Le aree dell’epidemia e la necessità di evitare la catastrofe economica dopo la crisi sanitaria
Invece di progredire indisturbata come ha fatto al Nord a gennaio e febbraio, l’epidemia nel Centro e nel Sud ha trovato terreno meno fertile grazie alle misure di contenimento
[1 Aprile 2020]
La pandemia da Covid-19 in Italia è al centro delle cronache nazionali, ma è giusto sottolineare che la gran parte della pressione è al momento concentrata sul Nord del Paese e sulla Lombardia in particolare. Da lì, e in particolare dal lodigiano è partita l’epidemia, probabilmente in connessione con le attività di import-export con la Cina che, come ho mostrato, sono in prevalenza in Lombardia, Veneto e Emilia. L’epidemia si espande a cerchi concentrici, ma ciò si è verificato soprattutto nella Pianura padana e dintorni, mentre nel resto della Penisola anche a causa della forma allungata e dell’Appennino che ancora fa da barriera, si diffonde con maggiore lentezza (vedi la mappa dell’Italia allegata).
Per rappresentare in forma sintetica il fenomeno ho quindi suddiviso l’Italia in tre grandi aree: la Lombardia che è il nucleo dal quale si è originata l’epidemia, il resto del Nord, e il resto dell’Italia cioè le regioni del Centro e del Sud, comprese le isole. In termini assoluti ci sono al 31 marzo circa 25mila contagiati in Lombardia, 34mila nel resto del Nord, e 19mila nel Centro e Sud.
Il fenomeno va visto nella sua densità, cioè in rapporto alla popolazione colpita, come appare nella mappa dell’Italia allegata. In una forma più astratta e sintetica ho rappresentato questa situazione nella figura successiva in cui si osserva il digradare dei contagi totali per milione di abitanti, secondo la distanza media dalla Lombardia delle altre due aree. Si vede come il fenomeno decresce con l’aumentare della distanza, e come nel resto del Nord la densità, col passare del tempo, tende a raggiungere quella della Lombardia.
Sempre utilizzando la densità, cioè il numero di contagi per milione di abitante, si vede nelle figure successive l’andamento sia dei contagi giornalieri che del totale dei contagiati attuali nelle tre aree e nell’Italia. Si apprezza l’enorme distanza tra quello che succede in Lombardia e nell’area del Centro e Sud, e anche il ritardo temporale con cui il fenomeno è partito nelle altre due aree. Questo ha salvato il Sud dalla catastrofe, dato che il ritardo ha fatto sì che l’espansione sia coincisa con lo stabilirsi delle misure di contenimento. Invece di progredire indisturbata come ha fatto al Nord a gennaio e febbraio, l’epidemia nel Centro e nel Sud ha trovato terreno meno fertile.
D’altra parte dopo il blocco degli spostamenti ogni regione fa storia a sé, dato che è il numero dei nuovi contagi che dovrebbe essere bloccato. Quindi ho applicato il modello epidemiologico alle tre aree separatamente, con i risultati che si vedono allegati. Mentre in Lombardia il picco dei contagi totali avverrebbe intorno al 5 aprile con circa 26mila contagi, nelle altre aree, dato il ritardo con cui l’epidemia è partita, avverrebbe dopo: nel resto del Nord verso il 15 aprile con 42mila contagiati e nel Centro e Sud, mediamente il 20 aprile con 27mila contagiati.
Ho anche applicato il modello a tutta l’Italia con i dati dell’ultima settimana che hanno visto il raggiungimento del picco dei nuovi contagi ma in modo più lento di quanto si sperasse. Calcolando la media nazionale, il picco dei nuovi contagi, secondo la tendenza degli ultimi giorni, avverrebbe verso Pasqua ma con un numero di contagiati pari a circa 90mila, il che sposterebbe molto più avanti la soglia di 60mila contagiati (vedi la figura allegata) per la quale avevamo ipotizzato possibile un primo e cauto allentamento delle misure di contenimento.
Perché le cose vadano diversamente c’è solo da sperare che le misure di contenimento, i cui effetti si sono visti sul blocco degli spostamenti in tutta Italia, abbiano una prevalenza sulla tendenza e portino all’azzeramento veloce dei nuovi contagi. In questo caso il picco dei contagiati totali (vedi la figura allegata) ci sarebbe nei prossimi giorni con un massimo di 80mila. E i contagi scenderebbero a 60mila verso il 20 aprile.
Non è una differenza da poco perché, ridotti con le misure di contenimento i morti che purtroppo ci sono stati e ci saranno ancora, al termine della crisi sanitaria ci si ritroverà in una crisi economica che sarà la vera emergenza. Qui si scontrano i due punti di vista, di chi guarda alla salute e chi guarda anche all’economia, ovvero al dopo che ci aspetta finita la fase acuta dell’epidemia. Le prospettive economiche sembrano disastrose, sia sul lato finanziario, col debito pubblico che potrebbe arrivare al 160%, sia su quello produttivo con una recessione del 6% del Pil. Inoltre è prevedibile una perdita di concorrenza sui mercati dato che altre nazioni, vedi la Cina che ha ripreso a produrre, possono ripartire prima e prendersi fette di mercato.
Per questo motivo, pur tutelando la salute di tutti, appare sin d’ora cruciale che vengano riaperte le possibilità di lavoro per tutti quelli che, guariti, sembrano aver sviluppato una sorta di immunità, almeno temporanea. Un test che permette di controllare se si sono sviluppati anticorpi sembrerebbe essenziale. Inoltre altrettanto importante sarebbe poter stabilire qual è, specie nelle aree del nucleo dell’epidemia, la percentuale di popolazione che ha già contratto la malattia. Un gruppo di ricerca dell’Imperial College di Londra stima in Italia 5,9 milioni di contagiati, circa 60 volte quelli ufficiali. Occorre considerare di pari passo l’emergenza sanitaria e quella economica altrimenti passiamo da una catastrofe all’altra. Tornare alla normalità, perlomeno per un anno, è escluso, ma va trovato il modo di riprendere a produrre, pur mantenendo le misure di contenimento. Questa è la grande sfida che ci aspetta.