Il governo si impegnato ad un cessate il fuoco immediato. I Paesi confinanti ai ribelli: fatelo anche voi
Sud Sudan, dal golpe al conflitto etnico per il petrolio?
Migliaia di morti negli scontri tra le due fazioni della Spla e i Dinka e i Nuer
[27 Dicembre 2013]
Il governo del Sud Sudan si è impegnato oggi ad un cessate il fuoco immediato ed i Paesi confinanti hanno sollecitato il leader dei ribelli Riek Machar a prendere lo stesso impegno.
I Capi di Stato dell’Africa Orientale che hanno partecipato a Nairobi al meeting dell’Inter Governmental Authority on Development (Igad), hanno detto che vogliono che le parti in conflitto in Sud Sudan si incontrino entro il 31 dicembre.
Nel comunicato finale della 23esima sessione straordinaria dell’Igad si legge che l’Authority «Accoglie con favore l’impegno da parte del governo della Repubblica del Sud Sudan per una cessazione immediata delle ostilità e invita il dottor Riek Machar e le altre parti ad assumere impegni simili».
Intanto prosegue l’offensiva dell’esercito del Sud Sudan nel nord del Paese, negli Stati ricchi di petrolio controllati dai ribelli dell’ex vicepresidente Riek Machar. Secondo Sudan Tribune, «la città di Malakal è al centro di una grande battaglia tra le due parti». Il 24 dicembre i ribelli avevano annunciato di aver conquistato la capitale dello Stato del Nilo Superiore, nel cuore petrolifero del Sud Sudan, cosa che è stata smentita dal governo di Juba. Ma il Sudan Tribune riferisce della fuga da Malakal a Natale di diversi rappresentanti del governo che avrebbero cercato rifugio presso le truppe Onu e secondo il giornale lealisti e ribelli si contendono ancora questa città strategica perché da qui parte la stragrande maggioranza del petrolio verso il Sudan.
Sudan Tribune titola: «Natale triste e nuovo anno disperato in Sud Sudan», rendendo un triste omaggio a Mikhail Kalashnikov: «Kalashnikov è morto molto vecchio di morte naturale il 23 dicembre, ma nel pieno dell’epoca di follia in Sud Sudan. La sua invenzione è la più mortale delle armi. Il suo celebre AK 47 partecipa oggi alle atrocità sud-sudanesi. Che uomo!».
Dal 15 dicembre, dopo quello che è stato presentato come un golpe fallito, gli uomini di Machar e quelli del presidente Salva Kiir si scontrano senza tregua e le violenze toccano ormai la metà degli Stati che formano la più giovane nazione del mondo. Ormai i morti sono diverse migliaia ed Adama Dieng, inviato speciale dell’Onu in per la prevenzione del genocidio teme che il conflitto degeneri e che l’Africa debba vivere un nuovo Rwuanda. Dieng in un’intervista a Rfi ricorda che «La situation in Sud Sudan conosce dei cicli intermittenti di violenze intercomunitarie. Sicuramente anche dopo il 2011 (anno dell’indipendenza del Sud Sudan, ndr), in particolare nello Stato di Jonglei che oppone l’etnia Murle da una parte all’etnie Nuer e Dinka. Questo si è esteso ad altre regioni soprattutto all’indomani dell’esclusione dell’ex vicepresidente Riek Machar dal governo, così come di alcuni altri leader».
Insomma, l’indipendenza da Sudan non ha fatto scomparire odi etnici ancestrali e il sogno del dinka John Garang il leder della Sudan People’s Liberation Army (Spla) morto nel 2005 prima di vedere il suo Paese indipendente, sembra annegare nelle rivalità etniche che hanno diviso la Spla.
Dieng è convinto che lo scontro di potere tra Machar e Kiir «E’ un conflitto politico che, sfortunatamente, potrebbe sfociare in un conflitto inter-etnico, con tutto quel che questo comporta come conseguenze. Non bisogna voltare la faccia, fino ad oggi, le autorità non sono riuscite a gestire in maniera costruttiva la diversità che prevale in Sud Sudan. E’ per questo che è essenziale che le autorità trovino il modo di mettere fine all’esclusione».
Lo Stato del Sud Sudan è ancora troppo fragile per sopportare lo choc di un presunto colpo di Stato che ha rivelato drammaticamente la frattura tra le due ali della Spla. Quella di Machar e Pagan Amum che accusa quella egemone del presidente Kiir di voler trasformare il Paese in una dittatura e di svendedrere le risorse del Paese agli eterni nemici di Khartoum. Rebecca Garang, l’influente vedova dell’eroe dell’indipendenza, tenta una mediazione, anche se la critica all’attuale leadership della Spla è evidente: «Ho perso mio marito all’indomani della firma dell’accordo di pace del 2005, quando è rimasto ucciso in un incidente a Khartoum. Sfortunatamente, da allora non ho visto mettere in opera a profitto dei sud-sudanesi quello per cui si batteva. Se il popolo sudanese continua a soffrire, allora soffro anche io. E comincio a pensare che mio marito possa essere morto invano. La visione della Spla, la visione di mio marito, è stata deviata. Non è stata messa in atto dai nostri leader. E’ però una visione molto nobile, una visione ben più grande di ciascuno di noi. E dovremmo seguirla!»
Dietro gli scontri etnici c’è il petrolio e il fatto che il governo dal Sudan è riuscito a manipolare gli accordi sottoscritti nel settembre 2012 a scapito del Sud Sudan. Anche alcuni analisti internazionali accusano Kiir di essersi fatto manipolare dal Nord e che il rimpasto governativo seguito alla cacciata di Machar ha portato al governo di Juba ministro molto più vicini a Khartoum. I ribelli hanno avuto buon gioco nell’accusare il presidente di aver venduto completamente il Paese agli arabi musulmani.
Le cose si complicano perché Kiir è dinka e Machar è nuer, due etnie che si scontrano da sempre e che si erano unite nella Spla solo per cacciare i sudanesi del nord. Ora i kalashnikov, l’unica cosa che non manca in Sud Sudan, sono nelle mani degli eterni rivali che si combattevano con lance e scudi per un pezzo di terra, un ruscello o un pascolo che magari sorgono su un prima sconosciuto giacimento di petrolio.
Intanto l’Onu denuncia il ritrovamento di fosse comuni e che probabilmente sono stati compiuti crimini contro l’umanità a carattere etnico, anche da parte delle truppe lealiste di Kiir. Invece Machar era già accusato di aver ordinato un massacro etnico nel 1991. Naturalmente entrambi si professano cristiani e dicono di non voler dividere il Paese.
La situazione è terribile ed i campi profughi e le missioni Onu si gonfiano di rifugiati. L’United Nations Mission in the Republic of South Sudan (Unmiss) spera solo di ottenere al più presto I rinforzi promessi dal Consiglio di sicurezza dell’Onu per proteggere I civili prigionieri di una Guerra fratricida. In Sud Sudan dovrebbero arrivare altri 5.500 caschi blu e 440 poliziotti Onu ed alcuni elicotteri da combattimento per aiutare la Ummiss che attualmente conta 7.000 effettivi. Le nuove truppe arriveranno da altre regioni dove sono in corso missioni di Pace Onu: Repubblica democratica del Congo, Darfour, Abyei, Costa D’Avorio e Liberia. Intanto gli uomini dell’Unmiss stanno indagando su denunce di esecuzioni sommarie, detenzioni arbitrarie, abusi e stupri commessi da militari e ribelli e sta cercando di capire se sia vera la notizia di una fossa comune con 75 vittime scoperta a Bentiu.
L’Unicef lancia un altro allarme: «I bambini sud-sudanesi sono in grave pericolo». Il rappresentante dell’Unicef in Sud Sudan, Iyorlumun Uhaa, ha detto: «Stimiamo che 81.000 civili siano fuggiti dalle loro abitazioni, tra i quali una maggioranza di donne e bambini, ma pensiamo che, vista la velocità alla quale evolve la situazione, le cifre reali sono probabilmente più elevate. Siamo soprattutto allarmati per la sorte dei bambini di Bor e dei dintorni. I viveri e l’acqua salubre cominciano a mancare in maniera disperante nella base Unmiss sul posto e l’assenza di sistemi igienici presenta un rischio elevato di propagazione delle malattie. I bambini, che sono sempre tra i più vulnerabili nei conflitti, passano le loro giornate senza riparo sotto un caldo soffocante e dormono sotto le stelle in notti molto fredde».
Dietro le lotte per il potere, il petrolio e le guerre etniche sono sempre (e come sempre) dimenticate le sofferenza dei più deboli e degli innocenti.