Ocse, ecco come si posizionano gli adulti italiani alla sfida dell’apprendimento
Nel nostro Paese è evidente l’urgenza di interventi di formazione per il lavoro, sia per l’effetto delle nuove tecnologie che per l’invecchiamento della popolazione
[12 Aprile 2019]
L’Italia, come del resto l’insieme dei paesi cui in genere si fa riferimento quando si parla del mondo globale, sono preparati ad offrire adeguate opportunità di apprendimento, indispensabili agli adulti di fronte alle urgenze del mondo attuale e del prossimo futuro? Ormai sembra essersi imposta una specie di retorica che continuamente parla delle sfide che il cambiamento globale impone a tutti i paesi, ma uno studio specifico, utile a rispondere alla domanda precisa su “come e quanto” siano pronti i vari sistemi formativi a sostenere i cittadini in questi processi di cambiamento, non ha ancora trovato/prodotto risposte sostenute da dati precisi, utili e comparabili.
Il rapporto Ocse Getting skills right: future-ready adult learning systems sviluppa gli approfondimenti e gli studi degli ultimi anni, arricchendo questi dati con le risposte a questionari che rilevano la percezione che, di questi problemi, hanno i diversi paesi. In questo modo si presenta un primo approccio significativo, che accosta ai dati raccolti le evidenze ed emergenze che appaiono ai soggetti interessati. Il testo concentra l’attenzione alla formazione “per il lavoro”, sia in termini di qualità della prestazione lavorativa, sia in termini di efficacia e produttività, quindi il termine “apprendimento adulto” assume, in questa prospettiva, il significato specifico di formazione per il lavoro, suggerendo implicitamente che sia questo il problema più urgente. La metafora che sintetizza i diversi indicatori, costruiti per la comparazione, è quella di un dashboard, ovvero un cruscotto le cui leve, dotate di precise etichette, devono essere azionate per consentire alla macchina del sistema formativo di mettersi in moto.
Queste “leve” sono rappresentate da sette Pal (Priorities for adult learning), acronimo che sintetizza gli ambiti principali da cui ogni azione di formazione continua dovrà muovere: urgenza, partecipazione, inclusione, flessibilità e orientamento, allineamento ai fabbisogni, impatto, finanziamento.
I criteri e la scelta dei dati che costruiscono ogni indicatore chiariscono il senso di ciascuno di questi. Ogni indicatore, sulla base dei dati evidenziati da varie fonti – comprese le risposte a questionari mirati – è misurato su una scala che va da 0 a 1 (zero il valore più basso, 1 quello più elevato). Di seguito vengono illustrati gli indicatori, il valore massimo e minimo, i due paesi che si collocano al fondo e al top della scala, la posizione dell’Italia e quella della media Ocse.
Urgenza. La qualità e la quantità del lavoro disponibile e le abilità-competenze di cui i lavoratori hanno bisogno sono pesantemente condizionati dalle nuove tecnologie e dall’invecchiamento della popolazione; molti adulti evidenziano debolezze nelle basic skills e quindi vedono ridotte le possibilità di accesso agli impieghi che fanno uso delle competenze digitali. Guardando ai 34 paesi studiati dal report Ocse il problema va dalla massima urgenza evidenziata dal Portogallo alla minima urgenza evidenziata dalla Nuova Zelanda, mentre l’Italia si colloca all’ottavo posto e la media Ocse occupa il 19esimo posto.
Partecipazione. Ciascun cittadino dovrà aumentare il proprio impegno nell’apprendimento, e in un mondo in cui il lavoro cambia velocemente questo impegno diviene essenziale per garantire inclusione economica e sociale. Si tratta di assicurare alle imprese i lavoratori abili di cui hanno bisogno per restare competitive. L’indicatore Ocse misura l’impegno nell’apprendimento dei singoli lavoratori, ma anche quello degli imprenditori nel favorire e sostenere l’apprendimento dei dipendenti. Sono 33 i paesi messi a confronto: gli Usa garantiscono il livello più alto, l’Ungheria il più basso, mentre l’Italia si colloca al 12esimo posto e la media Ocse al 17esimo.
Inclusione. Le opportunità formative dovranno accogliere tutti, ed essere aperte a quanti hanno bisogno di ri-aggiornare abilità o competenze e di svilupparne di nuove. Qui emerge il problema dei low-skilled o degli anziani, che con difficoltà accedono alla formazione. Il concetto di inclusione misura quindi l’equità dei sistemi formativi dei vari paesi. Sono 30 gli Stati messi a confronto: la Grecia si colloca al livello più alto, l’Italia al sesto posto, la media Ocse al 14esimo, l’Olanda al più basso.
Flessibilità e orientamento. L’accesso all’informazione circa le opportunità formative è condizione necessaria per tutti, a condizione che questa sia flessibile, capace di raggiungere pubblici diversi e con diversi bisogni. Questo indicatore esprime la capacità dei diversi paesi di eliminare le barriere all’accesso e guidare gli adulti in percorsi formativi adeguati. La comparazione su 35 paesi mostra l’indicatore più elevato per il Lussemburgo, mette in fondo l’Ungheria, l’Italia è al 18esimo posto, e la media Ocse al 19esimo.
Allineamento ai fabbisogni. La formazione deve essere allineata alle necessità del mercato del lavoro: se i cittadini devono trovare occupazione il problema si complica, perché abilità o competenze richieste oggi rischiano di diventare obsolete entro breve tempo. Allineamento significa dunque, da questo punto di vista, capacità di tener presente non solo l’oggi, ma il futuro prossimo Su 34 paesi Danimarca e Turchia sono ai primi posti, Giappone all’ultimo mentre l’Italia al 16seimo e la media Ocse al 17esimo.
Impatto. La formazione deve essere di qualità elevata, se vuole essere aperta al futuro; la misurazione di questo indicatore è molto complessa, si tratta infatti di certificare lo stato attuale della formazione assicurata, certificare i programmi, monitorarli e valutarli in senso evolutivo. Sono 38 i paesi messi a confronto: il Cile è al primo posto, l’Olanda all’ultimo, l’Italia al 17esimo, la media Ocse al 20esimo.
Finanziamento. Senza finanziamenti adeguati la formazione non funziona, e quest’indicatore – che guarda a un mix di risorse, dai contributi governativi ai fondi messi in campo dagli imprenditori come anche dagli stessi lavoratori – misura in che modo i vari attori sono coinvolti. Sui 33 paesi messi a confronto il Giappone e la Corea del sud hanno l’indicatore più elevato, l’Ungheria il più basso, l’Italia è al 15esimo posto e la media Ocse al 19esimo.
In questo contesto l’Italia evidenzia l’urgenza di interventi di formazione per il lavoro, sia per l’effetto delle nuove tecnologie che per l’invecchiamento della popolazione; anche l’inclusività appare poco efficace, così come è debole la percezione dei datori di lavoro dell’importanza della continua riqualificazione del personale. Su questo punto agiscono diversi fattori, prima di tutto il fatto che in Italia esistono miriadi di piccole e piccolissime imprese che non sono in grado di affrontare il problema, ma anche la diffusione della formazione obbligatoria su salute e sicurezza, che assorbe quasi tutta la formazione erogata. Capitolo a parte è quello dei finanziamenti: rispetto ai paesi Ocse le politiche attive del lavoro sono poco finanziate e, negli ultimi anni, il Governo italiano ha ulteriormente drenato parte delle risorse dei fondi interprofessionali dedicati alla formazione continua.
I Paesi complessivamente analizzati all’interno del report Ocse sono Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Corea del Sud, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Regno Unito, Usa.