Clima, l’Ue punta a tagliare le emissioni del 55% al 2030 ma l’Italia vuole fermarsi a -51%
Il ministro Cingolani punta a installare 60 GW di fonti rinnovabili entro il 2030, meno di quanto stimato come necessario sia dagli ambientalisti sia dagli industriali
[14 Luglio 2021]
In audizione alla commissione Industria del Senato, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha illustrato ieri come l’Italia ha intenzione di attuare la nuova legge europea sul clima, che prevede di tagliare le emissioni continentali di gas serra del 55% (rispetto al 1990).
Mentre la Commissione Ue ha appena reso noto il suo pacchetto di riforme “Fit for 55”, la strategia italiana è già abbastanza chiara anche se mostra purtroppo un livello d’ambizione ridotto per il nostro Paese, dove dal 1990 a oggi le emissioni climalteranti si sono ridotte solo del 19,4%.
Nel caso italiano l’obiettivo al 2030 che sarà inserito nel nuovo Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) non è infatti fissato a -55%, ma si ferma a -51%. Non è la prima volta: il Pniec inviato a Bruxelles a gennaio 2020 e nato già vecchio prevedeva di fermarsi a -37% (a fronte di un obiettivo Ue pari allora al -40%).
Già il ministro Costa era consapevole della paradossale necessità di rivedere il Pniec appena approvato, ma finora il nuovo Piano era rimasto in un cassetto. L’intervento di Cingolani in Senato anticipa adesso che «con il nuovo obiettivo del Green deal, pari al 55%, la percentuale di abbattimento italiana dovrà essere del 51%».
Guardando al comparto elettrico, nelle previsioni del ministro ciò si traduce nell’istallazione di impianti per una potenza aggiuntiva pari a «circa 60 GW» al 2030. Anche in questo caso, un target inferiore rispetto a quello previsto sia dagli ambientalisti (il Coordinamento Free stima 70 GW, la Fondazione per lo sviluppo sostenibile circa 75 GW) sia dall’associazione confindustriale di settore (per Elettricità futura i GW dovranno essere almeno 65).
In ogni caso, sarà indispensabile una sensibile accelerazione nel ritmo delle installazioni, perché ad oggi in Italia gli impianti alimentati da fonti rinnovabili crescono al ritmo di appena 0,8 GW l’anno, frenati da iter autorizzativi dominati dalla burocrazia oltre che dal moltiplicarsi delle sindromi Nimby e Nimto sui territori: come risultato quasi il 50% delle richieste autorizzazione non diventa un impianto e l’altro 50% lo diventa ma con 6 anni di ritardo.
Guardando ai provvedimenti normativi in cantiere per accelerare sul fronte delle rinnovabili, il ministro ha spiegato che «entro agosto sarà proposta in Consiglio dei ministri la proroga del decreto ministeriale 4 luglio 2019 (cosiddetto “decreto Fer 1”), con alcune modifiche di natura semplificatoria, a settembre sarà adottato il nuovo “decreto Fer 2”, che prevederà anche nuove tecnologie ammesse, e a dicembre saranno introdotte misure di aiuto alle tecnologie più sperimentali e con costi maggiori». Un provvedimento, quest’ultimo, atteso già da 704 giorni.