Il punto di vista dell’ex assessore Del Lungo

Inchiesta keu, cosa resta dell’economia circolare nel comprensorio del cuoio?

Un quarto di secolo fa iniziarono l’addio alle discariche, la decromizzazione dei fanghi e il loro riciclo, supportato dall’Ue. Possibile siano stati fatti tanti passi indietro? Ora a fare chiarezza dovrà essere la magistratura

[28 Aprile 2021]

Claudio Del Lungo è stato assessore all’Ambiente della Regione Toscana nella legislatura iniziata nel 1995, quando iniziò una fase cruciale per rendere più sostenibile il comprensorio del cuoio oggi finito alla ribalta della cronaca per l’inchiesta keu, diretta dalla Procura distrettuale antimafia di Firenze. Nel merito restano molti gli aspetti da chiarire, in primis come si sia potuti passare da pratiche di economia circolare all’avanguardia in tutta Europa all’ipotesi di smaltimenti illeciti di rifiuti che inquietano la Toscana. Per capire quali fossero gli impatti ambientali della concia in Toscana e le soluzioni allora adottate per minimizzarli, abbiamo chiesto a Del Lungo di ricostruire la propria esperienza di amministratore alla luce dei recenti fatti giudiziari: riportiamo di seguito il testo in via integrale.

Da allora sono trascorsi ben 26 anni e i dettagli di tutta la vicenda sono abbastanza lontani e confusi.

Comunque ricercando fra vecchi documenti ho ricostruito qualche dato. Le concerie del comprensorio del cuoio hanno avuto uno sviluppo impressionante nel secondo dopoguerra e, fino agli anni ’70, tutti gli scarti delle produzioni finivano in Arno.

Nel 1976 iniziò la costruzione del primo depuratore a Santa Croce sull’Arno (società Aquarno), ampliato successivamente diverse volte. Nel 1981 entrò in funzione anche il secondo depuratore di Ponte a Egola (società Cuoiodepur), mentre l’anno successivo partirono anche i depuratori di Ponte a Cappiano (Fucecchio) e Castelfranco di Sotto.

Il problema ambientale si sposta quindi dall’Arno ai residui della depurazione (i fanghi) e alle emissioni in atmosfera. I depuratori infatti producevano grandi quantità di acido solforico che ammorbavano l’aria con il tipico odore di uova marce. Per anni, attraversando quella zona in auto o in treno, bisognava stare con i finestrini ben chiusi e quasi in apnea dall’odore pungente e nauseabondo che caratterizzava l’aria dei quattro comuni del comprensorio del cuoio.

In ogni caso fino al 1983 i fanghi venivano accantonati accanto ai depuratori, mentre cresceva la necessità di trovare loro una sede appropriata. Nacquero così le prime discariche: nel 1983 quella di Cerri poi quella di Casa Bonelli ed infine Casa Carraia. La produzione di fanghi in quegli anni aveva raggiunto le 6-700 tonnellate al giorno fino ad arrivare, intorno al 1995, alle 300.000 tonnellate all’anno.

A questo punto, per fare chiarezza, bisogna fornire alcune informazioni sulla produzione del cuoio e della concia nel comprensorio. Negli anni novanta il comprensorio impiegava circa 10.000 addetti, su una popolazione complessiva di circa 90.000 abitanti. Il fatturato era di circa 3.500 miliardi di lire per produrre sostanzialmente due tipi di concia: il cuoio per la pelletteria e quello per le scarpe.

Per la concia del primo venivano usate diverse sostanze fra le quali prodotti contenenti metalli pesanti ed in particolare il cromo. Per il secondo processo produttivo, quello per la produzione delle suole per le scarpe, veniva usata la concia vegetale a base di tannini. Anche questa era inquinante ma non conteneva i metalli pesanti che erano (e sono tuttora) sostanze altamente contaminanti l’ambiente.

Ogni anno venivano impiegati circa 100.000 tonnellate di sostanze concianti al cromo e circa 55.000 di concianti al tannino, oltre ad acidi inorganici e organici, sodio solfuro, calce, coloranti, ecc. Insomma un cocktail di sostanze inquinanti che veniva immesso nell’ambiente, acqua, aria e suolo, inizialmente con assoluta leggerezza, poi sempre di più con difficoltà a causa degli effetti visibili e palpabili sull’ambiente.

Quando fu aperta la discarica di Casa Carraia doveva ospitare 350.000 tonnellate, ovvero doveva funzionare per circa tre anni e mezzo. Fu invece utilizzata per circa 7-8 anni e fui io a non concedere più l’utilizzo della discarica.

Ricordo benissimo un corteo di diverse migliaia di persone, dovuto ad una serrata fra industriali, operai e padroncini che alla testa aveva uno striscione contro di me. Tutti uniti minacciarono di trasferire gli impianti all’estero.

Fu allora che si iniziò a parlare della decromizzazione dei fanghi e del loro riutilizzo. La forzatura della chiusura della discarica costrinse gli industriali e i quattro consorzi a presentare progetti alternativi.

Con la decromizzazione dei fanghi conciari si producevano fanghi paragonabili a quelli urbani che potevano essere inertizzati mescolandoli con argilla per produrre il cosiddetto Ecoespanso, un granulato per l’edilizia simile all’argilla espansa.

Gli studi confermavano che il materiale era esente da potenziale inquinamento e che poteva essere finalmente riutilizzato per scopi compatibili con l’ambiente.

Ricordo anche che approvammo una delibera (forse era il Piano regionale dei rifiuti urbani), doveva essere il 1998, nella quale si obbligava gli enti pubblici a prevedere nelle gare l’impiego di una parte di questi materiali per gli appalti di costruzione di opere pubbliche. Credo sia stato il primo esempio in Italia di Green public procurement (Gpp).

La Comunità europea finanziò l’impianto e io lasciai l’assessorato in Regione nel 2000 che l’impianto era in costruzione.

Fino al quel momento io non ho mai sentito parlare del “Keu” e le scelte fatte a quell’epoca sono state sicuramente positive e all’avanguardia in Italia e in Europa. Ricordo che il comprensorio del cuoio di Arzignano, in provincia di Vicenza, cercò di ostacolare questo progresso perché poteva rendere più competitivo il nostro comprensorio del cuoio, che si stava avviando alla soluzione dei problemi ambientali.

In ogni caso il Keu non è l’ecoespanso, ma sono le ceneri dei processi di essiccazione dei fanghi che pare siano state usate come sottofondo stradale. Da qui alla inertizzazione dei fanghi degli anni novanta, sembra passata davvero molta acqua sotto i ponti.

Non conosco i fatti giudiziari, né le cause che li hanno avviati e non so se stiamo parlando delle stesse produzioni e quanto sia cambiato da allora. Mi sembra molto strano che si siano fatti dei passi indietro, anche perché la tecnologia e l’economia circolare oggi hanno invece fatto passi da gigante in avanti.

La Toscana è una regione che negli ultimi 20 anni ha cambiato sistema di gestione politica, soprattutto in campo ambientale. Prima veniva attuata una attività di pianificazione e legislativa più pressante nei confronti del territorio, mentre dagli anni duemila è stato preferita una politica di indirizzi generali. Per esempio nelle raccolte differenziate dei rifiuti urbani, a parte alcune eccezioni, si sono fatti scarsi passi in avanti e ci sono aree della Toscana dove siamo più indietro della Calabria.

Le politiche fatte in quegli anni avevano gettato le basi per una conversione ecologica del territorio, azioni che successivamente sono state progressivamente abbandonate così come è stato ridimensionato il ruolo dell’Agenzia dell’Ambiente che era nata proprio nel 1995 assumendo sempre di più un ruolo centrale per le politiche regionali, non solo di controllo del territorio ma anche di supporto alle azioni nei diversi settori.

di Claudio Del Lungo, già assessore all’Ambiente della Regione Toscana