Università di Pisa e Sant’Anna insieme per l’agricoltura di domani, senza glifosate
«Negli Usa e in Europa fino all’80% delle persone e degli animali allevati hanno residui di glifosate nelle urine, e l’erbicida è sostanza sospettata di causare tumori»
[14 Settembre 2022]
È possibile sviluppare sistemi colturali efficienti, a basso o nullo impiego di glifosate, attraverso un uso razionale della biodiversità coltivata: è questo in estrema sintesi il risultato di una ricerca triennale coordinata dal Centro di ricerca in scienze delle piante della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Lo studio conclusivo, cui hanno partecipato anche ricercatori dell’Università di Pisa, è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Agronomy for sustainable development, che rientra nella top 2% delle riviste di Agronomia.
«Alla fine del 2022 l’Ue dovrà decidere sul rinnovo dell’autorizzazione all’uso del glifosate, ma è già evidente che si andrà verso una sua progressiva restrizione; alcune regioni, Toscana inclusa, si sono già espresse in questo senso. Pertanto, c’è urgente richiesta di soluzioni valide, dal punto di vista tecnico ed economico, che permettano di svincolarsi dall’uso di questo erbicida», spiega Paolo Bàrberi, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee alla Sant’Anna.
Nel merito, il team della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa ha valutato gli effetti della semina su terreno sodo (non lavorato) del girasole, in presenza dei residui di una coltura di copertura di veccia, pianta erbacea comune nei prati, coltivata come foraggio, dai fiori viola.
La copertura di veccia ha protetto il suolo, ha ridotto la presenza di malerbe e ha fornito azoto al girasole, contribuendo alla sua crescita sana e rigogliosa. Nel caso della veccia devitalizzata in piena fioritura utilizzando il solo “roller crimper” (si tratta di un attrezzo che comprime ma non taglia alla base le piante, facendole appassire mentre sono ancorate al suolo) e senza fare uso di glifosate, le piante infestanti del girasole sono state controllate del tutto e la coltura ha dato risultati produttivi ed economici paragonabili, se non superiori, rispetto alla tradizionale tecnica che combina l’uso del “roller crimper” con quello del glifosate.
Gli agricoltori tendevano a considerare il glifosate indispensabile per controllare la flora infestante, soprattutto in agricoltura conservativa, che prevede la semina delle colture direttamente sulle stoppie della coltura precedente. Nei tre anni della loro ricerca, il team ha costruito un “sistema” per potenziare al massimo i servizi forniti spontaneamente dalla natura, introducendo alcune innovazioni.
Ad esempio, alla coltura di copertura della veccia sono state affiancate diverse modalità di devitalizzazione con il “roller crimper”, sono state testate date diverse per la semina del girasole, così da modulare sia la sensibilità della veccia a essere devitalizzata dal “roller crimper”, sia la quantità di biomassa prodotta. La conseguenza di questa procedura è stata l’arrivo all’ottimale controllo della flora infestante. Ma, per confermare la possibilità di fare a meno del glifosate, il team ha messo a confronto rese e remuneratività economica dei diversi sistemi di coltura, dimostrando come, in questo caso, si potesse fare a meno di questo erbicida.
«I risultati del nostro studio – argomenta Daniele Antichi, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee dell’Università di Pisa – possono essere di grande impatto anche per l’agricoltura biologica, un sistema agricolo fortemente supportato a livello europeo e che fa della rinuncia all’impiego di agrofarmaci di sintesi uno degli elementi portanti. Questo mette ancor più in evidenza la crucialità delle tecniche agroecologiche, nel panorama attuale del settore, tecniche sulle quali da più di un decennio i nostri team collaborano proficuamente a livello di ricerca e sviluppo insieme agli agricoltori del territorio».
Nuove prospettive in grado di ridurre di molto i rischi per la salute, sia la nostra sia quella del pianeta: come ricorda infatti Bàrberi, dal 1996 «le quantità di glifosate utilizzate a livello globale sono aumentate di 15 volte. Numerose evidenze scientifiche indicano che il glifosate e i suoi prodotti di degradazione non sono così innocui come sembravano. Residui di queste sostanze vengono costantemente ritrovati nel suolo, nelle acque, nei sedimenti e nella catena trofica. Negli Usa e in Europa fino all’80% delle persone e degli animali allevati hanno residui di glifosate nelle urine, e l’erbicida è stato inserito dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) come sostanza sospettata di causare tumori».