani”. Di conseguenza, una richiesta di sospensione dell’introduzione della tecnologia 5G, in attesa di una dimostrazione “assoluta” della sua sicurezza, equivarrebbe ad una sua sospensione sine die».
Con l’attuale configurazione della sperimentazione 5G portata avanti in Italia, dunque, anche il principio di precauzione – spesso citato in modo improprio – appare pienamente rispettato. A tal proposito Marzia Minozzi, responsabile dell’area normativa e regolamentazione di Assotelecomunicazioni-Asstel, intervenendo all’evento Arpa FVG evidenzia che «l’applicazione del principio è, infatti, prerogativa del legislatore nazionale e non delle pubbliche amministrazioni locali. Per Minozzi tale principio di precauzione è già applicato in modo pieno dalla normativa nazionale laddove definisce dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità significativamente inferiori a quelli della normativa europea».