Sul governo del territorio e il Titolo V
[21 Gennaio 2014]
Sulla nuova politica del governo del territorio in Toscana a cui sta puntando Enrico Rossi, non soltanto con la legge Marson, si sono già avuti apprezzamenti e riconoscimenti autorevoli e significativi anche sul piano nazionale. Rossi lo ha definito un piano ‘ciclopico’ perché stabilisce regole più precise per tutelare il nostro territorio e garantire il buon governo delle possibili trasformazioni, riduce la discrezionalità sugli interventi con l’obiettivo di evitare speculazioni e tutelare il carattere di bene comune del nostro paesaggio ora tutelato – in Toscana – sulla base di 365 vincoli per decreto e di quelli della legge Galasso che coprono oltre il 60% del territorio.
Già qui, però, prima di passare ad una riflessione su come tutto ciò abbia a che fare e perché con il nuovo Titolo V di cui si è cominciato a parlare forse è bene ricordare che prima e dopo Galasso non sono certo i vincoli che sono mancati. Anzi, ad un certo punto dai più svariati vincoli che da sempre hanno punteggiato il nostro territorio proprio grazie a due leggi (la 183 sul suolo e la 394 sui parchi e le aree protette) dai vincoli si è passati ad interventi pianificatori, cioè – come di disse – di ‘tutela attiva’. Vuoi con i piani di bacino vuoi con i piani dei parchi nazionali e regionali, come avvenne anche con importanti esperienze in Toscana a partire da San Rossore. Fu una svolta importante rispetto ad una gestione vincolistica affidata unicamente alle sopraintendenze, da cui le istituzioni locali erano di fatto tagliate fuori. Che una mera gestione dei vincoli non garantisse quel governo del territorio a cui punta giustamente Rossi lo si vide anche con il Pit, a cui non a caso si dovette presto rimettere mano proprio perché due realtà così importanti come i bacini idrografici e i parchi e le aree protette con i loro strumenti di pianificazione anche paesistica risultavano marginalizzati e penalizzati, specialmente dopo l’art 145 del nuovo Codice dei Beni culturali che riconduceva il paesaggio alle sopraintendenze e ad una più che problematica ‘copianificazione’.
Se la legge Marson rispetto al Pit introduce quindi rilevanti correzioni nel senso di superare quella frammentazione che ha vanificato anche la gestione affidata solo ad una proliferazione di vincoli, deve tuttavia riuscire a coinvolgere sia i parchi e le aree protette – la cui legge è in corso d’opera da tempo immemorabile – sia le autorità di bacino in crisi, tanto che mentre il Magra e il Lago di Massaciuccoli devono vedersela di nuovo con piogge torrenziali le loro autorità sembrano stiano per lasciare gli ormeggi per andare a finire in ambiti indefiniti e probabilmente ingovernabili.
Si giunge così al Titolo V, quello vecchio e quello nuovo di cui si è tornati a discutere per ora abbastanza confusamente. Su quello vecchio in crisi è stato detto di tutto e di più ma fondamentalmente e molto ipocritamente che essendo stati troppo generosi con le regioni e gli enti locali lo Stato ha pagato dazio. Sul banco degli imputati sono finite insomma in particolare le ‘competenze concorrenti’, che hanno dato luogo a 1700 conflitti a cui la Consulta ha dedicato il 40% delle sentenze. Concorrenti voleva dire non in competizione ma in concorso per riuscire a gestire ‘in leale collaborazione’ un governo del territorio non affidato unicamente allo Stato, che non aveva certo dato prove migliori di quelle che oggi si imputano pesantemente e senza appello alle regioni.
E’ innegabile che quel tentativo ‘sfortunato’ di avviare una stagione federalista sotto l’incalzare della Lega è fallito. Ma quella esigenza resta oggi più urgente di ieri e non supereremo certo la concorrenza competitiva e paralizzante sbaraccando le province, i piccoli comuni, le comunità montane, disperdendo le autorità di bacino o distretti che siano e tanto meno non rilanciando il ruolo pianificatorio e progettuale dei parchi nazionali, regionali e delle altre aree protette anche europee.
Aldo Bonomi su Il Sole-24 Ore ha scritto che tagliare oggi tutto quello che sta in mezzo (comunità montane, province e anche le regioni, come da più parti si sostiene) non potremo certo pensare ad un ritorno alla montagna, all’ agricoltura del margine che sono fondamentali per le Alpi Europee, per APE (Appennino Parco d’Europa); che nel Trentino si torni a parlare di comunità montane e comunità di valle può sorprendere perciò solo chi ritiene che l’assetto statuale ossia della Repubblica non significhi solo Stato – per di più depennato con tagli ragionieristici di vari livelli istituzionali senza neppure chiedersi chi dovrebbe fare le cose delle province, etc.
In un libro recente ‘Più uguali più ricchi’ di Yoram Gutgeld si fa l’esempio del turismo, che il Titolo V ha lasciato alla responsabilità esclusiva delle regioni e che avrebbe finora impedito una gestione nazionale seria, specie per noi che disponiamo di tante bellezze e richiami. Domanda: si può pensare in un Paese con così tante ricchezze e potenzialità gestite senza le regioni? Questo era e rimane il problema che il vecchio Titolo V non ha risolto e che deve risolvere quello nuovo, non facendo finta che gira gira sarà lo Stato da solo a farlo.
Si sta giustamente – e non soltanto in Toscana – discutendo di coste, litorali, tutela marina e lo Stato al Senato vorrebbe sfrattare le regioni da qualsiasi competenza sulle aree protette marine modificando la legge 394. Prima ai piani dei parchi si è tolto il paesaggio, ora si vorrebbe togliere le aree marine; sarebbe questo il nuovo Titolo V?
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