Il Titolo V e il ruolo delle regioni
[18 Agosto 2015]
Quale ruolo per le regioni? E’ un interrogativo a cui solo ora, e ancora molto timidamente e tra troppi omissis, si sta cercando di dare una risposta. Un ritardo tanto più sconcertante nel momento in cui si sta discutendo il ruolo del nuovo Senato e con esso delle autonomie, e in particolare delle regioni. La partenza non poteva essere peggiore a conferma della rozza approssimazione e non poca incompetenza, perché il fallimento del Titolo V delle Costituzione da cui si sono prese le mosse ha eluso proprio qualsiasi riflessione critica sulle sue cause. Ed era ed è invece da qui che si doveva e si deve partire per evitare decisioni pasticciate del tipo di quella sulle province, i cui effetti negativi sono sotto gli occhi di tutti.
Con il vecchio Titolo V come con altri provvedimenti – vedi legge Bassanini – si era cercato di rispondere a un’esigenza che era andata via via emergendo, e cioè riuscire a mettere in relazione, anche sotto la spinta delle nuove norme e competenze comunitarie, Stato, regioni ed enti locali. Si cercò insomma di rendere concretamente operativa quella leale collaborazione istituzionale e costituzionale che il ruolo pressoché esclusivo dello Stato, specie con il nuovo art. 117 della Costituzione, rendeva ormai impossibile. A questa domanda incalzante si cercò di rispondere corresponsabilizzando innanzitutto le regioni, con le competenze concorrenti, e con la sussidiarietà degli enti locali. Che le cose non siano andate nel senso giusto è fuori discussione. Ma non lo è neppure il fatto che ha poco senso scaricarne l’intera responsabilità sulle regioni perché se esse hanno impugnato, ad esempio, contro lo Stato sempre più norme e provvedimenti, lo Stato non è stato da meno come si può vedere dalle cifre in campo.
La crescente e paralizzante conflittualità è il frutto di entrambi livelli istituzionali. Ed è pure un dato incontestabile che in barba alle competenze concorrenti lo Stato si sia ripreso in esclusiva competenze –vedi il paesaggio e il nuovo Codice dei beni culturali – escludendone, ad esempio, anche parchi ed aree protette. E al Parlamento si è cercato pure – per fortuna senza successo – di tagliare fuori le regioni da qualsiasi competenza sulle coste a partire proprio dalle aree protette marine, ignorando anche precise disposizioni comunitarie su cui paghiamo multe salate per le nostre numerose inadempienze. E visto che tornano pure le alluvioni, è interessante osservare come lo Stato ha gestito la legge 183 e i bacini che dovevano lasciare posto ai distretti, che da anni sono in attesa di essere istituiti.
Ora, a fronte di tale situazione abbiamo finora assistito alla stessa scena: in campagna elettorale c’è chi ha sostenuto che le regioni come le province dovevano e potevano essere liquidate, o almeno fortemente ridotte; nessuna parola invece sulle regioni speciali, quasi si trattasse di un’altra orbita istituzionale. E siccome le regioni hanno dato pessima prova di sé anche sul piano della correttezza e della legalità mentre lo Stato ne ha date di stupende (vedi Protezione civile, suolo, Sud) le prime vanno punite e lo Stato premiato. Le regioni quindi dovrebbero occuparsi solo di non molte cose, mentre il volano dovrebbe tornare a tutti gli effetti esclusivamente allo Stato. E che la Repubblica non sia più solo lo Stato (il famoso Stato-persona) ma anche regioni ed enti locali, chi se ne frega.
In questo stravolgimento della situazione rientrano anche le sortite come l’accorpamento del CFS, il passaggio delle sopraintendenze alle prefetture e l’assalto alla burocrazia dove si anniderebbero tutti i nostri guai. Se in Calabria si è fatto di tutto e di più per favorire i disastri e ignorare leggi e norme fondamentali di chi sarà la colpa? Non della politica di Roma e di molte regioni?
Dopo i troppi silenzi delle stesse regioni qualcosa sembra si stia muovendo, come risulta anche da recenti dichiarazioni di Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana che vorrebbe impegnarsi anche sul piano nazionale su questo terreno.
Il Gruppo di San Rossore, impegnato soprattutto sui temi ambientali, da tempo ritiene che questo sia un passaggio fondamentale. Bisogna però dalle interviste e dichiarazioni passare finalmente a qualcosa di più preciso e incisivo. Urge insomma che le regioni predispongano una posizione su cui aprire un ampio confronto che vada oltre le scaramucce parlamentari e gli emendamenti. Qui non è la burocrazia che può frenare, ma solo la politica istituzionale.
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