E se la battaglia di Kobane l’avesse persa la Turchia?
I combattenti kurdi delle YPG l’hanno trasformata nel Triangolo delle Bermude dell’Isis
[15 Ottobre 2014]
Mentre il mondo civile festeggia i miliziani “comunisti” kurdi delle Ypg che ammainano la bandiera nera del Califfato del Daesh/Stato Islamico dopo aver ripreso la collina sulla quale sventolava, la feroce battaglia di Kobane continua, anche se i piani iniziali degli islamisti – che puntavano a far cadere entro settembre la capitale del Rojava, il Kurdistan occidentale siriano – si sono miseramente infranti contro l’eroica resistenza delle donne e degli uomini kurdi. Ad esserci rimasta male sembra essere la Turchia, che si era preparata ad accogliere 400.000 profughi e ad aprire le braccia ai kurdi sconfitti e nuovamente umiliati nel loro sogno di autonomia socialista.
E’ andata in pezzi la sicumera dei jihadisti che parlavano di celebrare l’Eid nelle moschee di Kobane dopo averle sloggiate da kurdi (sunniti come loro) ed ora i giornali turchi ed arabi, qualcuno con malcelato dispiacere, titolano “lo scenario atteso mai materializzato”. Il vero sconfitto dalla vittoriosa controffensiva dei combattenti kurdi sembra il presidente turco Erdogan che aveva profetizzato con sicurezza: «Kobane sta per cadere», invece Kobane non è mai caduta, ha resistito e resiste ancora e ha svelato al mondo l’eroismo dei kurdi ed il loro miracoloso progressismo in un Medio Oriente che ha soffocato nel sangue e nell’integralismo le primavere arabe.
Su Kurdish Question Amed Dicle fa il punto della situazione: «l’attacco del 15 settembre a Kobane da parte dell’ISIS era uno sviluppo atteso dopo che l’ISIS aveva occupato Mosul ed invaso basi militari appartenenti all’esercito siriano a Raqqah. Le YPG (le milizie di autodifesa kurde del Rojava, ndr) si erano preparate a questo con tutti i loro mezzi. Quando gli attacchi sono iniziati, le YPG hanno evacuato i villaggi intorno a Kobane. Alcune persone sono state portate a Kobane e il resto sono andate oltre il confine, a Suruc, vicini ai loro parenti. L’evacuazione di decine di migliaia di persone è stata una operazione di successo. Le YPG erano consapevoli della dimensione dell’attacco che veniva pianificato e hanno preso questa precauzione per evitare un massacro».
Ma le milizie del Daesh erano meglio armate e più addestrate alle battaglie campali di quelle delle YPG e quindi i kurdi si sono ritirati in un perimetro difensivo più stretto, preparandosi alla guerriglia urbana. I tagliagole dello Stato Islamico, illusi dalle loro avanzate nel deserto e nei villaggi abbandonati, hanno creduto, come i turchi, che i kurdi fossero sul punto di crollare ed è stato allora che anche Erdogan, alcuni alti ufficiali statunitensi e gli analisti occidentali hanno detto che «Kobane sta per cadere».
Ma a quanto pare la vera battaglia delle donne ed uomini del Rojava con le bande dell’ISIS è cominciata ai confini della città, quando i jihadisti hanno perso centinaia di combattenti a causa delle imboscate dei combattenti YPG/YPJ e le milizie kurde, formate per più di un terzo da donne, hanno bloccato per 4 giorni quella che di fronte agli eserciti irakeno e siriano era sembrata un’invincibile armata.
«Molti dei loro attacchi sono stati respinti – scrive Dicle – Ora, l’ISIS sta tentando di utilizzare autobombe contro le posizioni YPG. Queste auto vengono individuate e distrutte da una certa distanza. Nel caos provocato da queste esplosioni, i combattenti dell’ISIS sono in grado di fare qualche passo avanti. Tuttavia, nella guerriglia urbana, chi conosce la città è in vantaggio e, nell’attuale guerra urbana, le YPG hanno trasformato Kobane nel Triangolo delle Bermude per l’ISIS».
Un altro fattore che ha cambiato le sorti della battaglia sono stati scuramente gli attacchi aerei della Coalizione anti-Stato Islamico messa in piedi dagli Usa, che si sono intensificati con il crescere della pressione dell’opinione pubblica inorridita per il possibile massacro che si preparava a Kobane. Negli ultimi giorni i raid sono stati molto efficaci ed hanno distrutto molte delle armi pesanti in possesso delle bande islamiste, ma i kurdi si chiedono perché la Coalizione non stia prendendo di mira le linee di rifornimento dell’ISIS, visto che stanno arrivando ancora rinforzi jihadisti. Alcuni comandanti elle YPg sono convinti che «Se la coalizione avesse condotto gli attacchi aerei di questa intensità fin dall’inizio, l’ISIS potrebbe non aver raggiunto Kobane. Questo significa, che la coalizione sta conducendo una campagna controllata e graduale». Inoltre le coordinate per gli attacchi aerei della coalizione sono stati forniti dai kurdi di Kobane (teoricamente considerati ancora terroristi vicini al PKK dalla stessa coalizione), anche se gli aerei occidentali non sempre colpiscono gli obiettivi più pericolosi per la resistenza kurda. Le milizie del Daesh/Stato Islamico ora stanno cercando di difendersi nei quartieri conquistati in città, anche per diminuire l’efficacia degli attacchi aerei che colpirebbero anche i kurdi al contrattacco.
Ma le donne e gli uomini delle YPG non hanno intenzione di lasciare nelle mani dell’ISIS nemmeno una casa della loro città e dicono che «Kobane non è Mosul». Stiamo parlando di migliaia di persone disposte a sacrificare la loro vita per vivere sulla loro terra – scrive con orgoglio Dicle – Questo è il motivo per il quale per l’ISIS prendere Kobane, è impossibile come che domani non sorgerà il sole».
Il calcolo cinico del governo islamico turco è andato in pezzi e la resistenza di Kobane ha mostrato al mondo la faccia eroica e democratica dei “terroristi comunisti kurdi”, un popolo diviso in 4 Stati (Turchia, Siria, Iran ed Irak) del quale ora dovranno tener conto la comunità e la diplomazia internazionale. «Coloro che non avevano mai sentito palare prima del Kurdistan, ora sanno di Kobane – dice Dicle – Questa resistenza ha fatto conoscere al mondo il Movimento di Liberazione del Kurdistan e il Movimento di liberazione della donna, ha anche aperto le porte ad importanti contatti diplomatici per i rappresentanti curdi. Molti incontri importanti si sono svolti con le forze importanti del mondo. Questi progressi consolideranno la posizione dei curdi nella regione». Esattamente quello che voleva evitare Erdogan.
C’è poi l’aspetto che riguarda il popolo kurdo: «La resistenza Kobane ha consolidato l’unità kurda almeno allo stesso modo di come successe con i massacri di Halabja e Sinjar. Ha portato ad una enorme sinergia spirituale e politica – si legge su Kurdish Question – Su questa piattaforma, prima una delegazione del KCK (Koma Civakên Kurdistan -Group of Communities in Kurdistan, un’organizzazione fondata da Partito dei lavoratori del Kurdistan – PKK, ndr) si è incontrata con i partiti del Sud Kurdistan, allora i Partiti meridionali si sono riuniti tra loro e quindi le parti di Rojava si unirono tra loro. Tutti i personaggi politici kurdi sono stati costretti ad adottare una linea di unità nazionale; perché si è finalmente capito che coloro che non avessero adottato questa linea sarebbero stati dannati dal popolo kurdo».
Mentre i jihadisti attacccavano Kobane, il governo di Ankara ha invitato in Turchia Salih Muslim, il capo del Democratic Union Party kurdo-siriano, ma i kurdi considerano questo invito una tattica dilatoria: «Lo Stato turco ha fatto promesse come “vi sosteniamo in ogni modo, se necessario, colpiremo anche l’ISIS, state tranquilli”, probabilmente al fine di indebolire il desiderio della resistenza a Kobane».
Ma i kurdi del Rojava, pur consapevoli del doppio gioco di Erdogan, non hanno chiuso la porta ai turchi, diciamo che hanno però preso le loro precauzioni. Il rifiuto di intervenire in difesa di Kobane mentre reprimeva durissimamente e manifestazioni di solidarietà pro-kurdi, non ha certo dato una buona immagine della Turchia in campo internazionale. Secondo Dicle, «La posizione della Turchia ha costretto i kurdi rianalizzare la situazione. Questa rianalisi non è solo un’azione politica, ma si è verificata nei cuori e nelle menti di tutti i kurdi. “Come sono e come saranno i rapporti turco-kurdi? Perché tutta questa animosità?” sono solo alcune delle domande che vengono poste frequentemente. Forse la Turchia dovrebbe pensare a queste domande prima che lo facciano i kurdi. Senza dubbio un luogo in cui verranno chiaritele risposte a queste domande è l’isola di Imrali, dove proseguono gli incontri con il leader del popolo kurdo Abdullah Ocalan. La politica della Turchia e la gestione della situazione Kobane determineranno il futuro degli incontri e il dialogo a Imrali».
La conclusione è che, nonostante la controffensiva vittoriosa a Kobane, siamo nel bel mezzo di una guerra. Nelle guerre, i nervi saldi possono far cambiare il corso degli eventi. Ma i kurdi sono convinti che «In breve tempo, l’ISIS sarà gradualmente eliminato dai quartieri di Kobane, e dai villaggi circostanti Kobane. Come risultato di questo processo, possiamo dire che l’ISIS sarà cancellato dai villaggi di Tel Abyad ad est, Sirrin a sud e Jarablus e Azzaz ad ovest. Questa sconfitta non determinerà solo il futuro della regione, ma darà forma al destino di tutti i kurdi e del Kurdistan». Una prospettiva terribile per il Daesh/Stato Islamico sconfitto sul campo da quello che più odia: uomini e donne progressisti che parlano di socialismo, parità di genere, uguaglianza e tolleranza religiosa ed etnica. Ma una prospettiva tremenda anche per la Turchia che vede concretizzarsi al suo confine meridionale, in tutta la sua dirompente novità, l’eterna questione kurda. E i kurdi del Rojava avvertono: «Coloro che sostengono questa lotta per l’umanità saranno vittoriosi; coloro che si mettono dalla parte sbagliata della storia, credendo presumibilmente di essere “imparziali”, sprofonderanno con le forze oscure. La storia sta scrivendo questo e noi assistiamo a questa storia».