Dal progetto Ok!Clima una guida pratica per tutti i soggetti coinvolti

Come comunicare in modo efficace la crisi climatica, spiegato dai ricercatori italiani

Vacchiano: «Abbiamo già tutte le soluzioni e le risorse economiche per risolverla, ma devono essere fatte conoscere»

[22 Gennaio 2024]

Il progetto Ok!Clima, promosso dal Climate media center Italia con la partnership delle Università degli Studi di Milano e Pavia e dell’Italian climate network, ha recentemente pubblicato la guida La crisi climatica e come comunicarla, per contribuire a colmare una delle principali lacune informative che frenano la transizione ecologica nel nostro Paese.

«La crisi climatica esiste ed è responsabilità umana. Abbiamo già tutte le soluzioni e le risorse economiche per risolverla, ma devono essere fatte conoscer – spiega il presidente del Climate media center, Giorgio Vacchiano – per poter innescare il cambiamento di cui abbiamo bisogno».

È stato compiuto dunque uno sforzo di sintesi dedicato ad elaborare linee guida per docenti, ricercatori e ricercatrici, e giornalisti che affrontano aspetti cruciali, dal come resistere alla disinformazione al rendere la scienza climatica più accessibile.

«Abbiamo la conoscenza dalla nostra parte e le tecnologie da applicare per ottenere ottimi risultati. Ma non abbiamo ancora raggiunto un livello di comunicazione efficace per farci superare quell’inattivismo, quell’inerzia al cambiamento, che ci vede tutti fermi ad aspettare la prossima catastrofe», sottolinea nel merito la presidente dell’Italian climate network, Serena Giacomin.

Oltre a elencare riferimenti utili per informarsi su cause e soluzioni della crisi climatica (tra i quali, con una nota d’orgoglio, spicca anche greenreport.it), la guida mette insieme una cassetta degli attrezzi per farsi soggetti attivi in questo contesto.

Comunicare la crisi climatica significa in primis informare sulla minaccia degli impatti, cioè il problema, ma anche sui vantaggi della transizione ecologica, cioè le soluzioni.

Porre l’accento su queste ultime significa in definitiva comunicare speranza, il tutto trovando il giusto equilibrio fra contenuto informativo e chiarezza, perché come affermava Albert Einstein tutto dovrebbe essere reso il più semplice possibile, ma non più semplice.

Questo significa anche riconoscere che gli esseri umani non sono ricettori passivi di conoscenze. Sono soggetti attivi che elaborano e scambiano le informazioni, influenzati in questo processo da molti fattori: esperienze, interessi economici, appartenenze di gruppo, reti e norme sociali, convinzioni politiche, religiose e morali, che si connettono e danno forma ai valori di ciascuno di noi.

Affrontare le sfide della percezione vuol dire fare i conti con le radicate distorsioni cognitive (bias) che tutti quotidianamente mettiamo in campo, come il bias di conferma, che ci fa assegnare una maggiore importanza a dati e notizie che confermano le proprie opinioni e i propri modelli mentali, e a ignorare ciò che invece può smentirli.

Un approccio di questo tipo impone di valorizzare non solo i fatti di cronaca o scientifici ma anche i valori attraverso i quali leggiamo la crisi climatica in corso, che siano sicurezza, indipendenza o giustizia.

In questo percorso è inevitabile fare i conti anche con le nuove forme del negazionismo climatico, che non potendo più negare l’evidenza del riscaldamento globale si presenta oggi soprattutto nella nuova forma dell’inattivismo (ad esempio prendendo di mira le energie rinnovabili dipingendole come inaffidabili e inefficaci).

Come fare? Per una presentazione sintetica dei principali aspetti da considerare, riportiamo di seguito il decalogo “Consigli pratici a comunicatori e giornalisti” riportato nella guida.

  1. Evita il false balance. Su aspetti scientifici in cui c’è un consenso schiacciante, come l’origine antropica del cambiamento climatico, è scorretto “sentire le due campane”. Una è sicuramente falsa. Utile invece sentire ricercatori che possono pensarla diversamente sugli aspetti del clima in cui ha senso un dibattito.
  2. Rimetti le cose al loro posto. Chi non è esperto di divulgazione tende a fare lunghe premesse, diffondersi sui metodi e solo alla fine passare alle conclusioni e risultati degli studi. Proprio il contrario di una esposizione divulgativa e giornalistica. Sapendolo, è più agevole condurre una intervista dettando il proprio ordine di priorità.
  3. Racconta una ricerca con obiettività. Se il tempo è sufficiente, è sempre desiderabile raccontare una ricerca non limitandosi a intervistare (o leggere quanto scrive) uno degli autori, ma anche chi non fa parte dello studio, per una maggiore obiettività e distacco.
  4. Attenzione ai dati. La scienza del clima è ricca di dati. A volte fin troppo, con l’effetto, se non si selezionano, di confondere il lettore. Importante scegliere quali presentare, facendosi aiutare dal ricercatore.
  5. Tratta l’incertezza. La ricerca scientifica è sempre caratterizzata da margini di incertezza – o variabilità dei risultati – che è una informazione molto importante per la valutazione della portata dello studio. Incertezza, limiti e metodi, se possibile, andrebbero riportati in modo comprensibile, senza nasconderla né enfatizzata.
  6. Chiedi esempi pratici. Se possibile, com’è normale nella buona prassi giornalistica anche in altri ambiti, chiedi allo scienziato di fornire esempi pratici per aiutare il pubblico a comprendere meglio i concetti complessi.
  7. Il clima è dappertutto. Il giornalismo climatico è sempre più trasversale e pervasivo, perché il clima influenza tutti gli ambiti ed è per sua natura interdisciplinare. Adotta, se possibile, le “lenti climatiche” anche nel tuo ambito arricchendo in questo modo la qualità dell’informazione.
  8. Locale e globale. Le questioni climatiche si possono trattare a livello globale ma anche locale, sia per le politiche di mitigazione sia per gli impatti e gli eventi estremi. La sfida è riportare anche gli studi di attribuzione per comprendere l’eventuale “firma climatica” di tali impatti.
  9. Né apocalittici né integrati. Il giornalismo climatico non si avvantaggia di fare del facile catastrofismo, né all’opposto di ignorare la crisi climatica in corso. Gli studi sulla comunicazione suggeriscono che è più efficace mantenere un equilibrio fra le cattive e le buone notizie, la gravità del problema e la possibilità di risolverlo.
  10. Soluzioni, soluzioni, soluzioni. Un giornalismo di servizio, attento alle soluzioni sia per la mitigazione sia per l’adattamento al clima che cambia, è sempre più apprezzato. Adotta anche tu il “solution journalism”.