Gessi rossi per il ripristino dell’ex cava di Poggio Speranzona (GR)
15 anni di monitoraggio ARPAT
[17 Settembre 2021]
ARPAT e Regione Toscana presentano un documento che ricostruisce la storia del ripristino ambientale dell’ex cava di Poggio Speranzona, destinataria dei gessi rossi prodotti da Venator Italy. Il punto su 15 anni di monitoraggio delle acque sotterranee e superficiali nell’area circostante
Il polo industriale chimico-siderurgico di Scarlino è nato negli anni ‘60 per lo sfruttamento delle piriti delle Colline Metallifere, tra gli anni ‘70/’80 è poi passato da diverse proprietà ed oggi appartiene alla società Venator-Italy di Scarlino, che produce biossido di titanio, dal cui processo industriale scaturiscono i gessi rossi utilizzati per il ripristino ambientale dell’ex cava di Poggio Speranzona a Montioni – Follonica.
Questi gessi sono classificabili come rifiuti speciali non pericolosi (CER 061101) e ogni anno ne viene prodotta una quantità considerevole, circa 500 mila tonnellate, dal momento che per ogni kg di prodotto finito, si generano circa 6 kg di gessi rossi.
L’area di Poggio Speranzona, nella quale vengono conferiti i gessi, dal punto di vista geologico e idrogeologico, è caratterizzata da varie anomalie già presenti e conosciute prima dell’inizio delle attività di ripristino della cava. Le caratteristiche di questi ultimi, ai fini della loro collocazione in quel sito specifico, erano ben note e documentate sin dal 2004.
L’iter autorizzativo
Il complesso iter tecnico-amministrativo, che ha portato ad autorizzare l’utilizzo dei gessi rossi per ripristinare il sito di Poggio Speranzona, ha dovuto quindi tenere conto di tre aspetti che costituiscono le basi dell’autorizzazione:
- le caratteristiche dei gessi e delle sostanze che gli stessi potevano rilasciare;
- la scelta di un sito che per propria natura fosse compatibile coi gessi da collocare;
- la necessità di verificare nel tempo se la presenza dei gessi alterasse le caratteristiche iniziali del sito, attraverso il monitoraggio, costante e pluriennale, da parte di ARPAT.
La prima autorizzazione risale al 2005 e tiene conto di quanto previsto dall’accordo volontario stipulato nel 2004 dai rappresentanti degli enti locali, della Regione Toscana, dell’ARPAT e della società Huntsman Tioxide Europe, mentre la successiva, a valle di un nuovo accordo, è stata rilasciata dalla Regione Toscana nel marzo 2017. Entrambe le autorizzazioni sono state rilasciate tenendo conto specificatamente delle caratteristiche dei gessi, seguendo l’iter autorizzativo ordinario, previsto prima dal “decreto Ronchi” (art 27-28) e, successivamente, dal Testo Unico Ambientale (art 208 del D.Lgs 152/06).
Il “procedimento semplificato”, infatti, non risultava praticabile proprio in considerazione delle caratteristiche dei gessi che non erano tali da consentire un’autorizzazione “semplificata”, che avrebbe richiesto il rispetto di una serie di test specifici previsti dalla normativa (test di eluizione ex D.M. Ambiente 5.02.1998). Nell’autorizzazione, pertanto, non erano presenti limiti normativi da rispettare in merito alla composizione dei gessi o il loro comportamento al test di cessione, ma venivano indicati i valori “caratteristici” ottenuti dalle analisi condotte “sul tal quale o al test di cessione”, come riportati nell’accordo volontario del 2004.
I controlli di ARPAT
Nel tempo ARPAT ha realizzato il controllo degli eventuali effetti ambientali del ripristino sull’area in questione, attraverso un sistema di monitoraggio delle acque sia superficiali che sotterranee, già previsto nell’accordo del 2004.
L’obiettivo principale del monitoraggio è quello di verificare l’eventuale cessione da parte dei “gessi rossi” dei loro componenti (solfati, ferro, manganese ed altri) attraverso il fenomeno della “lisciviazione”, ossia della loro dissoluzione in acqua e successivo trasporto superficiale, attraverso la rete degli impluvi, e/o profondo, in base alle caratteristiche di permeabilità e saturazione dei suoli e delle formazioni rocciose.
Dall’analisi dei dati derivanti dai controlli e dal monitoraggio raccolti nel tempo da ARPAT (confermati anche dai più recenti degli anni 2020-2021), emerge che i gessi rilasciano in acqua cloruri oltre i limiti di cui alla Tabella dell’allegato 3 del D.M. Ambiente 5.02.1998, mentre contengono cromo totale e vanadio, in concentrazioni superiori alle rispettive CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) indicate dal D.Lgs 152/06, ma rispettano i limiti al test di cessione di cui allo stesso.
Le caratteristiche idrogeologiche dell’area
I monitoraggi effettuati sono particolarmente significativi in quanto hanno avuto inizio due mesi dopo il primo arrivo del gesso rosso, e considerando che la deposizione è avvenuta in una zona posta a circa 600 mt, in linea d’aria, quindi piuttosto distante dai piezometri controllati (a valle idrogeologica), è possibile considerare i monitoraggi realizzati nel 2005 e 2006 come analisi ante operam. Le analisi hanno mostrato la presenza delle sostanze prese a riferimento già prima dell’inizio del conferimento dei gessi nel sito di Poggio Speranzona, trattandosi di una zona con un’ampia varietà di mineralizzazioni presenti e idrogeologia singolare, con forte connotazione termale/geotermica, che comporta la presenza nelle acque sotterranee di sostanze che possono essere rilasciate dai gessi.
I risultati delle attività di ARPAT
Partendo da questi dati e da quelli successivi, raccolti durante le attività di campionamento ed analisi effettuate in circa 15 anni, non emergono indicazioni tali da evidenziare effetti sulle acque sotterranee generati dall’utilizzo del gesso di ripristino della cava. Infatti, sulla base di quanto osservato nel corso dei monitoraggi nel periodo 2005-2020, non si trova riscontro di un eventuale processo di lisciviazione dei “gessi rossi”.
Per quanto riguarda invece alcune variazioni repentine in alcuni parametri (solfati), verificatesi negli ultimi anni, le stesse non paiono ragionevolmente riconducibili a processi di lisciviazione (per loro natura graduali e continui nel tempo) ma, secondo approfondimenti di carattere idrogeologico, possono essere attribuite alla origine termale di tali acque (sotterranee e superficiali) monitorate, nelle quali sono presenti diverse sostanze ed elementi chimici caratteristici proprio dei sistemi termali.
Si tratta di una situazione, comunque, complessa e attualmente sono in corso altri approfondimenti sulle caratteristiche idro-geochimiche dell’area, promossi da ARPAT e dalla Regione Toscana, che consentiranno di comprendere ancora meglio il quadro a disposizione.
di Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana – ARPAT