Favorire quando possibile l’ingegneria naturalistica al posto di quella grigia

Alluvioni, le soluzioni basate sulla natura utili per ridurre il rischio nella Piana fiorentina

Preti (Unifi): «Nelle zone urbane sarebbero utili delle aree e fasce vegetate che possano frenare i deflussi idrici, oltre a delocalizzare strutture a rischio eccessivo»

[6 Novembre 2023]

La Piana fiorentina è l’area colpita più duramente dal ciclone Ciaran che ha investito la Toscana tra giovedì e venerdì scorso, che in una striscia di territorio larga da 10 a 20 km e lunga circa 120 km – da Livorno fino a Palazzuolo sul Senio – ha riversato in poche ore la pioggia di un mese.

Otto persone sono morte e i danni ammontano ad almeno mezzo miliardo di euro, eppure nell’area gli investimenti contro il rischio idrogeologico non sono mancati: «Negli ultimi cinque anni, nel territorio che abbraccia la Piana Fiorentina, Prato e Pistoia sono stati investiti 85 milioni di euro per la messa in sicurezza del reticolo minore, fra manutenzioni ordinarie (finanziate con il contributo di bonifica) e straordinarie (con finanziamenti derivanti da altri enti di fiscalità generale)», dichiara Marco Bottino, presidente di Anbi Toscana.

Evidentemente, di fronte ad una crisi climatica che avanza sempre più rapidamente, è però necessario investire maggiormente e su più fronti per alimentare la resilienza dei territori.

«La realizzazione di opera idrauliche è un obiettivo strategico, che la nostra amministrazione regionale sta già perseguendo e su questo chiediamo di continuare pervicacemente e magari accelerare. In questo modo sarà possibile ridurre, se non annullare, gli effetti di eventi disastrosi – argomenta Riccardo Martelli, presidente dell’Ordine dei geologi della Toscana – È fondamentale investire pesantemente su strumenti di analisi e monitoraggio di eventi meteo locali ed a decorso rapido. Questi strumenti consentirebbero di mettere il cittadino, formato e informato, nelle condizioni di reagire adeguatamente in caso di evento avverso. Questo non significa ribaltare sulla popolazione l’onere della sicurezza e dell’incolumità, si tratta di un’operazione di realismo, che può consentire di gestire l’ultima aliquota di rischio, limitando perdite umane prima di tutto e riducendo i danni alle cose in seconda battuta. Più conosco il fenomeno, più sono informato sull’evoluzione del fenomeno, più efficacemente riesco a mettermi in sicurezza con comportamenti adeguati».

Anche Vieri Gonnelli, consigliere dell’Ordine degli ingegneri di Firenze ed esperto per il settore idrogeologico, sottolinea che «il territorio toscano è fragile, è attraversato da numerosi corsi d’acqua di medie e piccole dimensioni, che sono quelli che danno più problemi in caso di precipitazioni intense e concentrate in poche ore come quelle di giovedì notte: non dobbiamo farci trovare impreparati ma avere una cura costante del suolo, investendo in prevenzione e manutenzione».

Per questo gli ingegneri fiorentini sollecitano l’attenzione all’aspetto idrogeologico, con l’obiettivo di «limitare il consumo di suolo, ridurre l’erosione, creare aree verdi, puntare sulla rigenerazione urbana favorendo il ripristino della permeabilità e il naturale accumulo delle acque, fare manutenzione del patrimonio edilizio esistente».

Stefano Corsi, coordinatore della commissione Ambiente ed energia dell’Ordine degli ingegneri di Firenze, evidenzia che «anche al di fuori dell’urbanizzato, sono necessari interventi di rispristino della naturalità degli ecosistemi che, se correttamente progettati anche dal punto di vista ingegneristico, possono essere usati per ridurre gli effetti delle piene dei corsi d’acqua, ridurre l’erosione, ma anche ridurre gli effetti del vento, al netto degli evidenti benefici paesaggistici e naturalistici. Questo approccio dovrebbe essere applicato alle grandi opere di contenimento delle piene, le casse di espansione, ma anche in modo più diffuso alle golene e ai sistemi naturali e artificiali di drenaggio delle acque fino al reticolo di scolo dei campi».

Sono le cosiddette soluzioni basate sulla natura (Nature based solutions, Nbs), che in Toscana anche Legambiente sollecita da tempo, essendo utili a contrastare le alluvioni quanto il rischio siccità.

Le zone di Prato, Pistoia, Lucca sono le più urbanizzate della Toscana, dove il consumo di suolo contribuisce maggiormente a rendere il territorio più fragile di fronte a piogge intense e localizzate più frequenti, passando di colpo da siccità a alluvioni.

«Oggi abbiamo avuto le casse di espansione che, per fortuna, hanno funzionato. Ma prima avevamo una laminazione diffusa in scoline e acquidocci, terrazzamenti, invasi, etc. che si sono persi – osserva Federico Preti, docente di Idraulica agraria e Sistemazioni idraulico-forestali all’Università di Firenze, nonché presidente nazionale dell’Associazione italiana di ingegneria naturalistica (Aipin) – Oggi sono passati 57 anni dall’Alluvione di Firenze e, negli ultimi 60-70 anni, abbiamo perso il presidio e la manutenzione del territorio, ora più fragile e vulnerabile e da lì dobbiamo ripartire. Certamente è necessario compensare e mitigare l’aumento di rischio con le cosiddette Nbs, come a tutti ora piace chiamarle. La scoperta dell’acqua calda? Trattasi di interventi ispirati dalla natura, ovvero l’ingegneria naturalistica che da noi è ben nota e collaudata, per quanto riguarda i nostri bacini collinari e montani. Nelle zone urbane sarebbero utili delle aree e fasce vegetate che possano frenare i deflussi idrici prima dell’ingresso nelle fognature o nelle reti di scolo. Oltre a delocalizzare strutture a rischio eccessivo. Non possiamo più esimerci dalla “massima applicabilità” di tali interventi (ingegneria naturalistica al posto di quella grigia, a meno che non se ne dimostrino i limiti) e dovremo attuare le direttive europee sul controllo del consumo del territorio e sull’impiego di materiali e soluzioni, ecocompatibili e sostenibili».