Quale ruolo per la geotermia in una Toscana carbon neutral al 2050
Si è insediato il comitato scientifico che aiuterà la Regione a raggiungere la carbon neutrality entro trent’anni. Mancuso: «La Toscana ha la fortuna di avere una produzione da geotermia molto forte, che potrebbe essere ulteriormente ampliata e dare un contributo importante»
[8 Novembre 2019]
Si è insediato questa settimana – alla presenza del governatore Enrico Rossi e dell’assessore Fratoni, oltre che di rappresentanti Arpat, Irpet, Lamma e Ars – il comitato scientifico di Toscana carbon neutral 2050: la strategia con la quale la Regione punta a raggiungere entro trent’anni un bilancio emissivo pari a zero. Ciò naturalmente non significa cancellare del tutto le emissioni antropogeniche di CO2, ma ridurle e fare in modo che vengono completamente compensate dalla capacità degli ecosistemi locali di assorbire anidride carbonica
Si tratta di un obiettivo sfidante ma essenziale per rimanere in linea con l’Accordo di Parigi sul clima, all’interno di un contesto nazionale che non aiuta. I dati raccolti nella Relazione sullo stato della green economy 2019 mostrano che le emissioni di gas serra «in Italia, infatti, non diminuiscono dal 2014: nel 2018 sono state 426 Mt di CO2eq, erano 428 Mt nel 2017 e circa 426 Mt nel 2014». La Toscana invece dalla sua parte ha già un importante esempio virtuoso da poter valorizzare, dato che l’intera Provincia di Siena ha già raggiunto la carbon neutrality nel 2011 – la prima area vasta d’Europa tagliare questo traguardo – e da allora è andata sempre migliorando, grazie anche a peculiarità come l’ampia copertura forestale presente sul territorio, in grado di assorbire CO2, e la coltivazione sostenibile della geotermia naturalmente presente in loco, arrivata a coprire il 92% di tutta l’energia prodotta sul territorio provinciale. Specularmente anche a livello regionale, per raggiungere la carbon neutrality, dovranno da un lato diminuire le emissioni antropogeniche di CO2 e dall’altro aumentare gli assorbimenti.
«Il tema dei cambiamenti climatici è centrale per la nostra Regione ed è la cornice su cui orientare tutte le politiche regionali – osserva il presidente Rossi – Con l’insediamento di questo comitato scientifico, che abbiamo voluto perché intenzionati di avvalerci delle migliori competenze, accettiamo una sfida ancora più forte. Vogliamo programmare un piano di azioni concrete con cui raggiungere il traguardo di una Toscana carbon neutral al 2050: la Regione si doterà di un modello di sviluppo sostenibile proponendo un patto per la lotta ai cambiamenti climatici anche a tutti i Comuni, che dovranno ispirare il proprio sviluppo proprio ai principi riportati nel documento strategico regionale. A dicembre presenteremo in Giunta il documento che nascerà grazie al contributo del comitato scientifico e che segnerà il manifesto programmatico della nostra Regione per i prossimi anni».
Del comitato scientifico fa parte un’ampia gamma di esperti: il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, il climatologo Roberto Buizza, l’economista Marco Frey e i docenti esperti di energia Romano Giglioli e Alessandro Sbrana. Se il compito degli scienziati è quello di mettere a disposizione della Regione il proprio know how e suggerire soluzioni possibili per rendere la Toscana carbon neutral, lo step iniziale è giocoforza quello di redigere un bilancio emissivo che mostri con chiarezza a che punto è il territorio: primo passo sarà dunque la costituzione di un Osservatorio permanente appositamente costituito, che avrà il compito di monitorare le emissioni regionali ed elaborarne annualmente il bilancio.
Per quanto riguarda invece gli strumenti da mettere in campo pre raggiungere concretamente la carbon neutrality «le proposte – argomenta Mancuso – sono numerose. La Toscana ad esempio ha la fortuna di avere una produzione da geotermia molto forte che potrebbe essere ulteriormente ampliata e dare un contributo molto importante alla produzione energetica. D’altra parte lavorando dall’altro lato dell’equazione – da una parte ci sono le produzioni di anidride carbonica, dall’altra c’è la fissazione della CO2 – utilizzando delle piante, iniziando un grande progetto di ampliamento delle foreste soprattutto periurbane, in pochi anni potremmo essere in grado di dare un contributo fondamentale alla fissazione dell’anidride carbonica».