Riceviamo e pubblichiamo
Carrara, Legambiente dà la pagella sul rischio alluvioni ai candidati sindaco
La vera causa dell’incremento delle alluvioni non è l’aumento delle precipitazioni, ma il nostro approccio culturale, arrogante e autolesionista: anziché “lavorare con la natura” sfruttandone i meccanismi protettivi, pretendiamo cioè di dominarla artificializzando ogni fase del ciclo idrologico
[3 Giugno 2022]
Anche la seconda pagella di Legambiente ai candidati sindaco, quella sul rischio alluvionale, fa riflettere: secondo i 13 valutatori dell’associazione, un solo candidato (Briganti) supera bene la prova, mentre gli altri risultano insufficienti (Arrighi, Caffaz, Vannucci, Vincenti, Locani) e uno pessimo (Ferri).
Le domande sul rischio alluvionale
La gestione dell’intero territorio, basata sull’intercettazione delle acque piovane e sul loro rapido smaltimento al mare mediante un esteso reticolo di canalizzazioni superficiali e sotterranee, accentua progressivamente i picchi di piena: agisce cioè come un’efficace “fabbrica di alluvioni”.
- Quali misure concrete vi impegnate a realizzare per ridurre il rischio alluvionale?
- In particolare: vi impegnate a progettare e realizzare al più presto i ravaneti spugna per ridurre il rischio alluvionale, l’inquinamento di fiumi e sorgenti e le crisi idriche estive?
Sulla domanda generale, Briganti esprime una visione complessiva della gestione del rischio idraulico, dal monte alla foce del Carrione, e sulla necessità di rallentare i deflussi. Arrighi, pur esprimendo una visione più tradizionale, inserisce alcuni elementi interessanti (casse di laminazione, interventi sulle cause dell’impermeabilizzazione, interventi sulla foce del Carrione). Nel solco degli interventi tradizionali si pongono anche Caffaz e Vannucci, anche se quest’ultimo appare più consapevole della necessità di rallentare i deflussi (con “briglie, canalizzazioni, fosse di decantazione”). Vincenti esprime continuità con l’attuale gestione (inadeguata) del rischio alluvionale e pone l’accento sul reticolo minore e la rete di raccolta delle acque piovane senza alcuna particolare attenzione per la situazione a monte e per l’asta del Carrione. Infine Locani e Ferri, proponendo “nuovi studi” e nuovi “piani” (particolarmente il secondo) mostrano scarsa conoscenza della situazione locale e dell’esistenza stessa degli studi più recenti (come lo studio idraulico del 2016 e il Masterplan del Carrione del 2018).
Sulla domanda particolare, si dichiarano favorevoli alla realizzazione dei ravaneti spugna Briganti e Locani. Arrighi e Caffaz sono possibilisti, ma previe verifiche tecniche; anche Vannucci, in linea di principio, ritiene utile stabilizzare i ravaneti per rallentare il deflusso pur con alcune perplessità tecniche e giuridiche (i PABE, tutelando i ravaneti stabilizzati e vegetati, renderebbero difficilmente realizzabile il progetto). Vincenti richiama la tipizzazione dei ravaneti da parte dei PABE che tutelano quelli rinaturalizzati, mentre demandano alle aziende la messa in sicurezza di quelli instabili. Ferri, infine, non si esprime.
I criteri di valutazione utilizzati da Legambiente
La vera causa dell’incremento delle alluvioni non è l’aumento delle precipitazioni, ma il nostro approccio culturale, arrogante e autolesionista: anziché “lavorare con la natura” sfruttandone i meccanismi protettivi, pretendiamo cioè di dominarla artificializzando ogni fase del ciclo idrologico.
Ma, in tal modo, creiamo un circolo vizioso: con l’urbanizzazione impermeabilizziamo il territorio e sottraiamo spazio ai corsi d’acqua; le acque piovane, non più assorbite dal suolo, creano allagamenti; per evitarli, raccogliamo le acque in canalizzazioni sotterranee (fognature) e le allontaniamo il più rapidamente possibile, recapitandole nei corsi d’acqua; ma in tal modo ne incrementiamo i picchi di piena, favorendone l’esondazione; per evitarla, ne acceleriamo lo scorrimento al mare e la corrivazione (canalizzazioni) inducendo, però, un’ulteriore accentuazione dei picchi di piena (a parità di precipitazioni). Nel suo insieme, dunque, l’attuale gestione del territorio agisce come una potente “fabbrica di alluvioni”.
Come far fronte a questo rischio crescente, generato dalla nostra miopia? L’approccio attuale, rifiutandosi di restituire spazio agli alvei, esaspera la lotta contro la natura, si limita cioè ad adeguare “in verticale” la capacità di smaltimento delle crescenti portate: scavando gli alvei ed elevando argini e ponti, in una rincorsa senza fine, foriera di alluvioni ancor più catastrofiche (ad es. in caso di rotture arginali o di accumulo di sedimenti da frane).
Da questo circolo vizioso si esce solo con un radicale cambiamento di paradigma basato sulla prevenzione, mirato quindi alla riduzione dei picchi di piena (anziché a rincorrere il loro incremento). Un approccio che richiede di abbandonare la nostra arroganza e di “collaborare con la natura”, trattenendo le acque sul suolo e nel suolo e rallentando i deflussi in ogni fase del ciclo idrologico.
Tra le innumerevoli misure che possiamo adottare per ottenere “città-spugna” vi sono: la forestazione (compresa quella urbana); restituire generosamente spazio, sinuosità e scabrezza (grazie alla vegetazione riparia) agli alvei dei fiumi e del reticolo idrografico minuto; rendere inondabili le aree verdi; eliminare le canalizzazioni (a partire da quelle in cemento); delocalizzare le strade che hanno occupato gli alvei di fondovalle; riportare a cielo aperto i corsi d’acqua tombati (dove possibile); pavimentazioni urbane permeabili; rendere permeabile l’esteso reticolo delle canaline stradali e delle fognature bianche; convogliare in trincee assorbenti le acque cadute sui tetti e sulle strade; realizzare bacini di ritenzione delle acque meteoriche urbane; potenziare l’efficacia ritentiva e d’infiltrazione del terrazzamento; disseminare il territorio (a partire da quello collinare) di microstrutture di ritenzione idrica e fosse assorbenti; ecc. ecc.
Al monte, la misura più efficace è la realizzazione dei ravaneti spugna (da prescrivere nelle autorizzazioni alle cave), rimuovendo dai ravaneti attuali le terre e la marmettola (che li rendono meno permeabili e più propensi a enormi colate detritiche che colmano gli alvei sottostanti) e stabilizzandoli. Occorre inoltre sfruttare ogni cavità del terreno (ad es. le cave a fossa) per trattenere le acque piovane (ad es. indirizzandovi quelle raccolte dalle canaline stradali); svuotare le cavità che sono state riempite a discarica; recedere dal folle intento di sdemanializzare le fosse di cava.
Le nostre domande ai candidati sindaco miravano a verificare in quale misura essi fossero consapevoli della necessità dell’approccio della prevenzione e si impegnassero ad attuarlo. Il risultato è sconfortante: senza un radicale cambiamento culturale, Carrara è condannata a subire nuove alluvioni. Ci auguriamo che il nuovo sindaco abbia il coraggio di compiere una profonda riflessione sugli spunti emersi dalle nostre domande.
di Legambiente Carrara