Livorno punta sul porto per ripartire? Altri 77 posti di lavoro sono a rischio

[21 Gennaio 2015]

La città di Livorno giace immobile da tempo, in stato comatoso sotto i colpi della crisi, senza riuscire a frenare l’emorragia economica e di posti di lavoro che la sta pian piano dissanguando. Bizzarre stastiche economiche raccontano al contrario di una realtà in crescita per quanto riguarda la qualità della vita, ma a tenere il polso del territorio non se ne ha davvero l’impressione. Anzi.

E a testimoniare l’urgenza di un cambio di rotta c’è l’Accordo per Livorno che si sta definendo tra governo e enti locali, e del quale abbiamo più volte parlato anche su greenreport nelle pagine pensate per raccogliere contributi utili al rilancio della città. L’Accordo si basa su un pilastro principale: il porto; un’infrastruttura per la quale – secondo le parole del presidente Rossi – serve «subito una svolta, o diventerà marginale».

Una visione condivisa da tutte le autorità che siedono al tavolo del dibattito, governo compreso. Ma proprio dall’esecutivo potrebbe entrare a gamba tesa sugli italici porti, compreso quello di Livorno. Attraverso un’interrogazione parlamentare al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e al ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, la deputata toscana Marisa Nicchi (Sel) si interroga sugli effetti che seguiranno all’abrogazione dell’articolo 17 della Legge 84/94, su cui si fonda la disciplina del lavoro sulle banchine.

«Il disegno di legge del Governo – spiega Nicchi – fa entrare a gamba tesa il Jobs Act nei porti italiani, producendo effetti devastanti sulla professione e sulla vita di tanti lavoratori negli scali. E’ il preludio dell’avvento di un monopolio che rischia di sopprimere le numerose realtà che lavorano nel settore portuale e nell’ambito dei traffici marittimi». A preoccupare la deputata toscana è principalmente l’occupazione di «migliaia di lavoratori portuali in tutta Italia e tra questi anche i 57 occupati nell’Agenzia di Lavori in Porto di Livorno e 20 a somministrazione. Nel porto di Livorno sarebbero cancellati in un colpo solo tutti i lavoratori dell’Alp,  57 famiglie si troverebbero improvvisamente senza stipendio. La deregolamentazione selvaggia del lavoro portuale non è certo un elemento di crescita e competitività di uno scalo: in molti porti europei il pool di manodopera rappresenta il fulcro dell’organizzazione del lavoro portale ed ha avuto importanti crescite di traffici commerciali».

Nell’interrogazione parlamentare si chiede dunque «se il Governo non convenga sull’opportunità di astenersi dall’adozione di misure di natura legislativa e non che invece di contrastare l’abbattimento dei diritti e la precarizzazione del lavoro nel nostro Paese, si rivelino negli effetti particolarmente pericolosi anche per la tenuta sociale del nostro sistema economico e, in ogni caso, del tutto inutili per la ripresa occupazionale delle vecchie e nuove generazioni che operano nel comparto portuale e nella crescita dei nostri porti». Una domanda tutt’altro che peregrina, cui sarebbe di grande utilità dare una risposta certa. Tutto servirebbe a Livorno, tranne che “ripartire dal porto” iniziando col tagliare un’ottantina di posti di lavoro.