Nuova legge regionale sulle cave: il comune può e deve rimediare ai suoi limiti
[12 Marzo 2015]
Il 10 marzo la Toscana ha approvato la legge regionale n. 356 Norme in materia di cave. In attesa di leggerne il testo integrale è possibile esprimere le prime considerazioni. Il merito principale, per il quale sarà ricordata, è il riconoscimento dell’appartenenza al patrimonio indisponibile comunale dei beni estimati, ponendo fine alle secolari pretese di ‘proprietà’ di chi ne deteneva solo il ‘possesso’.
Costoro, anziché chiedere scusa e ringraziare per aver sfruttato gratis per tanti anni le cave dei carraresi, oggi gridano all’esproprio e preannunciano ricorsi. Facciano pure. Già il comune, col regolamento sugli agri marmiferi, avrebbe dovuto da tempo sancire autonomamente la proprietà comunale, sulla base della legge mineraria del 1927, della sentenza della Corte Costituzionale n. 488/95 e dei pareri legali degli avv. Piccioli e Barile (1999), Batistoni-Ferrara (2002) e Conte (2014). Ha preferito invece attendere il supporto della L.R.; oggi, comunque, anche questo riconoscimento di legge è arrivato, perciò i ricorsi non potranno che portare a ribadire definitivamente la proprietà comunale.
L’altro merito principale, l’introduzione della gara pubblica per il rilascio delle concessioni, si è trasformato in demerito. La Toscana, infatti, pur obbligata ad introdurre la gara per rispettare la normativa europea, di fatto l’ha elusa rinviandola di 7 anni e, soprattutto, prevedendo proroghe fino a 25 anni all’autorizzazione delle cave attuali.
Non ci sfugge che la proroga è condizionata all’impegno a lavorare in loco il 50% del marmo, favorendo pertanto l’occupazione anziché l’esportazione dei blocchi e la loro lavorazione all’estero. Tuttavia tale proroga resta ingiustificabile: nelle nostre osservazioni avevamo chiesto di bandire la gara pubblica entro due anni, ponendo l’obbligo di lavorare in loco almeno il 50% dei blocchi e assegnando la concessione a chi offriva una percentuale maggiore (più occupazione), un canone di concessione annuo più elevato (più entrate comunali) e minor impatto ambientale.
La regione avrebbe dunque potuto ottenere molto di più e a breve termine. Ha invece preferito aggirare le norme europee e fare un immenso regalo agli attuali titolari di cava, favorendo la rendita di posizione (anziché la concorrenza) e sottraendo in tal modo ai comuni (già allo stremo) e ai cittadini ingenti risorse economiche per ben 25 anni.
Per fortuna non tutto è perduto. Come avevamo richiesto, l’art. 39 riconosce la potestà regolamentare dei comuni di Carrara e di Massa: per questi, infatti, il regolamento regionale cessa di avere efficacia dall’entrata in vigore dei regolamenti comunali sugli agri marmiferi. Perciò il comune ha la piena facoltà di rimediare alla scelta della regione di favorire la lobby del marmo.
Purtroppo il sistematico smantellamento del regolamento del 1995 attuato dalle giunte Segnanini, Conti e Zubbani, i vent’anni trascorsi col mancato rilascio delle concessioni e la fallimentare lunga stagione degli accordi con gli industriali non fanno presagire nulla di buono.
Un altro pessimo segnale viene dalla bozza del regolamento comunale che, nella gara pubblica, prevede di assegnare la concessione alla migliore offerta per il canone d’ingresso (da pagare solo il primo anno), anziché a quella per il canone periodico (da pagare tutti gli anni): un’idea che potrebbe venire in mente solo ad un titolare di cava, non certo a chi intende tutelare l’interesse dei cittadini! La bozza di regolamento va pertanto radicalmente rivista.
In ogni caso adesso il sindaco e la giunta hanno l’opportunità di dimostrare nei fatti quanto hanno ripetutamente proclamato a parole: le cave sono dei carraresi, che devono pertanto essere i beneficiari della loro lavorazione. Stavolta i carraresi non perdonerebbero più amministratori che continuassero a gestire i beni pubblici nell’interesse di pochi privati.
di Legambiente Carrara