Piano del paesaggio e legge sui parchi, due partite da giocarsi insieme
[27 Agosto 2014]
Le recenti e vivaci polemiche che l’hanno accompagnato durante il dibattito e l’approvazione in consiglio regionale confermano la portata e il significato del piano del paesaggio “Toscana bella ancora”, tanto più nel momento in cui la nostra Regione sta discutendo anche la nuova legge sui parchi, prossima ormai anch’essa alla approvazione. Due passaggi che riguardano – in una fase particolarmente critica sul piano nazionale – aspetti delicatissimi anche sotto il profilo istituzionale, per l’ambiente e la sua controversa gestione.
Non si può, infatti, ignorare che il ruolo delle regioni specialmente (ma non solo) in riferimento all’ambiente è assai controverso in ambito nazionale perché – come dice Renzi – esse dovranno contare di meno per fare meglio. Il che vuol dire in termini più precisi che le competenze delle regioni a partire proprio dal paesaggio dovranno rispettare le competenze esclusive dello stato senza più alcuna competenza ‘concorrente’.
Dovranno insomma ‘accontentarsi’ e limitarsi a gestire e valorizzare le ricadute – diciamo così – sul loro territorio delle competenze dello stato. Il piano del paesaggio, ma anche la legge sui parchi, dovranno muoversi perciò in questo ambito che ha registrato negli ultimi anni una significativa riduzione dei loro compiti, ad esempio, per quanto riguarda i parchi oggi estromessi dalla competenza sul paesaggio nei loro piani. Perché sia chiaro cosa questo significhi in concreto: i parchi oggi non devono più occuparsi nei loro piani del paesaggio. Il che, dopo la firma della Convenzione europea sul paesaggio che ha stabilito che esso oggi non può essere più essere concepito e considerato un mero fatto estetico e tecnico ma qualcosa che deve essere giudicato e accettato dai cittadini, appare assolutamente contraddittorio.
Un nodo d’altronde che ritroviamo chiaramente nel piano paesaggistico toscano, quando a proposito della vicenda delle Apuane e del suo piano cave si deve prendere atto che il Parco – il quale non ha saputo fare la sua parte quando poteva e doveva – deve oggi rimettersi appunto al piano paesaggistico e non a decisioni proprie, a cui abbia concorso su un piano di pari dignità. Il che conferma appunto che le due leggi regionali in discussione – paesaggio e parchi – non possono essere valutate separatamente, ignorando che il nuovo Codice dei beni ambientali ha inopinatamente estromesso i parchi da qualsiasi competenza sul paesaggio.
Gli agricoltori del Chianti già considerano il piano una ‘frittata’ per quanto riguarda il ‘ruolo’ assegnato alle viti. Già altre idee dell’assessorato regionale all’Agricoltura sulla Tenuta di San Rossore si erano rivelate peggio di una frittata; c’è da augurarsi che anche in questo caso si evitino pasticci. Ne va del ruolo dell’agricoltura ma anche dei parchi, perché nei 20 ‘ambiti’ in cui si articola il piano le aree protette non potranno non giocare un ruolo qualificato e non ‘clandestino’.
Quando si parla di bacini idrografici, di territori rurali, di nuova agricoltura che impedisca i rischi di degrado già fortemente presenti e incidenti, di gestione di boschi e foreste e delle nostre colline, c’è qualcuno che può dubitare del ruolo non secondario dei nostri tre parchi regionali, dei tre parchi nazionali di cui due interregionali, dei parchi provinciali e delle aree protette di interesse locale specie ora che le province stanno per lasciare la scena e le ANPIL dovranno trovare una nuova collocazione istituzionale?
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