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Dalla polemica sui parchi all’interpretazione autentica della nuova legge 1
[1 Aprile 2014]
Non ce ne vogliano i diretti interessati, ma alcune notazioni sembrano indispensabili. Non si tratta di critiche ma di spunti per la riflessione. Certamente la proposta di modifica della legge 1 introduce innovazioni interessanti, ma forse sarebbe più utile discuterne nel merito invece che affidare a sintesi giornalistiche alcune soluzioni.
Infatti, non appare una semplificazione imporre per legge che tra avvio del procedimento e adozione di un piano urbanistico comunale debbano correre non più di 2 anni (fermo restando che non sembra poi cosa accada in caso di sforamento dei termini).
Errori di questo genere, peraltro, furono compiuti dalla stessa Regione in merito alla predisposizione del PIT sia in vigenza della legge 5/95 che della legge 1/2005 e qualcuno non mancò di rilevare che la prima inadempienza era proprio del legislatore. La semplificazione sembra insomma un’altra cosa, per esempio, potrebbe concretizzarsi se il PIT fosse più specifico e dettagliato, se i PTC (sempre che continuino ad esistere a fronte di un ente di secondo grado e dal futuro incerto) non fossero, come ampiamente sperimentato, narrazioni, ovvero una cosa diversa da un piano urbanistico. Tutto ciò senza contare che molti comuni ormai sono allo stremo per quanto riguarda la dotazione di personale e di strumenti (a tal proposito si potrebbe ben ricordare che fallimento è stato la costruzione dei SIT a partire dal 1999 imperniati sulle province e assunti dai comuni come strumento di esercizio di un potere di controllo da parte delle province su i comuni medesimi, tanto che oggi si può concludere che nella maggioranza dei casi si è gettato al vento molte risorse con risultati scarsi o nulli).
Analogamente, in merito ai parchi, se i numeri sono quelli indicati su Repubblica (80% spese di personale, 20% per il resto), se a S.Rossore rimangono grandi edifici vuoti, inutilizzati, che si degradano, qualche domanda ce la dovremo porre. Se i parchi continuano ad essere percepiti da molti come un laccio invece che una opportunità, degli interrogativi sono legittimi.
E porsi delle domande non deve essere assunto come critica, ma come un legittimo riflettere sul che fare di un patrimonio pubblico che, comunque sia, si ha il dovere di rendere redditivo.
Si capisce bene che in un contesto ove è venuto meno il ruolo delle forze politiche, che prima su questo interrogavano e si interrogavano e chiedevano soluzioni o le proponevano, le cose sono più difficili, ma sarebbe bene che invece di esprimere una posizione o quasi accusare qualcuno di lesa maestà, si provasse insieme, cioè con lo sforzo collettivo di chi ci sta e per iniziativa di chi per obbligo di carica e di legge deve governare, ci si confrontasse. Ovviamente senza negare spazio ad altri, che se ci sono, ben vengano avanti.
Se ci lamentiamo dell’antipolitica, ma forse sarebbe meglio dire dell’abbandono della politica da parte di ampia parte della società (e questo si è un problema, il problema) insomma, sarebbe bene creare spazi per fare politica senza volerci mettere preventivamente il cappello sopra.
Mauro Parigi